ARCORE GENESI DI UN NOME
La proposta di una interessante ricerca sulle origini del nome “Arcore”.
L’autore è il signor Tonino Sala, appassionato e cultore di storia locale. In passato ha realizzato come coautore, un pregevole volume: “Arcore, un popolo la sua chiesa il suo territorio”. Collabora, per la parte dedicata alle ricerche storiche, con la pubblicazione comunale “Arcore per te”.
ARCORE GENESI DI UN NOMEdiTONINO SALA |
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L’imposizione di un nome è un atto metafisico di valore assoluto; con ciò si stabilisce l’unione tangibile e definitiva dell’uomo e della cosa, poiché la ragion d’essere della cosa consiste nel venire localizzata tramite il proprio nome, mentre la funzione dell’uomo è di parlare per dargliene uno.
SARTRE |
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INTRODUZIONE |
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Per spiegare lo spirito della ricerca credo opportuno stralciare da “Ipotesi sulle radici preindoeuropee dei toponimi alpini” P.L. Rousset, parte dell’introduzione al testo alla quale mi sembra inutile aggiungere altre parole: Invito al viaggio tra parole e storia I nomi di luogo, quasi fossili dimenticati, meriterebbero un’attenzione ben maggiore; la sonorità di qualcuno, così piena, sembrerebbe uscita da una scintilla di creazione divina. Altri invece ci urtano a tutta prima per la loro dissonanza, tutt’altro che famigliare. Nomi comunque destinati ad animare la nostra terra, conferendole significato e sapore; consacrati dall’uso, come l’arredo di casa, anche se ce ne siamo scordata l’esatta provenienza. Nomi lasciatici dai nostri progenitori in misura assai più copiosa di quanto essi non abbiano fatto con strade monumenti e tombe. Talora sono toponimi di origine sconosciuta, ma tuttora vivi; davvero straordinari se sono riusciti a sopravvivere per millenni, più o meno intatti. Possono essere eredi di un grido emesso allora durante il trambusto dell’azione, oppure frutto della saggezza, del giudizio o dell’esperienza. Echi di una lingua dimenticata che continua a risuonare nella nostra bocca, talvolta un po’ gonfiati, talaltra tronchi, quasi sempre reinseriti in un diverso contesto fonico. Forme diverse che il tempo ha levigato e che, per la loro varietà, si prestano ad essere classificati in famiglie quasi fossero fiori Gli appellativi più recenti non richiedono di solito molta fantasia per palesare il proprio significato; non così quelli di origine molto antica, che possono essere decifrati solo con un’indagine estesa alla storia, agli idiomi ed alle leggi dell’evoluzione fonetica. Nonostante ciò, alcuni toponimi, di incerta datazione, restano veri enigmi: essi imbavagliano la nostra intelligenza con irritante superbia, rendendo tangibile la nostra ignoranza. Paradossalmente la loro inaccessibilità e il loro ermetismo incutono rispetto e conferiscono maggior prestigio. Per tentare d’interpretarne il significato, la ricerca deve essere estesa anche alla realtà ambientale che il toponimo in qualche modo deve rispecchiare, comparando situazioni simili in altre aree geografiche con la tesi degli studiosi della materia. L’onomastica è scienza relativamente giovane, tutt’ora in fase di progresso: certamente in futuro le conoscenze aumenteranno. Queste pagine sono state redatte pensando a tutti coloro che amano la propria terra, il proprio villaggio, le acque e le montagne circostanti, e che si augurano di scoprirne sempre di più i segreti legami culturali col mondo del passato ricostruendo le maglie della lunga catena umana. Anni di lavoro nel settore della toponomastica mi hanno insegnato che gli errori d’interpretazione possono essere numerosi e ricorrenti e che io non debbo ritenermene immune. Chiedo venia prima ancora di portare il mio modesto contributo: un tentativo di sviluppo nuovo, possibile di ulteriore perfezionamento. Ripercorrerò gli itinerari di presunte migrazioni, chiederò aiuto alla filologia, all’antropologia, alla preistoria e alla storia, al fine di scoprire la ricchezza dell’eredità lasciataci dalle centinaia di generazioni che costituiscono lo spessore del nostro sottofondo umano. Il tutto per meglio comprendere e rispettare la terra dove viviamo. Origine dei nomi ed evoluzione del linguaggio La toponomastica non studia altro che l’eco delle parole umane, mentre la geologia studia i segreti della crosta terrestre. Tuttavia le due discipline presentano qualche analogia. Esse vanno via via confondendosi, quando si percorre a ritroso nel tempo il fantastico cammino