5 Ottobre 1879: il tram arriva ad Arcore

5 Ottobre 1879: il tram arriva ad Arcore

Inizio delle corse

Il 5 Ottobre 1879, 145 anni fa, in occasione della “Fiera di Arcore”, ebbero inizio le corse del Tramway Monza-Barzanò. In quel momento occorreva accontentarsi del solo tratto che dalla cittadina di Monza, raggiungeva Arcore dopo aver attraversato la Santa e Villa San Fiorano, che all’epoca erano ancora unità comunali separate. La Società Anonima pel Tramway diede notizia, attraverso una lettera presentata per mano del suo direttore Guido del Majno, di aver ricevuto dalla Prefettura di Milano l’autorizzazione ad effettuare pubblico servizio nel tratto indicato. Lo stesso giorno la giunta municipale di Monza nella sua missiva protocollata N° 5419, si diceva stupita della decisione arbitraria della Società, per aver dato inizio alle corse, visto che la stessa non aveva dato alcuna risposta alle osservazioni portate dalla Giunta Municipale ed indicate nella missiva del 21 Settembre, in cui si segnalavano alcune necessari interventi per rendere sicura la viabilità. Nessuna autorizzazione dunque era stata concessa dal Comune. La lettera terminava indicando in dieci giorni il tempo concesso alla Società affinché provvedesse ad eliminare gli inconvenienti e  le infrazioni ai patti convenuti.

La tranvia Monza Barzanò, poi prolungata fino ad  Oggiono, fu tra i primi mezzi pubblici, che raggiunsero Arcore, in anni di vero pionierismo, per i mezzi a trazione vapore. Lasciata San Fiorano, la linea costeggiava il corso della Molgorana e giunta ad Arcore, superava il ponte sul torrente per imboccare l’attuale via Roma.

La stazione di Arcore

Su via Roma, al tempo viale d’Adda, era collocata la fermata, la stazioncina era posta all’incirca dove oggi è collocato lo stabile “ACLI-Casa del Lavoratore”. Quando la fermata fu dismessa, per qualche tempo venne utilizzata dal fattore di casa d’Adda per la distribuzione del seme dei bachi. Nel dopoguerra, lo stabile ospitò per qualche tempo l’Ufficio di collocamento, fino all’abbattimento.

I terreni ceduti gratuitamente

Nel mese di marzo del 1879, attraverso uno scambio di missive tra la Società del Tramvay e il comune di Arcore, alcuni maggiorenti del paese, dopo averne fatto promessa verbale decisero di cedere a titolo gratuito i terreni su cui sarebbe transitata la linea tranviaria. 

Nelle clausole chiedevano di avere un preavviso di qualche giorno, avanti l’inizio dei lavori, per poter tagliare le essenze arboree, che insistevano sui terreni, per farne un utilizzo privato. Tra i patti, l’eventualità che una volta smessa la linea, tali terreni sarebbero ritornati agli originari possessori. Citiamo la lista completa dei proprietari, in cui figurano: Emanuele d’Adda, Carlo Durini, Casati Anna Giulini Della Porta, Giulio e Giuseppe Rapazzini, ai nobili si aggiunge la prebenda parrocchiale, rappresentata dal parroco don Enrico Zappa.

Un percorso alternativo

Durante le fasi di progettazione della linea, si studiarono alternative al percorso originale. Un interessante documento è venuto alla luce nell’archivio comunale di Casatenovo. Si tratta di un progetto per una variante, che avrebbe aggirato la difficile salita da Peregallo a Lesmo. Il tragitto prevedeva uno scostamento sostanziale dal percorso poi realizzato. La tranvia raggiunto Arcore, in prossimità della villa D’Adda, avrebbe piegato in direzione dell’odierno viale Brianza, dirigendo poi verso Camparada per indirizzarsi nuovamente verso il percorso originale, che avrebbe intercettato in prossimità della frazione California di Lesmo, prima di raggiungere Campofiorenzo.
Un risparmio di poco più di ottocento metri e un dislivello meno impegnativo, nelle intenzioni del progettista, di contro si sarebbero perse due importanti tappe, quella di Peregallo e Lesmo, compensate dalla sola località di Camparada. In effetti tale ipotesi non vide mai la luce.

