RACCONTO DEL MESE -NOVEMBRE-

L’acqua di san Carlo

Il racconto del mese di Novembre, tratto dal libro “Storie di Santa Caterina ed altri racconti”, di Dario Redaelli, unisce le figure di San Carlo Borromeo al luogo di Santa Caterina in Besana per restituirci la favola di un miracolo che perpetrato da un “sant de la gesa”, come nell’immaginario collettivo era considerato l’Arcivescovo di Milano San Carlo, si rinnova in seguito, grazie alla fede di un curato di campagna, che invoca la santa in occasione della sua ricorrenza.

l'acqua di san carlo

In fondo alla “Busa”, nella zona conosciuta come “il gas”, proprio sotto la chiesetta di Santa Caterina c’era una sorgente che i contadini chiamavano «la pila». A quel tempo era poco più di una buca per terra, ma da lì sgorgava acqua per tutto l’anno. Anche d’estate, quando la calura era forte e i temporali tardavano a far sentire il loro refrigerio. Quando il sole picchiava, i contadini andavano alla “pila” e si ristoravano, prima di ritornare a girare il fieno, oppure nell’acqua fresca deponevano un’anguria o una bottiglia di “pincianello” che cavano fuori al momento opportuno alla giusta temperatura per ristorarsi a dovere.

La «pila» esisteva da tempo immemorabile e si diceva che fosse sgorgata per merito di San Carlo Borromeo, ai tempi di una delle sue visite pastorali dalle nostre parti.

Si raccontava infatti che venendo da Valle Guidino accompagnato da tutto il suo seguito per salire verso Besana e sostare alla chiesetta di Santa Caterina che era proprio in cima al ciottolato della “Busa”, avesse deciso di passare dal sentiero che attraversava sul fondo la valle del rio Brovada che separa la collina di Montesiro da quella di Besana La stradina per un tratto seguiva la roggia e prima d’inoltrarsi nel bosco passava attraverso i campi.

I contadini che stavano lavorando si fermarono, cavarono il cappello si inginocchiarono, mentre il santo Vescovo li benediceva e li incoraggiava con buone parole. “Abbiamo sete” gli gridò un fanciullo mentre chiedeva loro di cosa abbisognassero. “Abbiate sete di Dio” disse San Carlo fermando il cavallo. Poi si chinò sull’orecchio dell’animale quasi a volergli dire qualcosa. Il cavallo alzò la testa poi alzò lo zoccolo destro e diede un colpo forte sulle zolle verdi. Subito in quel punto sgorgò dal terreno una pozza d’acqua freschissima.

I paesani gridarono al miracolo, ma San Carlo li esortò a credere in Dio e comportarsi onestamente, perché il Signore non avrebbe mai fatto mancare il necessario.

Da quel giorno l’acqua sgorgò alla “pila” e i contadini ne ebbero grande refrigerio.

Sgorgava giorno e notte, d’estate e d’inverno ed aveva sempre la stessa temperatura, così che d’estate era fresca e d’inverno pareva più calda.

A volte d’estate, quando la canicola svuotava le strade, don Giovanni, che non poteva soffrire quel caldo umido che lo faceva sudare come un cavallo, amava ripararsi nel suo studio, che stava a pian terreno nella zona più a nord della sua casa ed era indubbiamente il luogo più fresco. Si slacciava il colletto e si spaparanzava sulla poltrona. A volte si faceva portare una fetta di anguria per dissetarsi, mentre recitava l’ora media o faceva qualche conto oppure preparava la predica per la domenica successiva.

Se non aveva nessuno dattorno si legava un fazzoletto al collo e con l’anguria sotto il braccio, non prima di aver praticato con un coltello il suo bravo tassello per controllare il colore e da quello la bontà del frutto, scendeva per la “Busa” e metteva il grosso cocomero dentro la fontanella del “gas”. Tornava dopo un’oretta a prenderlo e tornato nel suo studio, completava l’opera nel modo che già conosciamo.

Quella sorgente era una vera grazia di Dio e al mese di maggio, quando faceva il giro al mattino presto per la benedizione dei campi che i contadini chiamavo i “latanéi”. Il buon prete, fermandosi nei campi del “gas”, non mancava mai di recitare una preghiera di ringraziamento per quell’acqua, dopo aver cantato, come previsto, le litanie dei santi.

Il fatto successe alla fine di settembre, alla “pila” l’acqua veniva giù piano piano, ma non ci fece caso nessuno perché l’estate era passata e ora dell’acqua non ce n’era molto bisogno. I più esperti davano la colpa alla siccità, che da Maggio a Settembre si era fatta sentire non poco, ma quando ricominciò a piovere e nonostante quello, il rigagnolo non solo non aumentava, ma si faceva più esile, qualcuno cominciò a preoccuparsi. Figuriamo alla fine quando non scendeva dalla fonte che qualche sparuta gocciolina. Vennero a dirlo a Don Giovanni il quale dapprima disse: “Dio ce l’ha data senza merito, Dio può anche riprendersela. Un motivo ci sarà..”