dell’umana cultura, frutto entrambe delle prime constatazioni sul terreno e delle prime impressioni. Non solo, ma come gli strati del terreno si impilano gli uni sugli altri nel corso delle centinaia di milioni di anni, così i toponimi si sovrappongo a strati successivi a misura di secoli. In tutte e due le scienze il livello più antico va definito substrato ed è stato oggetto di azioni disgregatrici, sottoposto a enormi pressioni che lo hanno deformato e reso talvolta irriconoscibile, a causa di spinte orogenetiche o linguistiche. Ogni strato conserva i suoi fossili e l’evoluzione continua impercettibilmente, da una parte per opera degli agenti terrestri ed atmosferici, dall’altra per effetto d’un cambiamento etnico o culturale, o ancora per via di un nuovo utilizzo dell’ambiente. Continuando nella metafora, esiste una deriva per i continenti ed un’analoga instabilità per le lingue. Dopo periodi di uso corrente, talune espressioni vengono dimenticate, altre cambiano significato, altre ancora passano in eredità alla civiltà successiva, sempre in debito di qualcosa alla precedente. La ricchezza di un vocabolario proviene sovente da una molteplicità di prestiti e di scambi di ogni genere. Gli idiomi pre celtici, in uso per migliaia d’anni, hanno lasciato numerose tracce nelle parlate alpine. Se poi passiamo a discutere di fonetica le trasformazioni sono ancora più evidenti sia nella modulazione dei suoni, sia nel ritmo, sia nella sillabazione, con aspirazioni, raddoppi, cancellazioni, agglutinazioni. Una evoluzione inconscia ma continua, intesa istintivamente a rendere la pronuncia più facile. Per lo studio dei toponimi si rende quasi indispensabile la conoscenza dei suoni antichi, di solito ancora presenti nei patois locali, e delle leggi che hanno governato le loro trasformazioni. I nomi originali, derivati dal greco, dal celtico o dal latino sono passati attraverso il latino volgare, l’idioma in uso tra mercanti, soldati e coloni. All’epoca dei re merovingi, longobardi e carolingi, il basso latino, mescolato ai resti di parlate liguri, celto-galliche, franche, germaniche, ha dato origine alla “lingua romana rustica”, che, secondo le diverse capacità foniche ed articolatorie dei vari popoli, assunse particolarismi regionali. In seguito sono intervenuti altri particolarismi a frammentare ulteriormente l’area linguistica. L’evoluzione dei termini latini è nota, meno quella dei vocaboli gallici, quasi sconosciuta quella delle forme più antiche. Ma oltre alle trasformazioni fonetiche, altri problemi vengono a complicare le cose. Alcune denominazioni ufficiali, imposte dall’amministrazione romana che suonavano troppo colte o straniere, sono state sostituite da toponimi più efficaci e più comprensivi, quando addirittura non hanno ripreso le voci precedenti, col decadere delle istituzioni imperiali. Il fenomeno è ben documentato lungo gli itinerari delle vie consolari. Altre volte è l’originario nome autoctono ad essere soppiantato. Famiglie di toponimi, a prima vista assai diversi, in realtà non lo sono mentre altri, che in apparenza si somigliano, non derivano affatto dallo stesso ceppo. Può anche. capitare che sullo. stesso nome sussistano parecchie ipotesi: la toponomastica non e una scienza esatta e presenta i suoi punti oscuri. Tuttavia, Il fatto che per una stessa denominazione si affaccino interpretazioni diverse, ciò non prova una congenita fragilità della nostra ricerca scientifica, ma semmai dimostra la complessità dei problemi sollevati e la nostra incapacità a risolverli. Quanto all’ortografia, occorre procedere molto guardinghi, perché essa non è sempre corretta nei documenti antichi. Gli amanuensi medioevali sovente latinizzavano ciò che al loro orecchio suonava un po’ troppo “barbaro”, mentre i successivi addetti all’amministrazione o i compilatori di carte, non pratici dei dialetti locali, non capivano il significato di certi nomi, o non sapevano come scriverli. Questa la causa più frequente di molte storpiature o di errori in serie che ci siamo tirati dietro sino ad oggi. Perciò la prima lettura deve essere fondamentalmente critica: occorre il riscontro della pronuncia locale e possibilmente la conoscenza della morfologia del terreno interessato. |
Come nascono i nomi? La necessità di identificare nel discorso luoghi visitati, ma che non hanno ancora avuto una nominazione, costringe, chi ne parla, a ricorrere a perifrasi fisio-grafiche per richiamarli alla memoria degli interlocutori e la caratterizzazione preminente viene, frequentemente, a costituirne il nome.
