1807: L’ABATE D’ADDA CEDE TERRENI A FEBO D’ADDA

1807: L’ABATE D’ADDA CEDE TERRENI A FEBO D’ADDA

di Tonino Sala

Dallo stesso fondo, riferito al notaio Bonola, da cui avevamo tratto le vicende legate all’acquisizione del terreno, che avrebbe ampliato lo spazio di quello che oggi compone il parco comunale della omonima villa in Arcore, oggi raccontiamo della cessione di alcuni terreni tra l’abate Ferdinando e quel Febo che riunite in seguito le proprietà dei due, avrebbe edificato la villa e dato vita al parco vanto dei d’Adda e degli arcoresi, che oggi ne possono godere gli spazi. Singolare le motivazioni della cessione, che restituiscono un esempio dei piaceri elargiti dalle “ville di delizia”, ai loro proprietari, anche se forse, e tolgo il forse, in questo caso parliamo di delizie culinarie a cui erano destinati i “tordi” che finivano nelle reti, con buona pace degli ambientalisti e di chi si spende per la protezione degli animali.

 31 agosto 1807

Note e commento a un atto notarile per cessione di terre da Ferdinando (Abate) d’Adda a Febo d’Adda per consentirgli il transito diretto fra Roccolo e Bressanella

La motivazione

E’ abbastanza semplice e probabilmente nasce in stagione prossima al “passo” e di scarsa disponibilità di personale, in forza a Febo d’Adda, per sorvegliare gli impianti di cattura degli uccelli tramite due sistemi simili, Roccolo e Bressanella di sua proprietà, collocati però in luoghi relativamente lontani tra di loro, per accedere ai quali è necessario aggirare altre proprietà per evitare questioni con sorveglianti, giardinieri e braccianti. Ognuno dei due, Abate e Marchese, ha i propri fattori e campieri che, esperienza personalmente provata, almeno fino agli anni cinquanta del secolo scorso, sono sempre strenui difensori di proprietà e privilegi.

I due proprietari sono in parte confinanti e in parte hanno appezzamenti disposti a domino dove le terre si intersecano

I personaggi

L’Abate Ferdinando d’Adda e Febo d’Adda – da quanto riportato sulla “Storia di Arcore” sia dalla professoressa Luisa Dodi, che dal professor Mario Rosa su “I Marchesi d’Adda e la villa d’Arcore”, sembrerebbero essere parenti stretti, infatti vengono definiti cugini (quindi dovrebbero avere in comune o nonni – cugini di 1° grado, o bisnonni – cugini di 2° grado, ecc); però, nella ricerca fatta su Internet, esplorandone la genealogia ricostruita dalle ricerche di “Mozzoni-Cicogna”, essi risultano originati da due linee distinte separate molto in là nel tempo e per trovare l’antenato paterno comune è necessario risalire di alcune centinaia d’anni; mentre per linea femminile (Litta Visconti Arese) esiste una debole parentela di affinità collaterale avendo, il fratello dell’Abate, Francesco, sposata la sorella della madre di Febo: quindi, per l’Abate, Febo essendo figlio della sorella della cognata non potrebbe essere chiamato cugino.

Ferdinando, figlio cadetto di Costanzo IV nato nel 1729 fu destinato alla carriera ecclesiastica.

“… Costituito il sullodato Sig.r Sacerdote Ferdinando D’Adda del fu Sig.r Conte Don Costanzo, abit. In d.a Com. e Par. d’Arcore …”

Febo, figlio di Giovanni Battista, nato nel 1772.

“… Al prelodato Sig.r Febo D’Adda del fu Marchese Gio. Bata, abit. In P. Nuova Par. S. Francesco da Paola di Milano, ed ora dimorante in questa sua villeggiatura sit. In Arcore sud.a, ed anche egli costituito qui’ alla presenza convenuto …”

L’atto (rogito notarile) fu redatto in presenza di due testimoni che apposero le loro firme a garanzia della legalità. Uno di questi era il Curato del paese (decimo della serie, dal 1560), Giuseppe Vismara, del fu Filippo, il quale ebbe in cura la parrocchia (quindi Bernate e Ca’ di Lesmo comprese) dal 1800 al 1839. Non si è riuscito a sapere se appartenesse alla schiatta dei Vismara arcoresi dai quali uscì il primo sindaco dopo la costituzione del “Regno d’Italia”.