Un po’ di storia 

Gli esordi, sono segnati dall’iniziativa privata dell’ingegner Guido del Majno, che nel luglio del 1878 inoltra richiesta alle deputazioni provinciali (le odierne province) di Milano e Como e ai comuni che saranno attraversati dalla linea, per realizzare la tranvia. Avute le prime indispensabili autorizzazioni, coinvolge nell’iniziativa, importanti maggiorenti del tempo. Il capitale, fino ad allora quasi esclusivamente fondiario, era detenuto dalla nobiltà del tempo, citiamo tra gli altri, i Greppi, i D’Adda, i Somaglia, che avvedutamente consapevoli dei mutamenti economici e sociali in atto dirigevano parte delle loro disponibilità economiche verso la nascente industria, di cui la tramvia era una della necessarie infrastrutture, senza trascurare la sperata reddittività che l’investimento poteva  produrre. Non dimentichiamo comunque la partecipazione dell’azionariato popolare, costituito soprattutto da negozianti e commercianti, convinti che il nuovo mezzo avrebbe accresciuto il giro dei loro affari. Nel breve volgere di qualche mese, il Majno cede la concessione alla società appositamente costituita e rimane nella stessa con la carica di direttore. 

L’apertura della linea in tre tappe

I lavori, considerate le tempistiche odierne, si concludono velocemente, tanto che il 5 ottobre del 1879 il tram arriva ad Arcore, poco dopo, siamo a novembre il capolinea si attesta a Casatenovo. L’anno successivo, a primavera, alla vigilia di Pasqua, l’approdo a Barzanò. Passano pochi anni è l’esigenza di andare oltre e raggiungere Oggiono, che è da sempre nelle priorità della società, sembra concretizzarsi. Nel 1885 la società, chiede l’autorizzazione per la concessione di una ferrovia economica, che congiunga Barzanò con Oggiono. Di fatto, nonostante l’adesione dei comuni interessati, il piano non decollò. 

Il prolungamento fino a Oggiono 

Nel 1900 una  nuova richiesta di concessione governativa viene inoltrata per prolungare la tranvia a vapore sino ad Oggiono. Finalmente il 28 settembre 1902 il tram, approda ad Oggiono.
Come nel passato, la gestante ferrovia che da Monza, passando per Besana, sarebbe giunta a Molteno e poi ad Oggiono, anche in questi anni d’inizio secolo, interferisce sulle vicende della nostra tranvia. La concorrenza a partire dal 1911, anno d’inizio servizio della nominata ferrovia, si fa pesante, specialmente per il trasporto delle merci, dove la ferrovia garantiva una maggiore competitività.

Progetti di ammodernamento

Per contrastarne la concorrenza, la Società pel Tramway tra il 1910 e il 1912, fa domanda ed ottiene le necessarie autorizzazioni per prolungare la linea sino a Lecco, prevedendo al contempo l’ammodernamento tecnologico con l’elettrificazione della linea stessa e modifiche del percorso.

Con la concessione, ancora lungi dallo scadere, la durata prevista era stata di 50 anni, la Società pel Tramway iniziò l’iter presso le sedi competenti per elettrificare la linea, prolungandola fino a Lecco, per ottenere una nuova concessione, che nelle intenzioni della Società, avrebbe allungato la durata di altri 50 anni. Nel novembre del 1910 si rivolse alla giunta comunale di Monza dando notizia che il Consiglio Provinciale di Milano aveva concesso il permesso per elettrificare la linea e prorogato la concessione dell’utilizzo del suolo provinciale fino al 12 giugno 1960. La trasformazione alla trazione elettrica prevedeva, inoltre, una serie di varianti al percorso. Per Arcore, (vedi immagine) siamo in grado di proporre le modifiche progettate, dove fra l’altro s’intendeva variare il raggio di molti tratti di curva per uno scivolamento più agevole dei mezzi. Tra le modifiche più importanti lo spostamento della stazione, non più collocata sull’attuale via Roma, ma posizionata in una zona non ancora edificata. Continuando sul tracciato, anche nella località di Peregallo si voleva posizionare la fermata in una zona meno centrale al paese, con l’evidente intento di realizzare un percorso su sede propria alla tranvia e non più su strade di normale circolazione. Nell’occasione furono presentati anche i progetti, per realizzare i nuovi mezzi a trazione elettrica.