(Al paese di mia suocera, Montemagno d’Asti, proprio di fronte al balcone della sua casa, lontano un tiro di schioppo, sul dorso di una collina, fra le quattro case di un cascinale, vi sono numerosi, alti e grossi pioppi – Populus Tremula – che nel dialetto locale sono detti “arbre”, dal latino “arboretum”, e la località è conosciuta come “ou an ca l’arbre”: là dove vi sono i pioppi. I pioppi caratterizzano il luogo e gli danno il nome: la cascina è chiamata oggi “Albera”) Anche il ricordo di fatti specifici accaduti o di ritrovamenti serve, a volte, a denominare il luogo col nome del fatto stesso. La nomenclatura delle cose segue, spesso, la stessa regola. (Anni fa, mentre con l’amico Porta si andava a raccoglier chiodini nei boschi del vallone di Corezzana, mi capitò di sentir battezzare una lunga fila di Clitòcybe Nebularis – il comune “fungo della nebbia” che nell’autunno, infeltrendo e colonizzando col suo micelio le foglie cadute, genera una vera e propria esplosione di frutti – col nome dialettale di ” A ROSC”, che significa: “a frotta, stormo, sciame”. Il modo di presentarsi lo caratterizzava e un neologismo appropriato ne generava il nome) |
GENESI DI UN NOME |
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E il nome del nostro paese da chi o da che cosa può aver avuto origine? Dalla conformazione del territorio, da qualche caratteristica particolare … l’inizio di una via … o altro, dall’esistenza di un culto particolare dedicato a Ercole, dall’esistenza di un arco trionfale dedicato a … chi? .. e per celebrare che cosa? .. , dalla venerazione di antiche deità celtiche, da un fatto particolare accaduto in luogo?
E in quale lingua nacque il nome? Una ricerca storica risulta relativamente facile quando chi la effettua può contare sull’ausilio di antichi documenti o frammenti di cronache sopravvissute al volgere dei secoli, tuttavia quando manca qualsiasi riferimento scritto sul passato più lontano delle umane vicende, qualche indizio rimane sempre a disposizione del ricercatore appassionato. Ma qui non si tratta più di indagine storica, si potrà invece parlare di ricerche archeologiche, toponomastiche, filologiche, linguistiche dalle quali trarre delle conclusioni che non sempre risultano vere. Anche con le supposizioni si può ricostruire la storia, ma i risultati a cui si perviene sono ben lungi dall’essere considerati storia a meno che, in un secondo tempo, intervengano prove inoppugnabili a dimostrare che quanto si è supposto sia realmente accaduto in una data epoca. Quel che si scrive, spesso, è un tentativo di colmare gli ampi spazi vuoti in cui vissero coloro che ci portarono le prime luci di civiltà evolute e dei quali non resta più traccia. Genti che vennero da lontano e che giunte qui svanirono apparentemente nel nulla, per il motivo che i loro successori, dimenticarono presto chi li aveva preceduti lungo il cammino della vita e anziché conservare gelosamente le loro testimonianze, le distrussero fors’anche intenzionalmente. L’uomo è presente, come in altre regioni, da tempo immemorabile; il ritrovamento di cave e di utensili di selce in località molto prossime (ad esempio il luogo di Barbabella nella valle del Curone a nord di Montevecchia) induce a credere che la zona fosse già percorsa, o addirittura abitata, oltre centomila anni fa. I cacciatori del Paleolitico, che, nelle fasi interglaciali, al seguito delle mandrie di erbivori, penetrarono per primi il nostro territorio, ebbero il problema di attribuirgli un nome per poterlo identificare e, certamente, dal loro povero linguaggio, ricavarono la descrizione necessaria a caratterizzarlo. Come poteva essere il paesaggio del tempo possiamo solo immaginarlo in quanto, sia la conformazione del terreno che la vegetazione, dovevano ancora cambiare per la quinta volta sotto la spinta dell’ultima glaciazione. L’avvento del periodo post-glaciale dava poi l’aspetto definitivo al territorio: a ovest i residui morenici formavano, nel gradino dei terrazzamenti fluviali, basse colline, fortemente ferrettizzate, coperte dalla vegetazione tipica della brughiera, fortemente incise dai dilavamenti meteorici, e, ai piedi di queste, una foresta solcata da rogge e fossi generati dal displuvio collinare e da risorgive con ristagni paludosi nelle aree di confluenza a formare il paesaggio che si presentava ai Paleoarcoresi del Mesolitico. Quali furono le prime civiltà che si affacciarono a questo sorprendente paesaggio è impossibile dirlo e, se non fosse per alcune sopravvenienze toponomastiche, saremmo del tutto impossibilitati a trarne anche le più azzardate conclusioni. Sta di fatto che tra il 1500 e il 500 a.C. si assiste a radicali mutamenti in tutta la penisola. Forse l’avvento della civiltà dei metalli contribuisce non poco, sia pure indirettamente, all’evolversi