Il secondo testimone fu un prete milanese, don Enrico Fusi del fu Lazzaro, forse uno di quei cappellani, come si usava al tempo, ospiti fissi o addirittura dipendenti, delle nobili famiglie (Carlo Porta nelle sue satire li chiamava “pret viciurinatt” cioè preti affittabili).

“… Alla presenza di me Not.o inf.o e degli inf.i SS.ri Curato Giuseppe Vismara del fu Filippo, abitante in questa Com.e Par. d’Arcore, Pieve di Vimercato, dipart.o d’Olona, e Sac.e Sig,r Enrico Fusi del fu S.r Lazzaro, abit. In P. Ric?? Par. S. Stefano, ed ora dimorante accidentalm.e in Arcore sud.o, Testimonj noti, conoscenti, idonei e rogati …”

Per la stesura dell’atto furono necessarie sette pagine, cioè quattro fogli di carta bollata

Il notaio, che si dichiarò anche testimone, fu Luigi Bonola, il quale poi redasse anche il testamento dell’Abate il 21 aprile 1808.

“… per testimonio. D.re Luigi Bonola Caus.o, e Not.o di Mil.o figlio del fu Gio. Bata., abit. Nella Com.e di Lesmo nella Cura e Par. di Monza, Capo di Pieve, Dipart. D’Olona fui rogato della premessa conf.o ed attesto aver veduto farsi le precedenti sottoscrizioni di loro propria rispettiva mano dai sopras.i SS.ri Sacerd.e Ferdinando D’Adda, e Febo D’Adda principali, Cur.o Gius.e Vismara, e Sacerd.e Enrico Fusi Testimonij: ed in fede …”

Il luogo del rogito

Nel testo si trova descritto anche il luogo dove avvenne la compilazione dell’atto: “… nella Sala grande super.e della pred.a Casa d’abitazione del prefato Sig.r Donante Sacerd.e F.do D’Adda …”; è l’unico documento dal quale risulti l’accenno ad un ambiente della villa dell’Abate, trasformata e rielaborata dai successori Giovanni ed Emanuele ed oggi restaurata proprietà comunale.

L’immagine, afferma l’autore Viganò, con nota in basso a sinistra, è ripresa dal vero: c’è però qualche dubbio relativamente a quel profilo di montagne che fanno da sfondo. (1808)

I possedimenti

L’Abate aveva ricevuto in uso vitalizio il sito detto “la Montagnola” (e lì avrebbe costruito la sua abitazione), cioè la parte dominante della possessione di Arcore, che il fratello Francesco IV gli aveva concesso nell’ottobre del 1757 autorizzandolo ad apportare qualunque cambiamento o miglioramento alla proprietà ma vincolandolo alla restituzione del bene alla linea ereditaria – costituita dallo stesso Francesco IV e dai suoi discendenti o del terzo fratello Lorenzo – in quanto sulla proprietà gravava un fidecommesso (quello istituito nel 1550 da Giovanni Agostino d’Adda).

Da “La famiglia d’Adda di Sale” (Volume reperibile in biblioteca – 03 0064385)

“…Il grande patrimonio fondiario lasciato da Ferdinando d’Adda gli era pervenuto in verità solo molto tardi, in seguito alla morte della nipote, Maria d’Adda, deceduta nel 1788 senza figli. Fino a quella data l’abate aveva potuto contare su ben pochi beni lasciatigli dal padre, Costanzo IV: il grosso dell’eredità era infatti toccato al fratello maggiore, Francesco IV, che li aveva poi legati alla sua unica figlia, appunto Maria. Ma nel 1788, con l’estinguersi della linea primogenita dei d’Adda di Sale, Ferdinando aveva potuto reclamare dall’erede designata della nipote – e cioè sua madre, Teresa Litta, risposatasi con Maurizio Gherardini – tutti i beni pertinenti ai molti fidecommessi che erano stati costituiti nel corso di più di due secoli a partire dal primo, quello di Giovanni Agostino d’Adda (che risaliva al 1550), appoggiato ora alle proprietà di Milano e di Arcore…”

E fu proprio in virtù di quel fidecommesso che Febo pervenne ai “beni” di Arcore secondo il vincolo dell’eredità di Giovanni Agostino detto Agosto (testamento del 12 agosto 1553 che la riservava ai discendenti diretti maschi e, in assenza di maschi, alle femmine e ai loro figli maschi, e in mancanza di successori diretti, a collaterali); infatti, morta Maria figlia di Francesco fratello dell’Abate, al tempo erede legittima, senza figli maschi, l’eredità fu divisa fra i collaterali e a Febo toccò parte della proprietà di Arcore.