Verso la chiusura della linea

La precaria situazione economica della società impedisce di fatto l’attuazione del progetto. Il colpo di grazia giunge con la Prima guerra mondiale. Il costo del carbone va alle stelle passando dalle 37 alle 220 lire la tonnellata. A tutto questo si aggiungono altre pendenze, mai risolte, non ultimi i mezzi obsoleti e malandati di cui disponeva la tranvia, che di fatto determinano una situazione insostenibile che fecero della tranvia un malato in agonia. Agonia che si consumò tra il 1916 e l’inizio del 1917, quando, queste le disposizioni impartite dal consiglio d’amministrazione della società: “le corse avranno termine nel momento in cui il carburante nei magazzini sarà esaurito”. Il fatidico giorno fu il 29 gennaio 1917. L’anno successivo, con la Prima guerra mondiale, ancora in atto, si giunge allo smantellamento dei binari che finirono all’industria bellica. Tentavi in anni successivi, subito dopo la guerra e ancora nel triennio 1924-27, non approdarono a nulla.

Ancora qualcosa…

Concludiamo queste note con due ispirazioni poetiche e un mio racconto che hanno a soggetto l’ormai dimenticato Tramway.

Tra i file che mi aveva passato tempo fa l’amico Gilberto Bartolomeo, scomparso un anno fa, ho trovato una sua ricerca sul Tramway che descriveva il percorso e dopo Arcore, a proposito del tram scriveva: “… proseguiva per Peregallo… Dove si recitava una filastrocca sul Tramway e la sua storia di tutti i giorni, ma lui non si arrendeva e sbuffante si accingeva ad affrontare la dura salita per Lesmo…

La filastrocca di cui diceva era quella che riproduco nell’immagine appena sotto, a firma del “Dott. Angelo Sala”

La ricerca fatta ha avuto fortuna e nella pagina “Facebook” di Fausto Testi, collezionista, che tra l’altro mi aveva fornito materiali per le mostre allestite qualche anno fa sul “Tramway” e a cui va un saluto, la filastrocca ha trovato una sua collocazione. Sul “El tacouin” (calendario) dell’anno 1985 della Parrocchia di Peregallo la poesia faceva la sua bella mostra nel segnare il mese di Maggio.

Il “Dott.” in questione, laureato in Scienze Economiche e Commerciali, deceduto nel 1997, aveva curato si gli interessi famigliari ma riservava particolare attenzione per le “lettere”, autore di alcune commedie e come abbiamo visto anche testi in rima, in questo caso nel dialetto della Brianza. Ancora una notizia su Angelo Sala, ricordo la sua abitazione nello spazio che oggi occupa La “Villa Mattioli” di cui era stato proprietario, un luogo che riporta appunto alla famiglia Sala, e prima ai Curti, prima ancora ai Padri di San Francesco di Paola, per approdare a quei Saroni, di cui stiamo raccontando in altri articoli.

Una storia tira l’altra…

Così nel cercare notizie su “Villa Mattioli-Sala-Curti”, nel libro: “Sulle orme delle antiche ville di Lesmo” di Tarcisio Beretta sono spuntati questi altri versi:

Tramway
tu eri il nuovo “cavallo di razza”,
corrucciato fra le bionde nebbie
della pianura,
ti arrampicavi, trafelato, sulle colline
brianzole
in cerca di luce, colori e silenzi.

Tutti ti attendevano
impazienti e preoccupati
per i tuoi strani umori
l’affanno e il capriccio del tempo.

Hai avuto amici e detrattori
ma tu hai tirato avanti la tua
strada ferrata,
poi un fulmine da lontano
e fu morte violenta.

Si riferiscono all’improvvisa chiusura della linea del tram. Il Beretta scrive semplicemente: “a questo evento sono stati dedicati dei versi poetici”, non cita l’autore, supponiamo fosse lui stesso.