di forme di vita non sempre del tutto primitive. Dalla regione Danubiano-Carpatica prima e dall’Illirico poi si ha un crescendo di migrazioni di popoli tutti diretti verso l’area Mediterranea. Sono queste le premesse per la nascita di quelle civiltà che caratterizzeranno tutta l’evoluzione della nostra penisola. L’evoluzione dei gruppi umani, che percorrevano la regione, portandoli da una economia di caccia e raccolta ad una economia agricola e di allevamento, introduce la formazione dei primi agglomerati sedentari e la conseguente modifica del paesaggio originario con una progressiva riduzione della foresta. Anche la necessità di procurarsi grandi quantità di combustibile, per realizzare le nuove scoperte tecnologiche della ceramica e della metallurgia, contribuisce al diradamento delle foreste ed all’acquisizione di nuove aree per l’agricoltura. Gli insediamenti erano delimitati da terrapieni e da fossi che potevano servire per scopi di difesa e per isolare l’abitato dalle acque, essendo le zone di insediamento prevalentemente acquitrinose. La vita vi si svolgeva ancora in ordine sparso, al più in villaggi tra loro collegati, ma entro limiti locali ancora senza consapevolezza alcuna di appartenenza comune a ceppi etnici uguali. Solo la penetrazione di nuove tribù estranee genera tra i gruppi locali preesistenti un senso di solidarietà e la convinzione di appartenenza a una comune stirpe. Gli storici fanno varie ipotesi sulla successione degli stanziamenti in luogo, parlano di Liguri, Umbri, Orobi ai quali seguirono gli Etruschi, apportatori di più evolute civiltà, e le successive invasioni di popoli Celti che in più riprese finirono per occupare tutto il territorio fino all’arrivo dei conquistatori Romani. Al contrario di alcuni paesi limitrofi, Monza, Biassono, il nostro non ha ad oggi alcun reperto da mostrare, ed è solo l’analogia territoriale che consente di esprimere supposizioni sufficientemente accettabili. D’altra parte, questi nostri campi voltati e rivoltati per migliaia e migliaia di anni, la cui consistenza del suolo è chimicamente capace di disgregare qualsiasi residuo organico o inorganico, possono restituirci qualche frammento testimoniale solo di un passato molto recente. E’ probabile che testimonianze di vita antica, se ci sono, si trovino sepolte sotto le costruzioni del centro del paese e solo qualche caso benigno potrebbe riportarle alla luce. E’ dimostrato che la maggior parte degli antichi abitati sorge e risorge sulle sue stesse rovine ripetute volte e che spesso solo una fortunosa scoperta ne svela il mistero. Si ritiene che non possa esistere convivenza senza il linguaggio che è da ritenersi insieme espressione della vita sociale e condizione essenziale dell’esistenza anche per il primitivo. Quale fosse il linguaggio dei nostri Primi non è possibile sapere, bisogna arrivare ai Liguri, agli Umbri, agli Etruschi e ai Celti per avere, nei nostri luoghi, tracce certe di linguaggio sopravvissute frammentariamente nella toponomastica, nella idronomia in paleo residui dialettali, |
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Affermano gli specialisti che i suffissi in ACO siano di origine Ligure e che, ad esempio, il termine dialettale FERS FERSA, per indicare il morbillo, derivi dall’etrusco VERS o VERSE che significa FUOCO. | ||
interpretazioni che attendibilmente svelano parzialmente l’etimologia di certi termini linguistici dialettali nei quali le antiche lingue hanno lasciato la loro traccia. Gli esperti dicono anche che sono i nomi dei luoghi a conservarne l’impronta più profonda. Infatti, in un susseguirsi di sovrapposizioni etniche e organizzative, i luoghi sono le uniche cose che possono mantenere il loro carattere originario e il loro nome, sia pure nelle deformazioni dalla loro lingua primitiva, non scritta, con tutte le declinazioni e variazioni di pronuncia possibili dovute alla degenerazione linguistica ambientale | ||
(Rammentiamo, ad esempio, che anche nella Arcore dell’anteguerra non si parlava un solo dialetto, ma ogni località, anche relativamente vicina, aveva parecchi vocaboli ed intonazioni proprie, tali da poterne classificare la provenienza dal suono della parlata, inoltre, dicono gli studiosi, il linguaggio di un gruppo ristretto in un piccolo ambito, senza scambi culturali, è destinato a decadere e il suo vocabolario a restringersi sempre maggiormente. La stessa nomenclatura può diventare cumulativa, i suoni perdere le articolazioni e l’espressione vocale ridursi al grugnito) | ||
alla latinizzazione | ||
(E’ accertato che là dove la conquista romana non cambiò radicalmente le denominazioni delle varie località, per esigenze di natura pratica e linguistica, cercò di adattarne i suoni alla lingua latina secondo i sistemi di scrittura, di morfologia e di pronuncia) | ||