Che i D’Adda fossero già stabilmente impiantati quali possessori di parte del territorio arcorese è accertato dal testamento di Francesco I° datato 1529, nel quale risulta, dal lungo elenco dei beni immobili “…la possessione da Archuro [Arcore] con caxa da gintilhomo et da massaro, in somma pertiche 300; la possessione dal Campazo et Roncheti unita, con caxa da massaro et una bergamina chè in somma pertiche 352.10 …”, aggiornata poi nel 1575 coi beni aggiunti dal figlio Costanzo. “…una villa ad Arcore (con cascine e osterie e più di 1700 pertiche di terra intorno) […] possessione Mesurati(?): pt. 393 con case …”; beni i cui primi acquisti potevano risalire anche ad Antonio e Pagano, ampliati poi da Giovanni Agostino e via via dai successori, fino al tempo di cui si parla (1807), già divisi, fra l’Abate Ferdinando e Febo.

È certo e documentato però che nel territorio di Bernate fossero già possessori fin da prima del 1440:

Da “Storia di Vimercate” di Eugenio Cazzani

“… a premiare la fedeltà dei Brianzoli e per tenerseli sempre più affezionati, lo Sforza con privilegio emanato da Lodi il 22 dicembre 1451, premesso un significativo elogio al loro valore di combattenti e allo spirito di sacrificio con il quale seppero sopportare gravissimi danni, incendi, pericoli, prigionie “aliasque infinitas iacturas”, confermò loro, aumentandole, le immunità ed esenzioni concesse da Filippo Maria Visconti nel 1440, nonostante il suo impellente bisogno di denaro. […]

Nel lunghissimo elenco degli esenti sono ricordati: “ Antonio D’Adda e i suoi massari per i beni che aveva nel luogo di Bernate della Pieve di Vimercate […]”.

«… Le soprascritte Pievi, i precitati Comuni e uomini si devono ritenere esenti anche per il tempo decorso dal primo gennaio 1440, ed immuni, liberi ed esenti in perpetuum da tutti e singoli gli oneri di qualsiasi taglia, dai mutui, focatici, imbottati di qualunque frutto […], dai guadi, guardie, imposizioni, salari delle guardie, servizio militare, e gravami, e in generale dagli oneri di qualsiasi genere e modo, con qualunque nome si possano chiamare, tanto reali che personali e misti, sia ordinariamente che straordinariamente o in qualsiasi modo imposti dalla signoria ducale (per ducalem dominationem), dai suoi ufficiali, o dal Comune di Milano…»

Una lista delle proprietà d’Adda nel territorio arcorese è possibile leggerla nella rilevazione catastale del 1721, trascritta e aggiornata l’anno successivo a margine dei 19 fogli nei quali fu ridisegnata e divisa, ma la cui pubblicazione fu resa ufficiale, dopo un ulteriore aggiornamento dei numeri di mappale, agli effetti delle nuove imposte di tassazione, solo nel 1760. La rilevazione originale ricomposta; reca nell’angolo basso sinistro il riepilogo delle parcelle completo dei possessori, delle superfici, e del tipo di coltura.

All’interno delle varie sezioni, in parecchi casi, sono indicati i nomi degli appezzamenti coi quali nel luogo erano conosciuti. Qui sopra un ingrandimento.

1722 – la rilevazione è stata ridisegnata e ripartita in 19 tavole ognuna delle quali reca a lato la lista dei possessori col dettaglio relativo

All’epoca di queste rilevazioni le proprietà d’Adda sono dominio di Costanzo IV (1676-1749), padre di Francesco che erediterà, di Lorenzo destinato alla carriera militare, di Ferdinando destinato alla carriera ecclesiastica e nonno di Maria, figlia di Francesco che gli subentrerà per qualche tempo, fino alla ridistribuzione di cui si è già detto.