Terminiamo con il racconto:

L’ultima corsa della tranvia a vapore Monza-Oggiono  (di Paolo Cazzaniga)

Nell’ormai dimenticato monumento dedicato ai caduti della Grande Guerra, era incisa una data, che il vecchio Tonio, per tutta la vita, aveva sostenuto che non fosse il giorno della morte di Luca, ma quello dell’ultima corsa della tranvia che da Monza raggiungeva Oggiono e di cui lui, per lunghi anni, era stato fuochista.

 

Uno spirito libero

 

Potete capire che stiamo parlando di avvenimenti ormai molto lontani nel tempo. Quasi più nessuno si ricorda di Tonio che era morto quasi novantenne, figuriamoci di Luca. Il suo nome, come abbiamo detto, era su quella lapide; dopo il nome due date: 15 Gennaio 1898, quando era nato e 29 Gennaio 1917, il giorno della morte. Era la successiva indicazione “disperso” il motivo che faceva insistere Tonio nella sua convinzione, e a chi chiedeva spiegazioni raccontava come erano andate le cose.

“Nell’ormai dimenticato monumento…”

Luca lui lo conosceva bene fin da  bambino. Il ragazzo, crescendo, aveva dato qualche problema in casa. Non era cattivo ma di una vivacità tale che era facile scambiarla per qualcos’altro. La sua famiglia lavorava la terra del Conte, e non era facile per il padre e i fratelli più grandi convincerlo, che quella era la vita che l’attendeva, specialmente quando dopo un anno di lavoro e sacrifici, la sua famiglia si trovava con più debiti dell’anno prima. Hai voglia faglielo capire! Molti giovani la pensavano come lui e fremevano dalla voglia di cambiare. La tranvia, aperta da qualche anno, permetteva di raggiungere Monza più velocemente, e più velocemente le idee “progressiste” che infervoravano Luca si facevano strada.
Era un tipo che andava al sodo, e non ci pensava due volte prima di fare qualcosa. Passione politica e voglia di divertirsi dividevano i suoi interessi. Una corsa a Monza per Turati e una per Gardel si alternavano regolarmente. Spesso, quando i tanghi di Gardel finivano, il tram aveva terminato il suo servizio da ore. In quelle occasioni si sobbarcava a piedi la strada fino a casa. Qualche volta, quando era di ritorno, faceva ormai chiaro ed era ormai inutile coricarsi. Tanto valeva, prima di farselo ripetere ancora una volta da suo padre, recarsi nei campo ed iniziare il lavoro. Proverbiale la volta, che per spogliare le piante di granoturco di quella parte non più necessaria e lasciare libere le pannocchie di completare la maturazione, con così tanta lena, suo padre, raggiunto il campo come sempre di buon’ora, si era convinto che qualcosa di tremendo stesse succedendo tra le piante di mais. ” El pareva che gh’era ul diavol” (Sembrava ci fosse il diavolo) il padre aveva poi detto, tanto era il trambusto causato dal sollevarsi vorticoso delle brattee che Luca strappava dalle piante.
Tanta esuberanza anche la volta, che spirito di giustizia e insofferenza contro le “forze costituite” avevano fatto il paio. Pinino, che abitava la stessa cascina di Luca, aveva una gamba più corta dell’altra. La poliomielite era lontanissima da essere debellata. Tutti additavano Pinino come lo “storpio” e così l’apostrofavano. La cosa non andava giù a Luca. La volta poi, che uno di quelli che abitavano al “curvone” aveva sgambettando platealmente Pinino che era ruzzolato a terra, Luca si era tanto infuriato, che la rappresaglia messa in atto aveva lasciato strascichi che la gente del posto non aveva dimenticato tanto facilmente. Luca in compagnia di altri della cascina si erano diretti al “curvone” per fare giustizia. La mano era stata tanto pesante che il giorno dopo tre carabinieri chiedevano spiegazioni nell’osteria del “Cantone”, dove i giovani erano soliti riunirsi. Come la poliomielite era lontana da essere guarita, anche i film western erano lungi da venire, ma il racconto dell’oste del “Cantone” non avrebbe avuto niente da invidiare ad una rissa da saloon. I carabinieri non avevano avuto nemmeno il tempo di presentarsi, che la tenue luce della lampadina che pendeva sul tavolo, colpita furtivamente, era andata in frantumi, il tavolo era volato contro i militi e… Cosa fosse poi successo nemmeno l’oste lo sapeva raccontare. Si seppe che, disonore, i carabinieri erano stati spediti in caserma disarmati. I moschetti furono ritrovati l’indomani nella valle verso il torrente. Il caso fu messo a tacere, la magra figura fatta dai militari, era pessima propaganda per chi sosteneva e difendeva lo “status quo”.
Episodi di questo tenore non erano isolati e la fama di Luca si arricchiva di leggenda.