successivamente deformata e contratta nella dialettizzazione e alla finale traslazione nella lingua Italiana. |
Digressioni etimologiche: tanto per divertirci un po’ |
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Virginio Riva, in “Le Origini della Brianza”, nelle note relative al torrente Molgora, ne traccia una analisi etimologica: ” … sembra che a quei tempi il nome del predetto torrente fosse MURCULA, probabile degradazione del latino AMURCULA la cui traduzione italiana equivarrebbe a MORCHIA – DETRITI. Nonostante il parere contrario di linguisti, filologi e studiosi di etimologie toponomastiche che vorrebbero far ascendere l’appellativo a origini galliche col significato sia di palude (vedi il celtico MURG) sia di confine (con l’espressione MURGA) … “ Quindi, se nel linguaggio dei Celti le zone paludose erano indicate col nome di MURG, può essere che la nostra località fosse conosciuta proprio per la morfologia del territorio (compreso fra Molgorana, colline, fossi e rogge che con i loro ristagni impaludavano i terreni di quello che è oggi il “centro – mès Arcol” dove i Terramaricoli del Villanoviano avrebbero potuto avere a disposizione strisce di terreno asciutto, in leggero rialzo, circondate da acque: soluzione tipica ideale per le loro modalità di insediamento) e il nome subire la stessa evoluzione indicata dal Riva per il Molgora: MURG – MURCULA – AMURCULA (dal quale deriverebbe poi anche il nostro Molgorana). Per la verità, sul nostro attuale più antico documento (1046 – Testamento di Tuniza) il nome è Brigulana e vi sono due radici celtiche che unite potrebbero dare una spiegazione diversa circa l’origine del nome in relazione all’ambiente originario del luogo: ristagno o corso d’acqua sotto la collina. AMURCULA, questa espressione comprende quasi integralmente “A(mu)RCULA – ARCULI” il nome col quale il paese è indicato nelle più antiche carte che ad oggi conosciamo e che ci riguardano: “IL TESTAMENTO DI TUNIZA” e “LA DONAZIONE DI UMFREDO”, pergamene del 1046 la prima e 1100 l’altra, custodite nell’Archivio di Stato di Milano, con le quali due Arcoresi medievali dispongono di alcune loro proprietà. Amurcula, nome latino… |
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(ma come era il latino corrente di allora nelle nostre zone? Non certamente quello classico di Cicerone. Si trattava di un volgare in uso tra il popolo e i legionari, destinatari delle assegnazioni operate con la centuriazione, provenienti dalle più disparate regioni, che stava al latino quanto il romanesco sta all’italiano. E le località che i romani rinvennero da queste parti furono spesso ribattezzate per utilità, non solo di pronuncia, con nomi significativi che enunciavano le caratteristiche della zona. A complicare ulteriormente le cose, spesso a renderle contraddittorie, provvedevano poi gli amanuensi con la loro libera interpretazione nella trascrizione fonetica delle pronunce) | ||
pronunciato da chi latino non è e che ha tendenza a dialettizzare nella propria lingua la pronuncia, con elisioni e contrazioni tipiche della sua parlata, diventa facilmente Arcol, che è il nome col quale il nostro paese è ancora oggi conosciuto, e la sua trascrizione in documenti ufficiali, redatti in lingua latina, non può che essere ARCULI Il ricercatore Paul Louis Rousset in Ipotesi sulle radici preindeuropee dei toponimi alpini, afferma che la radice AR è un idronimo che significa acqua corrente: ” il radicale AR, significante acqua si trova usato in molte lingue medio-orientali di origine camitico-semitica, Nel dravidico AR – ARA – AN sono sostantivi o verbi indicanti l’acqua e il suo fluire. Voci simili sono presenti nell’assiro, nel copto, nel nubiano, nell’accadico e nell’ebreo dove naru, nahar significano fiume; il caldeo impiega arras per canale”. Se quanto sopra ha qualcosa a che fare con Arcore, disposto lungo la Molgorana, l’origine del nome sarebbe ben più antica di quanto si crede. Sempre parafrasando la tecnica interpretativa che il Riva ha esposto nel suo libro, si presentano però altre ipotesi sul significato del nome ARCORE e sulla sua genesi avendo sempre per base di partenza la caratterizzazione topografica. Per Lesmo, considerato come l’estrema propaggine di quella ininterrotta collina che lo unisce a Montevecchia, Riva dice: “…come si sa la catena collinare di Montevecchia è molto estesa essendo compresa fra le seguenti località: Lissolo, Sirtori, Viganò, Monticello, Casatenovo, Lesmo, …se poi diamo uno sguardo ai più antichi appellativi dei villaggi, potremo costatare che Lesmo è citato come LEDEXIMUM oppure LEDESMUM nel latino ecclesiastico, più che probabile derivazione da un già corrotto LIMES DE IMO proveniente dall’originario LIMES IMUS ovvero CONFINE PIU’ BASSO, contrapposto a