Come sono ripartite le proprietà arcoresi tra l’Abate e Febo, nel 1807, interessa solo per quanto riguarda le citazioni sul documento di cessione: cioè le posizioni del Roccolo e della Bressanella e gli attraversamenti sui possedimenti dell’Abate.

Il tempo

È il 31 agosto 1807.

Il paese, dopo aver fatto parte, dal 1796 al 1797 della Repubblica Transpadana, dal 1797 al 1802 della Repubblica Cisalpina, dal 1802 al 1805 della Repubblica Italiana, ora, dal 1805 e lo sarà fino al 1814, è parte del napoleonico Regno Italico.

Nell’organizzazione territoriale, appartiene al “Dipartimento d’Olona”, “Distretto di Monza”, “Cantone di Vimercate”. Nel Cantone ha sede un Giudice di Pace e, per le materie amministrative, un Consigliere di Censo.

Alla testa dell’amministrazione comunale vi è un sindaco nominato dal prefetto Capo del Distretto. Non è noto chi sia.

Non si sa se nell’organizzazione comunale attuale vi sia un Archivista in grado di dire se nell’archivio comunale siano o no custoditi documenti che risalgono a quell’epoca.

Lo “Stato d’Anime” della Parrocchia (quindi compreso Bernate e la Ca’ di Lesmo) più prossimo a questa data è del 1801 dal quale risultano 198 famiglie con un complesso di 1260 persone; un totale di 119 cognomi diversi portati da 208 Capi Famiglia e 68 cognomi portati solo da spose o vedove, per un totale generale di 187 varietà.

Uccellagione: Roccoli e Bressanelle

Uccellagione. Con buona pace per tutte le associazioni naturalistiche protettrici di uccelli in particolare, l’uccellagione è un’arte che, evoluta in vari modi, gli storici fanno risalire al tempo dei Romani (se non prima, vedere l’episodio relativo alle quaglie narrato nella Bibbia) per procacciarsi proteine, durata nei tempi di fame, rimasta poi a consentire succulenti piatti storici e celebrativi; un passato che il legislatore ha cancellato abolendo e penalizzando pesantemente chi osa esercitarla.

La certezza dell’esistenza in paese di questa attività e di un addetto, che la esercitava, la troviamo nello “Stato d’Anime” del 1574 dal cui commento-racconto si trascrive:

È la quarantunesima famiglia

Ne la Casa di Jo:Antonio fur.to habita:

Jo:Petro fur.to d’anni 90 ?Vsulatore?
Joanina sua moglie d’anni 60
Joanno Antonio suo figliolo d’anni 40 fatore
Paula sua moglie d’anni 35
Josepho suo figliolo d’anni 12
Angela sua figliola d’anni 8
Jo:Petro suo figliolo d’7
Fran.ca sua figliola d’anni 4
Dominighina figliola del sudeto Jo:Petro d’anni 35
Dionisia figliola d’la sudeta Dominighina d’anni 12
Fran.co figliolo d’la sudeta Dominighina d’anni 4

Sono 11 persone. Da evidenziare la differenza d’età, trent’anni, tra il Capofamiglia (Jo: Petro) e la moglie (Joanina). Potrebbe essere che un cinquantenne sposi una ventenne? D’altra parte l’età del figlio (Joanno Antonio) sarebbe compatibile. Questi, sposato (con Paula) e con i quattro figli (Josepho, Angela, Jo: Petro e Fran.ca) vive col padre e con una sorella (Dominighina), probabilmente vedova, generata quando il padre aveva già 55 anni, che ha due figli (Dionisia e Fran.co).

Mentre è semplice la nota relativa alla professione di Joanno Antonio: fatore, non si riesce a interpretare quella del Capofamiglia, né il perché dopo averla scritta e depennata, il curato, la riscrive. “Usulatore” potrebbe essere la trascrizione dialettale di uccellatore, cioè colui che gestisce il roccolo per la cattura degli uccelli. Resta comunque accertato che tra il tempo della rilevazione e quello della pubblicazione Jo: Petro muore e la croce tracciata ne sanziona il fatto.

