CANONICA AL LAMBRO
Un guado sul Lambro e poi in epoca successiva un ponte, fanno di Canonica, un luogo di primaria importanza su una percorrenza, che nel corso dei secoli ha avuto la sua rilevanza. Da qui transitava il percorso che da Milano dirigeva verso gli stati veneti e sempre qui, insisteva una stazione di posta, con alloggi e cambio dei cavalli. Ecco dunque come nel 1600, il luogo conservava ancora questa connotazione, su una percorrenza che nel proseguo toccava Gerno, Velate, Vimercate e dirigeva verso Trezzo, dove superava l’Adda. E’ ipotizzabile l’esistenza, a ridosso del passaggio sul fiume, di un antico edificio fortificato posto a protezione dello stesso. Nel corso del tempo l’edificio di difesa ha subito modifiche e ricostruzioni sino ad essere le fondamenta su cui sorge l’odierna Villa Taverna.
Il nome Canonica sembra trovare origine quale dipendenza dei Canonici di Agliate, che fin qui estendevano le loro proprietà. La località è stata parte, di tale pieve, fino ad anni recenti. Un’origine incerta, che non trova adeguato supporto nei documenti, visto che non abbiamo attestazioni d’epoca che confermino possedimenti o rendite della basilica di Agliate, a Canonica.
Il luogo è ancora identificato per l’esistenza di una “cascina di caccia” utilizzato da Ludovico il Moro, a ricordo di tale personaggio, fa mostra di se una lapide, in prossimità del noto ristorante, ubicato nell’edificio che assieme ad altre costruzioni, datate 1600, costruiva ed ancor oggi lo si può apprezzare, quel complesso urbanistico sul lato opposto del fiume, correlato alle attività che erano necessarie per assistere i viaggiatori che si portavano a superare il fiume.
Un dato d’archivio rivela la presenza di 17 fuochi, intesi come nuclei famigliari, nell’anno 1537, rilevando un’antropizzazione importante in rapporto ad altre località prossime.
L’esistenza di una chiesa, in Canonica al Lambro, è documentata dal solito Goffredo da Bussero, nel suo inventario “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani” che cita “ad Lambrum Canonica (ecclesia) sancti Viti”. Al momento dell’erezione a parrocchia della chiesa, ad opera di Carlo Borromeo nel 1578, la stessa aggiunge a San Vito, il patronato di San Modesto. Arriviamo sino al 1618, quando viste le pessime condizioni della chiesa parrocchiale, in occasione sempre di una visita pastorale, il conte Taverna viene esortato, non senza fermezza, come sembra trapelare dal “Liber Chronicus” in cui si narrano le vicende della parrocchia ad opera di Don Domenico Villa, parroco di Canonica dal 1903 al 1935, ad edificare una nuova chiesa, spostando l’ubicazione in un luogo “più eminente e comodo”. Sempre in tale occasione si ha notizia che nell’attesa di tale opera si trasferisce l’abitazione del parroco in prossimità dell’oratorio della Madonna della Neve che verrà inglobata nell’erigenda chiesa, nel luogo dove ancora oggi la possiamo apprezzare.
In anni compresi tra la metà e la fine del 1700, abbiamo notizia di “due miracoli avvenuti davanti alla effigie di marmo della Madonna della Neve che stava al ponte del Lambro sulla mura di Casa Taverna, pei quali la detta effigie venne trasportata nella Chiesa parrocchiale”. Oggi troviamo traccia dell’originaria collocazione della statua, in prossimità del ponte sul Lambro, nel muro di cinta, della villa Taverna un dipinto della Madonna è posto in uno spazio ovale.
Gli avvenimenti citati porteranno nell’anno 1777, al cambio della dedicazione della chiesa parrocchiale, che dal patronato dei Santi Vito e Modesto, passerà alla Madonna della Neve, con decreto del cardinale Pozzobonelli, “dietro preghiera della Nobile Casa Taverna, del parroco e dei parrocchiani”
Abbiamo, ripetutamente citato i Taverna, che grazie alla villa che ancora oggi porta il loro nome, da visibilità alla zona. La villa trova origine, come citato, dal primitivo maniero posto a guardia del passo del fiume. La costruzione in seguito rimaneggiata e destinato ad altro uso, nel 1525, entra nei possedimenti del Conte Ludovico Taverna, che trasforma l’edificio in dimora di pregio per la sua villeggiatura.
Gli interventi si susseguiranno nel 1600 soprattutto per gli interni, mentre l’aspetto esterno si consoliderà nel 1700. Di pregio particolare il giardino all’italiana, che rimane uno dei pochi esempi, nella zona, non corrotto da rifacimenti e modifiche che riporta i caratteri originali del ‘500. La forma ad U della costruzione che dirige verso la strada, è chiusa da un cancello di fattura pregevole, sostenuto da colonne sulla cui cima sono poste due statue, espressione del “barocchetto lombardo”, che rappresentano quella di sinistra l’autunno e l’altra la primavera. La costruzione trova completamento scenografico attraverso il “cannocchiale” che congiunge l’entrata, passando per il rettilineo stradale, sino all’ampia scalinata che porta, in posizione elevata all’oratorio dedicato a Santa Eurosia, noto anche come la “chiesuola”.
Dobbiamo rammaricarci di come tale emergenza architettonica, di vero pregio, sia nel corso degli anni stata abbandonata e lasciata al degrado più assoluto. Crolli e distruzione la fanno da padrone, e solo una sbiadita indicazione di “pericolo di crollo” sta ad indicare l’unico intervento avvenuto.