LISSOLO, espresso in LISOEU nel nostro dialetto tradizionale, che vorrebbe significare LIMES SUMMUS cioè CONFINE PIU’ ALTO…” Però se si guarda con un po’ di attenzione, si nota che il primo rilievo collinare, sia pure di modestissima entità, inizia ad Arcore e si può supporre che da questo luogo partisse una strada verso le colline o anche solo per indicarne genericamente la collocazione, essendo il luogo non ancora battezzato, potrebbe essere chiamato “verso le colline” e cioè, sempre alla latina, AR-COLLIS, AR-COLUMEN (verso il colle, verso il culmine) e il modo di dire, entrato nell’uso dialettale, sostantivatasi in ARCOLI-ARCULI. Era uso del tempo anche collocare su modesti rilievi are o tempietti votivi dedicati al culto di divinità del luogo e la loro possibile esistenza fornire una ulteriore versione caratterizzante: altare sul colle, altare sulla cima – ARA (in)COLLIS o ARA(in)COLUMEN, con le medesime alterazioni dialettali in ARCOLI – ARCULI – ARCUL. |
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Porcelit |
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PORCELIT, è il nome col quale sono soprannominati gli arcoresi, per quale motivo? Da dove viene tratto questo appellativo? “…fino a tutta l’età del bronzo non ci sono testimonianze che facciano presupporre l’esistenza di raggruppamenti etnici di qualche rilievo: la vita vi si svolgeva in ordine sparso, al più in villaggi tra loro collegati, ma entro limiti locali, come in quelli palafitticoli, terramaricoli e nei castellieri, certo senza consapevolezza alcuna di appartenenza comune a ceppi etnici uguali. La terra non difettava e l’esuberanza demografica trovava facile sfogo, con la pratica del VER SACRUM comportante, in occasione di carestie o pestilenze, il trapianto rituale dei nati in un determinato anno, quando fossero giunti a maggiore età, in altre località all’insegna di un simbolo totemico, toro, picchio, … maiale, ecc. Questa pratica rimase viva nel ricordo anche in piena età storica, quando già si era ridotta a mero valore rituale, senza più connessione con le esigenze primitive, ma dovette aver peso notevole nel popolamento in età arcaica. La tenacia con cui i Liguri difesero in età storica le loro strutture tribali è prova del grado in cui queste si erano radicale…“ Il simbolo totemico del maiale avrebbe potuto essere l’insegna sotto la quale era stato fondato il nuovo villaggio e nella tradizione rimanerne la traccia a dare il nome agli abitanti: porcelit! Malnati – Manfredi, nel loro libro” Gli Etruschi in Val Padana” scrivono: “…Difficile ricuperare dalla Padania moderna gli echi della sua antica matrice Etrusca senza rischiare di cadere nell’approssimativo o nel folkloristico. Alcuni sono forse ancora percettibili in certe tecniche tradizionali e in certi aspetti culturali del mondo contadino, altri nei nomi di qualche corso d’acqua, di borghi e di città e in certe parole del dialetto, altri ancora in talune vocazioni produttive del territorio”. E’ indubbio a questo proposito che l’allevamento intensivo del maiale che abbiamo visto introdotto dagli Etruschi, continuò a praticarsi, senza soluzione di continuità con l’arrivo dei Celti poi in età romana e su su nel Medioevo fino ai nostri giorni…” Nel IV° secolo a.C. parecchie tribù celtiche penetrarono profondamente nella regione spezzando la potenza etrusca e fissandosi nella valle del Po che divenne la Gallia Cisalpina, onoravano molteplici divinità (più di 400 divinità regionali). Gli dei del Pantheon celtico erano rappresentati talora accanto ai simboli delle loro prerogative (il dio del mazzuolo, il dio della ruota, ecc.) talora in aspetto zoomorfo. Che ci fosse anche un dio celtico rappresentato sotto forma di maiale e particolarmente venerato nei nostri luoghi? Polibio, storico greco, vissuto tra il 203 e il 120 a.C. autore delle “Storie” scrive: “…non è facile riferire sulle possibilità di questa terra… e quanto alle ghiande la produzione di querceti diffusi nelle piane risulta dall’enorme abbattimento di suini destinati all’alimentazione di militari e civili. E’ storico quindi che il suino fosse una delle basi dell’economia locale (è rimasta memoria storica in una razza celtica di suini la cui tipologia è presente ancora oggi negli allevamenti) e potrebbe anche essere che l’organizzazione degli allevamenti fosse tale da avere nel suo ambito, sulla scorta dei riti celtici, un culto a qualche idolo protettore particolarmente venerato dagli allevatori e che dai romani venissero chiamati “veneratori dei porcili” e cioè, alla latina “HARA COLENS” dal quale potrebbe derivare ARCUL e spiegare l’attribuzione del soprannome PORCELIT. |
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Parliamo ora di cose serie (?) |