 


 

L’incontro fatale

 

Tanta spavalderia s’infranse quel giorno alla fermata del Tramvay, a Campofiorenzo, dove incrociò per la prima volta Aurora, che attendeva il tram per raggiungere Monza dove abitava una sua zia che visitava periodicamente. Il nome lo seppe solo in seguito, quando la frequentazione con la ragazza si fece più assidua. Era il 16 Giugno e fu un giorno speciale per Luca, come lo era per la tranvia che riprendeva le sue corse dopo un’interruzione di oltre due mesi.

 

“Tanta spavalderia s’infranse quel giorno alla fermata del tranvai a Campofiorenzo….”

 

La vita di Luca prese una piega diversa, i tanghi e i direttivi politici avevano lasciato il passo a passeggiate romantiche. L’estate del 1916 s’infiammava come il cuore di Luca. Aurora non era spaventata dalla fama non perfettamente cristallina del ragazzo. Diverso l’atteggiamento della famiglia della giovane, che non vedeva di buon occhio la frequentazione ed era decisa ad osteggiare la storia tra i due ragazzi. Più benevola e loro complice era la nonna di Luca. Aveva sempre avuto un debole per il nipote, vedendo in lui quello spirito libero che lei aveva dovuto tenere a freno. Non era cosa di tutti i giorni, ma, messe da parte le poche uova del suo pollaio, aveva preparato una frittata per Aurora e Luca, ed ora, all’ombra della grande quercia nel “pratone”, i due la divoravano con frenesia, la stessa con cui i loro occhi fissavano con desiderio le reciproche labbra. Il tepore della stagione e l’intimità con la ragazza avevano aperto il cuore e l’anima di Luca.
Il ragazzo era convinto di scoprire il futuro delle persone guardandole negli occhi. Negli occhi di Aurora, vedeva una tavola apparecchiata e dei bambini tutt’attorno e lui che, sudato dopo una giornata di lavoro nei campi, entrava dalla porta ed immaginava che sarebbe stato felice nel vedere sua moglie e i suoi figli che l’aspettavano.
Ora i tempi erano altra cosa, la vita dura di tutti i giorni con quella guerra, che sarebbe dovuta durare pochi mesi ed erano due anni che immolava giovani e meno giovani, lasciava poco spazio ai sogni dei due ragazzi.
L’estate era volata, anche l’autunno era passato, un nuovo inverno di guerra stringeva tutti ormai da vicino. I timori di Luca si facevano più pressanti. Il nuovo anno era prossimo e la probabilità di partire al fronte si faceva più concreta. A Dicembre, puntuale come una cambiale, fu recapitata la tanto temuta “chiamata alle armi”. L’entusiasmo che animava Luca svanì di colpo. Il magro Natale di guerra fu ancora più mesto nella sua casa. Il padre, Angelo, ebbe l’accortezza di mettere da parte un frammento del “ciocco di Natale”, che una volta arso nel camino veniva custodito, quale talismano per scongiurare le tempeste della prossima stagione estiva.
La tempesta che ora infuriava era quella che bruciava il fronte di guerra, dove Luca, di lì a pochi giorni, si sarebbe diretto. Un pezzo del “portafortuna”, sperava, avrebbe preservato il figlio dai pericoli.
Gennaio fu rigido, Luca faticava sempre più ad incontrare Aurora. Le occasioni fortuite d’incontrarsi erano ridotte al minimo. La stagione invernale e la determinazione della famiglia di Aurora, saputo della prossima partenza di Luca, impedivano gli incontri tra i due.