Una nota relativa al cognome della famiglia che il curato abbrevia in fur.to: da altri documenti si rileva che il cognome vero è Furmento dal quale è poi derivato il Formenti moderno. A questo proposito il “Dizionario storico etimologico dei cognomi d’Italia” della UTET recita: «Da formento variante metatetica di frumento.[…] Formenti è lombardo con massimo valore a Seregno […] interessa oltre 2600 persone».

La famiglia godeva di una certa considerazione in quanto era dipendente di un buon livello dei Simonetta dei quali curava gli interessi in quel del San Martino, dove fece anche da testimone per il passaggio di denaro a liquidazione del credito che il curato Mozato, come parrocchia, vantava nei confronti dei Simonetta per l’affitto di un campo di sette pertiche. Dai “confesso” risulta anche che una volta fu perfino il Furmento stesso a versare i quattrini al curato.

Usulatore (italianizzazione dal dialetto üseladur) = uccellatore: è la professione di chi gestisce un roccolo o gioco per la cattura degli uccelli. Il “gioco” (giœgh di pianton, uno dei modi) consisteva nel piantare dei pali nel terreno sui quali erano posti il richiamo e disposti lungo il palo a raggiera piccoli rametti (panie) coperti di vischio (vesp) sui quali gli uccelli di passo, attirati dal richiamo, posandosi si invischiavano non riuscendo più a districarsi. Erano modi di procurarsi proteine in una dieta alimentare, quasi sempre, per il proletariato, al limite della sopravvivenza.

All’epoca di cui si parla, nel territorio del paese di impianti per la cattura di uccelli di passo ne esistevano almeno una decina variamente dislocati fra bosco e campagna, tant’è che alcune località del paese ne hanno conservato ancora il nome: “Roccolo”, col quale in origine erano conosciute e che le identificava fino, addirittura, ad avere l’onore, nell’attuale, dell’attribuzione del nome di “Via del …”.

I due procedimenti, Roccolo e Bressanella, sono del tutto simili, consistono nel richiamare i volatili, con canti propri delle specie, come invito a posare su un impianto arboreo predisposto nel quale, fra gli interspazi, sono predisposte reti. Poi, generando spavento, con rumori o con imitazioni di attacchi di predatori, questi nella fuga finiscono per impaniarsi tra le maglie

I luoghi

“… Trovandosi alcuni fondi di ragione dell’inf.o Sacerd.e Sig.re Ferdinando D’Adda frapposti ad alcuni fondi dell’inf.o S.r Febo d’Adda, tutti Sig.i del Territorio d’Arcore, onde resta intercettato il passaggio del pref.o Sig.r Febo d’Adda per andare dal pezzo di terra in Mappa Censuaria n° 160., e parte del n°.162, ove esiste ora il Roccolo, al pezzo di terra in d.a Mappa n°. 187. Ove esiste ora la Bressanella; ed avendo il pref.o S.r Febo D’Adda avanzato istanza al pref.o Sacerd.e S.r Ferdinando d’Adda, di cedergli quella tanta parte di terreno di cui in appresso, e di concederli altresì in perpetuo il passaggio sull’inf.o viale; e avendo il sullodato Sig.r Sacerd.e Ferdinando d’Adda gentilmente aderito alla sud.a istanza rinunciando anche al corrispettivo che il pref.o S.r Febo D’Adda si era offerto corrispondere: quindi …”

È già stato spiegato, in altri post, che causa il protrarsi del tempo fra rilevazione e pubblicazione delle mappe censuarie, i numeri di identificazione degli appezzamenti furono mutati varie volte; è successo anche in questo caso: si è potuto comunque risalire all’identificazione dei luoghi dove erano collocati gli impianti, Roccolo e Bressanella, così che i numeri 160 e 162 transitarono prima dall’originale 135 – 137 al 114 – 116, mentre il 187 fu dapprima 89 e poi 93, come compare negli stralci dalla mappa di prima rilevazione (1721) e dai fogli VIII° e IX° copiati dal rilievo originale nel 1722.

1722 – i numeri sono diventati 114 e 116 corretti poi in 160 e 162

1721 – numero 89, ricopiato come 93 – orientamento col Nord a destra

1722 – numero 93 corretto in 187

Viste le parcelle citate nel documento e le traversie della loro numerazione si vede ora la loro collocazione rispetto al paese.