Ma per quanto si scervellasse non riusciva a capire perché il buon Dio avesse acconsentito che quella fonte di origini così miracolose si potesse prosciugare dopo più di trecento anni di onorato servizio. Per tutto il mese di Ottobre, tra le sue intenzioni del suo Rosario serale c’era la “pila del gas”, che tornasse l’acqua, bella e fresca e copiosa come una volta. Non mancava neppure la preghiera a Santa Caterina, al mattino presto, dopo la messa, perchè anche lei mettesse una buona parola, per la preziosa fontanella, ma non successe nulla.

Finché venne il giorno di Santa Caterina. Don Giovanni dopo la messa prima, guardò con grande sentimento il quadro della Santa e la sua implorazione per la fontanella fu particolarmente accorata.

Fuori intanto la strada cominciava ad animarsi, gli operai avevano buttato sotto la massicciata di villa Volta la paglia gialla per l’esposizione del bestiame e qualche contadino cominciava a portare gli animali. Quell’anno gli espositori erano numerosi, sia nella categoria bovini che in quella dei cavalli. Non mancavano i soliti noti, che ogni 25 Novembre portavano i campioni del proprio allevamento, bestie ben pasciute e dal pelo lucidato che sembravano uscite dalla bottega di un parrucchiere per signora. Anche i cavalli non scherzavano e pure qui facce già viste, ma tra loro anche qualche forestiero. Uno in particolare aveva colpito l’occhio dei paesani, era un pezzo di giovanotto biondo e riccio che sembrava un tedesco e aveva con sé un cavallo maremmano dal mantello baio, talmente bello che solo a vederlo si capiva subito che era da primo premio.

Infatti verso mezzogiorno, quando la giuria si riunì in municipio, che stava lì a due passi dall’esposizione non ci fu alcun dubbio: il vincitore era il baio con i finimenti scuri. Allora il presidente, che era il veterinario, ritornò in strada e proclamò i vincitori davanti alla calca che si era radunata intorno agli animali. Alla lettura dei verdetti ogni tanto si sentiva qualche polemico brusio di disapprovazione, ma quando venne il turno del cavallo baio scoppiò un applauso fragoroso. “Venga il proprietario” disse il presidente, ma nessuno si fece avanti. Il biondo sembrava svanito nel nulla. Qualcuno diceva di averlo visto dal “Pucetta”, altri, ritenuti meno attendibili, di averlo visto entrare nella chiesa di Santa Caterina e di non averlo più rivisto uscire.

Al termine della vana ricerca il presidente propose, ed ebbe approvazione, che il premio in denaro andasse senz’altro a don Giovanni perché lo usasse per le necessita della chiesa. “E il cavallo?” disse un altro, ma proprio in quel momento la corda che legava l’animale all’anello di ferro si sciolse, il maremmano si impennò facendo arretrare quanti gli stavano intorno e creatosi lo spazio trottò sicuro verso la “Busa” e da qui al galoppo verso la valle del «gas». Fu una cosa talmente fulminea che nessuno fu in grado di afferrargli la briglia e fermarlo.

Cinque o sei ardimentosi giovanotti lo inseguirono, ma il cavallo sparì nel boschetto di robinie e nessuno lo vide più. “Aveva sete – dissero alcuni – il biondo l’ha lasciato lì tutta la mattina senza una goccia d’acqua. È scappato vero il “gas” perché ha sentito che c’è l’acqua,” c’era ricordò triste mente qualcuno.

Intanto il cavallo, come se effettivamente andasse in cerca dell’acqua si ritrovò nei pressi della “pila” e qui, come guidato da una voce impercettibile, con una zoccolata, rifece il gesto del suo antenato ed ecco sgorgare di nuovo l’acqua, copiosa come ai tempi di San Carlo, bevve e sparì misteriosamente come il suo padrone.

Nessuno aveva seguito fin lì l’animale, ma un contadino che saliva verso Montesiro, pur con i postumi tipici di chi aveva fatto il giro delle “chiese” (così venivano chiamate con un po’ d’ironia le osterie di Besana inferiore) ritornò a dare la notizia dell‘acqua che era tornata a sgorgare e raccontò quel che aveva fatto del cavallo, non solo, ma di aver visto in arcione una bella signora vestita “come una volta” e che a un certo punto quel cavallo era balzato verso l’alto con la sua bella amazzone per non ridiscendere più.

I più si misero a ridere, qualcuno invece scese fino alla “pila” e constatò che l’acqua era veramente tornata a sgorgare, ma alla versione del contadino non credette nessuno, nonostante il suo giuramento. Come si fa a credere a uno che dalla mattina alle sette, al pomeriggio alle quattro aveva lasciato il segno in tutte le osterie di Besana di là? E non era rotolato per terra solo perché si appoggiava a un solido bastone di salice.

Il giorno dopo don Giovanni lo fece chiamare e si fece raccontare quel che era successo  “Mi crederete almeno voi? don Giovanni. Certo – disse il pretone, a volte vedono meglio quelli come te che certa gente che dice di vederci bene.”

E la sera stessa, senza pensarci due volte iniziò una solenne novena a Santa Caterina. E a chi gli diceva che la novena, secondo la liturgia, andava fatta prima della festa e non dopo, il buon prete, che aveva capito perfettamente come erano andate le cose, rispondeva: “Non è mai troppo tardi.”