A Sant’Antonio, il falò fu per i due giovani l’occasione d’incontrarsi. La catasta della legna era poca cosa, qualcuno giudicò uno spreco quel fuoco, con le difficoltà di scaldarsi che ogni famiglia aveva.

“Il brivido che sopraggiunse percorse ed inquietò Aurora…”

Le fiamme che si levarono dal falò illuminarono gli occhi di Luca; Aurora colse un baleno. Si ricordò: gli occhi, diceva Luca, sono lo specchio del futuro. Aurora aveva visto bagliori ripetuti, poi improvviso un bianco opprimente ed ovattato aveva riempito gli occhi di Luca, che ora lentamente, alla vista di Aurora, ritornavano vispi e penetranti come a lei piaceva.

Il brivido che sopraggiunse percorse ed inquietò Aurora, ma non volle darlo a vedere. Il momento della partenza di Luca era sempre più vicino, i pochi giorni che mancavano non dovevano essere tristi.
Nel frattempo, le tribolate vicende della tranvia volgevano al termine. Il 25 Gennaio, la società che gestiva la tranvia aveva deliberato, riservando la notizia ai soli addetti ai lavori, che le corse sarebbero continuate sino all’esaurimento delle scorte di carburante, che ancora giacevano nei depositi. I giorni erano contati.
Aurora voleva accompagnare sino a Monza Luca. Qui era previsto il raggruppamento delle reclute, dove la tradotta li avrebbe condotti al fronte. Luca arrivò per tempo alla fermata, era impaziente di vedere Aurora che tardava ad arrivare. Il tram non era mai puntuale, e Aurora, quella volta ancora di meno. Si profilò infine la scura massa del convoglio, che rallentava e finalmente tra uno sbuffo di vapore uscito dal logoro stantuffo, stridendo sui binari gelati si fermò. Luca tergiversò, coinvolgendo il personale del tram che presto esaurì la pazienza: non potevano attendere oltre, erano in ritardo ed il tram doveva ripartire. L’inquietudine del ragazzo aveva messo in apprensione i viaggiatori, che nervosamente invitavano Luca a montare sul vagone. Affranto il giovane salì sulla piattaforma, proteso ancora verso la direzione da cui sarebbe dovuta arrivare Aurora.

Il convoglio faticosamente riprese il cammino. Improvvisa una figura femminile sbucò dalla via laterale. Luca si girò speranzoso e la ragazza ansimando allungò la mano, porgendo un biglietto al giovane. Rivolto ancora verso la giovane donna che si era fermata e riprendeva fiato per la corsa fatta, Luca alternava sguardi confusi ora al pezzo di carta, ora alla ragazza, che all’allontanarsi del tram rimpiccioliva alla sua vista.
“Prendo la prossima corsa, aspettami a Monza. Aurora”.

 

“L’inquietudine del ragazzo aveva messo in apprensione i viaggiatori…”

 


 

Il destino presenta il conto 

 