Interpretando quello che appare indicato genericamente come “Roccolo”, sulla “Carta Topografica” disegnata dal Brenna negli anni trenta del 1800, supponendo che rispetto all’epoca della richiesta di passaggio (1808) nulla sia ancora cambiato dall’acquisizione di Febo d’Adda dopo la morte dell’Abate, e ritenendo come collocazione il punto segnato, sembrerebbe che l’impianto fosse posto al margine del colmo del pianalto (Runchitt), dove, un tempo, quando ancora non esisteva la “Via della Fornace”, un sentiero di campagna che partiva dalla attuale “Via privata dei Ronchetti”, risaliva dal piano e si raccordava alla “Strada delle Spazzate”, l’impianto sorgeva all’incirca poco oltre a dove oggi è il cancello Est d’ingresso al Parco comunale, prossimo alla testa Sud del laghetto.

mentre la “Bressanella” dovrebbe porsi sulla cima di quel dosso (anche qui è indicato un punto che fa supporre ivi la collocazione) che fa da angolo alla Via della Maiella, a margine della “Strada delle Spazzate”, di fronte allo “Chalet” sede del Gruppo Alpini, lì dove sorge oggi una sontuosa villa. Per la verità, ricercare oggi i tracciati viari del tempo dopo gli sconvolgimenti generati dalla sistemazione conclusiva del Parco (marchese Emanuele, architetto Alemagna e 160.000 m3 di terra e sassi) e i relativi percorsi esterni è un po’ complicato soprattutto per chi non ha dimestichezza col luogo.

L’attraversamento

Ora, il documento, precisato che si tratta di un atto di donazione spontaneo, passa a descrivere dettagliatamente, con chiarezza, collocazione rispetto alle coerenze, limiti, spazi e quantità del passaggio concesso:

“…Spontaneamente e come meglio

Ha fatta, e fa donazione irrevocabile, e dato a proprio, libero, e come meglio

Al prelodato Sig,r Febo D’Adda del fu Sig.r Marchese Gio. Bata., abi.e in P. Nuova, Par. S. Francesco da Paola di Milano, ed ora dimorante in questa sua villeggiatura sit. In Arcore sud.a, ed anche egli costituito qui alla presenza come sopra, che stipula ed accetta per sé, e suoi, e per chiunque avrà dato da lui

…Nominativamente di tanta parte di terreno del pref.o Sig.r Donante, quanta basti a proseguire la strada che dal fondo del pref.o S.r Donatario Febo D’Adda, ove ora esiste il sud.o di lui Roccolo, mette all’altro fondo d’esso Sig.r Febo D’Adda ove ora esiste la di lui sud.a Bressanella: tale parte sud.a di terreno si conviene, e consiste ripartita in tre distinte ubicazioni; l’una cioè è di Tavole quattro, Piedi tre ed Oncie tre a Ponente dell’inf.o Viale; e l’altra è di Tavole otto, Piedi uno ed Oncie sei a Levante del sud.o inf.o Viale; e la terza che è posta in vicinanza del sud.o Roccolo è di Tavole dodici, Piedi sette, Oncie tre, cosicché in tutto formano Pertiche una, e Tavole una, coll’estimo di Scudi 2. 3. 5. marcate nella d.a Mappa Censuaria sotto parte del n°. 159 di ragione del pref.o Sig.r Sacerd’e Ferdinando D’Adda; e sono coerenziate la prima a Levante, Mezzodì e Tramontana da beni dello stesso Sig.r Sacerd.e Ferdinando D’Adda a linea, ed a Ponente da beni dello stesso Sig.r Febo D’adda mediante colatore, metà compreso = la seconda a Levante da beni del pref.o Sig.r Febo D’adda, ed a Mezzodì, Ponente e Tramontana da beni del Donante Sig.r Sacerd.e Ferdinando D’Adda a linea = e la terza finalmente a Levante, Mezzodì e Ponente, da beni del Sig.r Donatario Febo D’Adda, mediante per la prima tratta a fosso morto di metà, e le altre due a linea, ed a tramontana dallo stesso Sig.r Febo D’Adda mediante fosso tutto compreso

