ARCORE – La festa del Paese, la Fiera

ARCORE – La festa del Paese, la Fiera

di Paolo Cazzaniga

Mi sembra interessante riproporre, con solo qualche minima modifica, quanto scritto da Tonino Sala, qualche tempo fa, sulla festa patronale di Arcore, che si svolge in questi giorni.

Tonino ci racconta della collocazione temporale, in origine alla fine di agosto, della “sostanza” delle celebrazioni sia religiose che civili, poi ancora del mutare dei tempi e le motivazioni che portarono alla nuova collocazione temporale dell’evento a metà settembre.

Propongo infine, un resoconto, tratto dall’Annuario della cattedra ambulante di agricoltura per la provincia di Milano” del 1929 in cui si racconta della “Terza mostra zootecnica”, svolta in occasione della Fiera di Sant’Eustogio, il 23 settembre 1929. La cronaca si accompagna all’elenco dei premiati nelle varie categorie merceologiche che avevano partecipato alla mostra.

"FESTA DEL PAESE" O "FESTONE"

La celebrazione della “Festa del Paese” o “Festone”, ad Arcore da tempi immemorabili, provata da alcuni documenti d’archivio che non ne spiegano comunque la motivazione, cadeva la quarta domenica di Agosto.
Nel Paese, originariamente ad economia esclusivamente agricola, la “festa” era l’atteso epilogo, una volta terminato il raccolto e collocato commercialmente il prodotto. La celebrazione civile-religiosa, suggellava una pausa ai pesanti lavori dei campi.
La festa religiosa, minuziosamente preparata a beneficio dell’anima, dalla “Grande Missa Solemnis” del mattino, officiata in pompa magna, che riceveva nell’antifona l’omaggio sonoro dalla stentorea voce baritonale del “Gilè”, culminava nella monumentale processione pomeridiana rutilante di stendardi, paramenti, ori, colori delle “confraternite” e banda musicale che, sul “passo di marcia” del “…noi vogliam Dio…” alternato alla storpiatura latina del “…sfrustus ventrus tuesus…” del “Bosin”, si snodava infinita nelle vie del paese finendo in piazza nella “benedizione solenne”, concerto bandistico e asta benefica, dove le qualità di banditore di “Gusten dal sagrista”, issato sull’intercolumnio del pronao, venivano esaltate nel rimando cadenzato di offerte e controfferte. Il tutto sfociava nel mesto “Ufficio generale pro-defunctis” del lunedì mattina, con processione pomeridiana al cimitero che legava il passato al presente e, attraverso la gioventù costretta dalle madri alla partecipazione, al futuro.

UN PO' DI "BALDORIA"

La “Festa” era l’occasione per radicali profonde pulizie in tutte le case: strati pesanti di fuliggine venivano meccanicamente rimossi con sabbia e potenti dosi di “oli da gumbat” e i rami splendenti, strategicamente disposti sulle “squallere” nell’ostentazione orgogliosa delle “masére”, abbagliavano gli occhi dei visitatori.
Era anche una delle rare possibilità che, con Natale, Pasqua e il giorno dell’uccisione del maiale consentivano ai “pover picch dai busecch schisciaa” di fare pieni memorabili di cui si poteva parlare nei “…ta sa regordat…” dei giorni di fame. Non sarebbe mancata né la “mica”: pane bianco di frumento che una tantum sostituiva la polenta e il “pangiald”, né la “turta da lacc”: un impasto mal cotto o troppo cotto di pane, biscotti, pinoli, cedro, limone grattugiato e cioccolato.


Per la “Festa” arrivavano in paese quelle strutture viaggianti chiamate “baracconi”, la quintessenza del divertimento: bancarelle di dolciumi, tirassegni gestiti da invitanti, provocanti donnine, giostre, altalene, e tutti gli annessi e connessi di scrocconi e imbroglioni che, nonostante la vigilanza della benemerita, non mancavano di fare vittime tra i più giovani e più sprovveduti che lasciavano sui banchetti volanti delle “tre carte” le magre mance. Nonostante le invettive che dal pulpito erano indirizzate a gestori e frequentatori (il tuono di don Magistrelli chiamava il luogo dove erano installati “Campo di Giuda”), la novità attirava giovani e anziani.

Il banchetto del venditore di “manna”

D’altra parte, lo stesso “Campo di Giuda” era di proprietà della parrocchia, non solo, ma vi sono documenti che parlano di piazza “messa all’asta” per il festone, cioè la parrocchia riscuoteva il plateatico dai “bancarellieri”.

Generazioni di piccoli arcoresi, col mento a livello dei tavoli d’impasto delle bancarelle disposte ai margini della piazza, avevano assistito al miracolo della trasformazione dello sciroppo di zucchero aromatizzato, bollito, steso sul piano di marmo, rivoltato, impastato, intrecciato e re-intrecciato con abili mosse sul gancio appeso al palo di sostegno del tendone, poi stirato in sottili strisce color oro diventava la “manna” dal profumo caratteristico di cannella che si insinuava allargandosi a raggio per le vie facendo da richiamo per la nutrita schiera di ragazzini dispersi per il paese.