Era successo che la madre della giovane non voleva assolutamente che la figlia accompagnasse Luca in quel viaggio. Aurora disperata, aveva consegnato quelle poche parole alla sorella, affinché le recapitasse a Luca, nella speranza di convincere la madre e raggiungere il ragazzo in un secondo tempo. Il messaggio ricevuto consolò solo per un po’ Luca, ma nel tratto pianeggiante che il tram percorreva verso Lesmo, fu un ribollire di stati d’animo opprimenti. Rabbia, sconforto, delusione, paura gli toglievano il fiato. Lo sferragliare dell’asfittico convoglio sembrava sempre prossimo ad esalare l’ultimo respiro.
Il vecchio Tonio, a questo punto, nel raccontare gli avvenimenti, era assalito da una frenesia che ancora a distanza di anni non gli dava pace. Quel 29 Gennaio 1917, era giunto con il tram ad Oggiono verso mezzogiorno e dopo il solito pranzo all’osteria della Stazione, avrebbe caricato sulla locomotiva il carbone necessario per compiere il tragitto di ritorno verso Monza. Sapeva che le scorte nel magazzino della compagnia erano ormai agli sgoccioli. Aveva comunque stimato, proprio il giorno prima, che il tramvai avrebbe potuto viaggiare ancora per un paio di giorni. Non aveva fatto i conti con la miseria che la guerra alimentava. Durante la notte il prezioso combustibile era stato rubato, il freddo era tanto e qualcuno non aveva rinunciato alla facile preda, vista la flebile sorveglianza a cui era sottoposto il deposito. Se solo si fosse accorto prima, le cose sarebbero andate diversamente, si crucciava. Insomma, aperto il deposito c’erano si e no due o tre palate di carbone. Non c’era altro da fare che informare il responsabile ed attendere le disposizioni, che per altro sarebbero state abbastanza scontate.
“Terminate le scorte di carburante, le corse sarebbero state sospese”. Così fu.
Aurora attese invano ben oltre l’orario previsto, ma del tram nemmeno l’ombra. Anche Luca attese, sempre più inquieto, chiese notizie al personale della stazione, nessuno seppe rispondergli. Percorse ripetutamene a ritroso l’ultimo tratto della tramvia, nella speranza di veder arrivare il convoglio. Infine dovette arrendersi e con la morte, non solo nel cuore, si avviò verso il luogo previsto per il raduno della truppa. La tradotta viaggiò tutta la notte e buona parte del giorno dopo. Sfilavano località sconosciute, il convoglio s’infilava in vallate sempre più anguste, forse non era più in Italia o era un’Italia che Luca non conosceva. Spaesato ed avvilito, stava andando verso il “nulla” ed il “nulla” inghiottì Luca.
L’enorme valanga staccatasi dal fianco della montagna, travolse il treno, che precipitò nello strapiombo. Per un po’ la massa di metallo, che rotolava verso il basso, sembrò, tra ripetuti bagliori provocati dallo scoppio della locomotiva, prendere un vantaggio sull’enormità di neve che inseguiva. I vagoni, scomposti ed ormai separati gli uni dagli altri, strisciavano le rocce nella caduta sollevando scintille sinistre. Il vagone di Luca finì la sua corsa facendosi raggiungere dal bianco opprimente ed ovattato della neve, che riempì prima gli occhi e poi la bocca e i polmoni di Luca, che già tramortito dai ripetuti urti smise di vivere.
Aurora e la famiglia di Luca non seppero mai nulla della tragica fine del ragazzo. Tempo dopo, molto tempo dopo, fu recapitata, al sindaco del paese questa laconica informazione. “Comunico a V.S. Ill. con preghiera di darne partecipazione alla famiglia che il soldato T… Luca di Angelo, risulta disperso dopo il 29 Gennaio 1917. Si daranno ulteriori informazioni sulla sorte del suddetto militare. –“Firmato Tenente Colonnello C…” –
Nessun altra notizia giunse in seguito ai famigliari di Luca.

 

“La banda inondava la folla con la sua musica, coprendo i singhiozzi di Aurora.”

 


 

Verrà domani

 

Finita la guerra, il “comitato dei reduci” e i parenti dei caduti dovettero aspettare del tempo prima di vedere edificato un monumento in memoria dei loro cari. Finalmente, una domenica di fine Dicembre del 1919, la lapide fu scoperta. A ricordare il giorno della morte di Luca, era indicata la data segnata nella comunicazione giunta dal fronte. Tonio anche quel giorno, rivolgendosi ad Aurora che era vicina a lui, ripeteva che quella data, e non c’erano dubbi, era stato l’ultimo giorno di servizio della tranvia a vapore Monza-Oggiono, non era invece certo che Luca fosse morto quel giorno. Aurora aveva assistito alla cerimonia trattenendo a stento le lacrime, che ostinatamente cercavano d’inondare i suoi occhi. Ora non poteva più frenarle. Tirò fuori il fazzoletto per asciugarle, ma prima con un gesto istintivo pulì il naso del piccolo Luca che teneva per mano ed era infreddolito dalla giornata uggiosa. Appoggiò una mano sul capo ed attirò a se il figlioletto, finalmente il corso del suo pianto poté scorrere. La banda inondava la folla con la sua musica, coprendo i singhiozzi di Aurora.