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Stralciamo da quanto scritto nelle PREMESSA de “La Storia di Arcore” testo ufficiale, edito dal Comune, le note della compilatrice Luisa Dodi:
“…Al lettore che si accinga ad addentrarsi nell’argomento potrebbe legittimamente sorgere le curiosità di sapere qualcosa intorno al nome e alle origini del paese oggetto della narrazione. Cercheremo, in queste brevi note introduttive, di soddisfare tale curiosità, nei limiti consentiti dagli elementi piuttosto vaghi e incerti di cui disponiamo. Ciò del resto apparirà dalle considerazioni che seguono”. “II nome di Arcore è di etimologia incerta; tuttavia gli studiosi che in passato si sono occupati della questione ne hanno associato concordemente l’origine al culto di Ercole o alla presenza in loco di un arco romano, oppure ad entrambe le cose”. (non mi pare proprio concordemente: infatti più avanti troveremo l’Olivieri che è di tutt’altro parere). “All’inizio del Cinquecento, il famoso giurista e studioso dell’antichità Andrea Alciati si riferiva al borgo arcorese in questi termini: ” …pago Archo, seu ut alij castigatius putant, Herculis… ” (il villaggio di Arcore, o come altri pensano più correttamente, di Ercole) …Nel Settecento lo storico Giorgio Giulini (1714-1787) così scriveva: ” …Nella Pieve di Vimercate, evvi una Terra comunemente chiamata Arcori, e volgarmente dagli abitanti Arcol o Ercol…”. Lo studioso vimercatese Giovanni Dozio, in un suo scritto del 1853, confessava di non saper rispondere al quesito ” …se il nome al villaggio divenisse da Ercole qui per ventura onorato con culto speciale ai tempi gentileschi, o piuttosto da un sontuoso arco qui eretto ai tempi romani… “. Sulla medesima linea era Cesare Cantù: ” Di Arcore …vogliono alcuni che il nome derivi da un tempio di Ercole, altri da un arco romano… “. Sempre nell’Ottocento, nel Dizionario corografico dell’Italia di Amato Amati, stampato a Milano nel 1872, troviamo scritto” …Si pretende da taluno che il nome derivi da Ercole, pel culto che vi si prestava in un tempio che ivi sorgeva in onore di quel dio. Altri lo vorrebbe trarre da un arco romano, che quivi pure esisteva… “. |
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«Le citazioni riportate mettono dunque in evidenza due possibili origini del nome di Arcore: una si collega alla presenza nel territorio arcorese di un arco romano (che si è supposto situato all’altezza di Bernate lungo la strada per Lecco); l’altra legata a Ercole, l’eroe della mitologia greca che compì le memorabili dodici fatiche. Sembrerebbe che Ercole fosse onorato ad Arcore con culto speciale in un tempo a lui consacrato o, anche, che gli abitanti, forse in segno di gratitudine per l’accordata protezione, avessero eretto in suo onore un arco di trionfo. Il culto di Ercole, molto diffuso in epoca romana nella zona vimercatese e monzese, era fra l’altro praticato anche dai Celti; elemento questo che pone interrogativi su una possibile presenza celtica, preesistente all’occupazione romana, nel territorio qui considerato. | ||
“Tornando all’etimologia che ci interessa, va riferito ancora quanto sul nome Arcore dice il Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani (Torino 1990), lo studio più completo e aggiornato in materia, che ingloba anche il Dizionario di toponomastica lombarda di Dante Olivieri.”
(Milano 1931, 1962): ” …Arcore. Centro della Brianza, anticamente legato al locale monastero benedettino… Il toponimo, in dialetto àrcor, ed in latino ecclesiastico Arcorum, riflette …un latino arculae, diminutivo plurale di arca, nel senso di ‘granaio’ o piuttosto come termine agrimensorio indicante ‘confine quadrato costruito simile a un’arca, ‘segno di confine’. Tuttavia non si può escludere che Arcore rappresenti un’antica forma di plurale arcora dal latino arcus ‘arco’ |
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(Per la verità le note dell’Olivieri fanno riferimento al Pieri il quale attribuisce ad arca il senso agrimensorio escludendo che si debba intendere nel senso di granaio. Il Devoto deriva arca, custodia, da ARCERE, radice ARK – attestata anche nelle aree greca: ARKEO = proteggo, e armena col senso di impedire, proteggere. L’impressione che si ricava da tutto quanto sopra è che l’uno ha copiato dall’altro senza cercare se vi fossero altri riferimenti documentabili; i più antichi testi, 1046, 1100 e 1130 scrivono Arcole, Arculi, Arcuri. Anche la pubblicazione del Comune datata 1955 stampata in occasione dell’attribuzione dello stemma ufficiale non migliora le cose: ” …secondo i precedenti storici forniti dall’Archivio di Stato, l’antica comunità di Arcore sarebbe legata a memorie storiche Benedettine e l’etimologia deriverebbe dal latino ARCORUM … per l’erezione in luogo, e più precisamente all’altezza dell’attuale Cascina Bernate, di un sontuoso arco di