Inoltre il sudetto Sacer.e Sig.r Ferdinando D’Adda, spontaneamente, e come meglio ed a titolo parimenti di donazione, ed a stipulaz.e, ed accettazione del pref.o Sig.r Febo D’Adda per sé e suoi e chiunque avrà dato da lui

Ha conceduto e concede, ed ha imposto e impone, l’inf.a servitù perpetua di passaggio sull’inf.a del sud.o proprio viale: la detta servitù consiste nel diritto di passaggio come sopra conceduto, sulla larghezza di due Trabucchi per la lunghezza di sei Trabucchi sull’anzidetto viale, il quale è quello che esiste di fronte alla Casa civile d’attuale abitazione d’esso Sig.r Donante Sacerd.e Ferdinando D’Adda, in Mappa Censuaria al n°. 159. …”

La sezione di mappa riproduce il lotto 116 (confinante col 135-137 dove è collocato il Roccolo), che ridisegnato diventerà 113 poi 159, attraverso il quale passerà la concessione dell’Abate a Febo – orientamento col Nord a destra

La parcella catastale 159, derivata da un originale 116 poi 113 divide i possessi di Febo da quelli dell’Abate, e attraverso questa avviene l’impostazione del passaggio.

1722 – Sezione parziale del foglio IX. Il numero 113 è corretto in 159. Il Roccolo è posto sul confine fra 160 e 162

Dalle mappe catastali, rilevate una cinquantina di anni prima dell’erezione della villa dell’Abate e della strutturazione di vialetti e strade relative, non è possibile seguire nel dettaglio il percorso indicato nell’atto, forse una migliore idea, ma sempre approssimata si ha seguendo la linea immaginaria di congiunzione fra i due impianti sulla “Carta” del Brenna.

1830 circa – L’immagine mostra come era articolata l’impostazione di strade, stradine e viali che sezionavano gli spazi a Nord della villa non più riconoscibili oggi.

Un’ultima considerazione a conclusione della lettura dell’atto. Rimane chiaro il fatto che la donazione comporterà una diminuzione del reddito imputato che sarà trasferito a carico di Febo d’Adda, compresi il costo del rogito e le copie relative

Le premesse cose si sono fatte, e si fanno a titolo di donazione come sopra, procedente da mera liberalità cagionata dal sentimento di distinta stima, ed affezione del pref.o S.r Donante, e con le segu.i convenzioni

1.a Li carichi pubblici d’ogni natura e denominazione su d.o terreno donato, ossia meglio sulle anzidette parti donate di d.o terreno incumbono per tutto il corr.e anno 180sette al sullodato Sig.r Donante, indi in avanti incumberanno al pref.o S,r Donatario; il quale ne farà altresì seguire il relativo trasporto a’ Registri Censuari.

2.o Il pref.o S.r Donatario Febo D’Adda terrà sollevato, e indenne il pref.o S.r Donante da ogni molestia ed impegnanze in causa dal vegliante affitto delle parti di terreno donate.

3.o Al pref.o s.r Donante si conviene e si ritiene pienamente esonerato da ogni livello, ed altro qualunque simile peso che si scoprisse sulle parti donate, ed indenne del pref.o Donatario che se ne assume il carico e conseguenze.

Il pref.o S.r Febo D’Adda Donatario rende le più cordiali e ossequiate grazie e professa obbligazione e riconoscenza distinta al pref.o S.r Donante

Il presente si fa a rogito, e rimane nella abbreviatura di me Not.o inf.o qual patto?, solenne, e giurato inf.o anche a norma dell’Art. 931. ??? vi si ritengono come qui espresse tutte le rispettive corrispondenti obbligazioni di ragione; e sono a carico del pref.o Sig.r Febo D’Adda Donatario le spese del Registro, e d’una copia aut.a di prima ediz.e da darsene al prelodato Sig.r Donante; e finalmente si rinuncia dalle pref.e Parti contraenti ad ogni eccez.e sotto ???

Li sull.i Sig.ri contraenti furono ??? ??? edotti anche da me Not.o inf.o così dell’importanza delle sud.e clausole, ed obbligazioni, come della differenza del ragguaglio fra le lire Milanesi, e le lire Italiane.

 

NOTA: La fotografia usata in testa all’articolo è uno scatto del 1996, opera di Carlo Bestetti