I TEMPI CAMBIANO: NUOVE DATE PER LA FIERA

Passò il tempo, l’evoluzione dalla vita contadina alla nuova economia industriale e nuovi curatori d’anime suffragati da massicce insinuazioni di estranei alle tradizioni paesane cominciarono a chiedersi i perché di tutto questo movimento, a loro parere, senza giustificazione né religiosa né storica, in particolare in un paese che adeguandosi alle nuove mode in agosto si spopolava. La breccia lasciata dai vecchi passati ai “quondam” e non sostituiti dalle nuove generazioni, desiderose solo di dimenticare al più presto quanto fosse grave l’impegno del vivere contadino, rese facile l’accettazione della proposta di passare dal “Festone” di agosto alla “Festa patronale” che finì per diventare, perdendo ogni caratterizzazione, la festa della “Fiera”, non certo del santo protettore. Addio alle imponenti manifestazioni religiose e rimozione totale di tradizioni e memorie.

Il racconto però non è finito, la verità storica richiede che chi è stato testimone delle ragioni profonde che da una battuta lanciata estemporaneamente condussero alla cancellazione di secoli di tradizione, narri la vicenda così come si svolse. Al tempo, negli stabilimenti, non era così facile ottenere permessi per poter partecipare alla Fiera, che come si sa, si svolge di lunedì, il terzo lunedì di settembre, e un certo malcontento serpeggiava tra la maggioranza dei lavoratori dipendenti che della fiera non riusciva mai a vedere qualcosa. Era ancora un periodo di transizione dove l’economia contadina conviveva con l’economia industriale, e qualcuno, con residui di conduzione agricola, ma che lavorava negli stabilimenti riteneva necessario potervi partecipare, in particolare poi se faceva parte del comitato organizzatore o era anche espositore. Vi fu un piccolo allevatore di vacche alla Palazzina, non originario di Arcore, turnista in Falck, modesto “capetto” al Parco Tondi, rappresentante sindacale, membro di associazioni parrocchiali, con qualche legame anche negli apparati comunali attraverso i comitati organizzatori della fiera, espositore, che stanco di battagliare per il sospirato permesso, nelle chiacchierate d’ufficio pre e post turno quando qualcuno partorì l’idea di stornare il “Festone” sulla Fiera se ne appropriò immediatamente: dalla ipotesi alla proposta il passo fu breve. Gli agganci politici, sindacali e religiosi consentirono una veloce trattativa e il “Festone” venne sepolto.

                                                   

                                                      Tonino Sala

LA FIERA DEL SETTEMBRE 1929

Ad introdurre la cronaca del settembre 1929 ancora una nota di colore di Tonino Sala, che ricorda la collocazione di quella “Mostra zootecnica” che per tanti anni ha animato la “Fiera di Sant’Eustorgio”

TEMPO DI FIERA

Il tempo, il progresso del paese, sepolti i vecchi residuati della gagliarda gioventù  di un tempo, chi potrà, spiegare cosa era la fiera?

Il viale d’Adda, ribattezzato Via Roma, dalla cancellata del Bruaxel fino alla stazione, sui due lati, ancorati alle funi tese fra i giganteschi ippocastani, qualche centinaio tra vitelli, vacche, tori, asini, cavalli, si esponeva alla mostra-mercato, mentre nel praticello, che ospita oggi la biblioteca, altro bestiame minuto trovava ospitalità, dai maiali alle pecore, capre, tacchinelli per la crescita e l’ingrasso natalizio, ecc.

“Stà in pee fin a la fera che dopu ta vendi” Stai in piedi fino alla fiera che poi ti vendo …era un modo di dire esclamato verso chi inciampando arruffava il passo e sembrava cadere… questo a significare che sulla fiera si poteva trovare, in fatto di animali, di tutto e di tutto vi si portava, sia bestie da concorso che bestie da eliminare o cambiare … grasse occasioni sia per contadini che per macellai e soprattutto per i “Sensali” mediatori fra venditori e compratori che cercavano di metterli in relazione.

Le contrattazioni iniziavano con l’esame accurato del soggetto con esaltazioni qualitative del veditore rettificate in contro tono e ad alta voce da chi acquistava … ma si sa che chi disprezza compra … e frammezzo, lui, il personaggio attorno al quale correvano le cifre della valutazione l’uno a rosicchiare in discesa e l’altro a resistere, almeno fino a che l’offerta era ancora appetibile, fermo nella sua richiesta. Lo spettacolo poteva andare avanti anche per delle mezz’ore, col sensale che afferrando le mani dei contraenti, forzandoli, mentre ognuno recitava la sua parte di recalcitrante, cercava di unirle per l’accordo finale. La battuta di mano, dapprima sfiorata era sigillata dallo sputo sulla palma e dalla stretta di mano.

                                                Tonino Sala

Fiere d'altri tempi...

TERZA FIERA ZOOTECNICA 23 SETTEMBRE 1929

L'articolo apparso sull'Annuario della cattedra ambulante di agricoltura per la provincia di Milano