trionfo in onore del dio Ercole da parte dei romani. Secondo altri invece, in quei luoghi onorato con culto speciale ai tempi gentileschi… “ Rimane da spiegare come mai un arco che sorgeva in quel di Bernate possa aver dato il nome ad un luogo relativamente lontano da esso e non al luogo stesso della collocazione. “CASTRA HIBERNA” è il nome dal quale deriva Bernate, il nome usato da Roma per identificare i campi invernali: ” …è peraltro noto che nei mesi invernali il grosso delle truppe stanziate in Germania veniva dislocato nelle nostre regioni in campi appositamente predisposti per ricollegarsi successivamente alle guarnigioni rimanenti sul posto agli inizi della bella stagione… “; quanto ad “Arcorum” non ho ancora avuto occasione di vedere alcun documento con questa forma grafica, solo il Dozio lo riporta nel suo testo su Vimercate, come declinazione di Arcuri.) |
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«Anche da quest’ultima citazione viene in luce come sull’etimologia del nome di Arcore persista una notevole indeterminatezza e quanto sia difficile distinguere la realtà dalla leggenda. Tuttavia è altrettanto innegabile che le diverse voci fin qui riportate rinviano tutte a una questione centrale, quella di una possibile origine romana del borgo arcorese. A favore di quest’ipotesi si possono ancora citare altri elementi, non probanti ma certamente significativi. “E’ innanzitutto interessante la documentazione sull’utilizzo agricolo del territorio in età romana. Com’è noto, all’epoca della conquista romana il territorio veniva suddiviso in cento parti (centurie), secondo le linee incrociate del cardo e del decumano (le strade principali che si estendevano la prima sull’asse nord-sud, la seconda sull’asse est-ovest). La centuriazione che dava luogo alla formazione di appezzamenti di terreno quadrati con il lato di 20 actus (circa 710 m), serviva per fare le assegnazioni di terre ai cittadini delle colonie di nuova fondazione. Le tracce di tale suddivisione sono ancora visibili sui rilevamenti cartografici della fine dell’Ottocento. Tali rilevazioni hanno messo in evidenza resti di centuriazione localizzati intorno a quella che oggi è una frazione di Arcore, Cascina del Bruno. E’ dunque ipotizzabile che sparsi per il territorio ci fossero degli insediamenti agricoli. Importanti sono anche gli elementi messi in luce da vari studi compiuti sulla rete stradale romana. E’ infatti emerso che il territorio dell’attuale Comune era attraversato dalla strada che univa Milano a Lecco, passando per Monza. Nell’area dove poi si è sviluppato il paese erano poste due pietre miliari: la prima, che contrassegnava una stazione di posta, si trovava all’altezza del luogo dove all’inizio del Novecento fu costruita la cascina Sentierone, l’altra era collocata probabilmente dove sorse poi il convento benedettino di Sant’Apollinare… “ |
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E per concludere |
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Sperando di contribuire a far nascere negli arcoresi qualche curiosità che li spinga ad approfondire la loro storia e di non aver messo assieme uno zibaldone ammucchiando, come dice il Merati: ” …oves et boves et universa pecora… “, vale la pena, riguardo alle derivazioni etimologiche locali, di richiamare quanto scrisse il Dozio quasi due secoli fa e che ancor oggi, nonostante i progressi della linguistica e della toponomastica, conserva in buona parte ancora il suo valore: “…io poi do i nomi dei villaggi della pieve nel latino-barbaro del medioevo quali stanno sulle carte, in Goffredo da Bussero e in altri documenti di quei tempi, senza farmi mallevadore del sapere e dell’esattezza dei notai, dei cancellieri e dei diversi scrittori, che li hanno registrati. E li do volentieri per giovare agli studiosi dell’antica corografia milanese: che, come la cronologia, così la corografia (ch’è parte minuta della geografia) sono i due occhi della storia. Li do anche per mostrare con esempi due cose: la prima come sia da far poco fondamento sulle teorie delle frasi lessicali, messe in campo ai dì nostri, assai vantate da taluni, ma, da altri, che pur sono uomini di vaglia, giudicate più ingegnose che vere a stabilire il preciso nome dato ai villaggi nei vari secoli del medioevo; la seconda, come meritatamente da uomini di grave senno sieno giudicati essere incerti e fallaci gli argomenti dedotti dalle etimologie e dai suoni dei nomi corografici; perocché quei nomi o furono variamente pronunciati e modificati dal succedersi di genti di diversa lingua venute a stabilirsi sulle nostre terre, o furono variamente scritti nei codici e nelle carte dagli uomini del medioevo, o diversamente letti e talvolta erroneamente applicati anche da grandi uomini imperiti della nostra corografia…”. |