ARCORE 1868-1869 “I COLONI AL SERVIZIO DEI CONTI CASATI”
L’intestazione recita: “Arcore 1868=1869 Condotte fatte dai Coloni”.
Un registro in cui giorno dopo giorno, con diligenza, sono indicati i nomi dei coloni e i lavori da essi svolti con il rispettivo compenso ricevuto.
La copertina, color carta da zucchero con segni d’inchiostro e delle innumerevoli impronte lasciate dal suo compilatore e da chi nel tempo ha avuto l’opportunità di consultarlo, un bordo dall’aspetto “marmorizzato” che impreziosisce e da tono allo scritto, l’intestazione che ne svela il contenuto e soprattutto i fogli vergati a mano con scrittura a volte compita, a volte frettolosa, questi i segni inequivocabili di avere per le mani qualcosa d’interessante.
Nello sfogliare quelle pagine, prodotte con l’unico intento di registrare una pura contabilità, si svelava, mano a mano, la convinzione di coglierne all’interno, a distanza di tanti anni, una vitalità tutta da afferrare e che chiedeva solo di essere svelata.
Grazie alla preziosa generosità del Sig. Gilberto Bartolomeo, appassionato cultore della Brianza, che ha messo a disposizione un importante manoscritto, cercherò, mese dopo mese, seguendo lo scorrere del registro di descrivere attraverso i lavori e le incombenze che i coloni svolgevano, due anni di vita, della Arcore del tempo e collocando gli accadimenti, pubblici e privati, restituire senza pretese cattedratiche, una descrizione della struttura socio-economico che in quegli anni perdurava in Italia e dunque faceva da quinta alle nostre vicende.
La prima curiosità, di chi ha voluto mettere a disposizione lo scritto, era stata di conoscere l’identità del personaggio che dava lavoro ai coloni, indicati nel documento. La pazienza l’aveva poi premiato, verso la fine delle registrazioni appaiono le note che svelano l’arcano. Le date erano quelle dei giorni 30 e 31 Ottobre 1869 dove si legge che in quei giorni alcuni coloni prestano servizio “pel funerale del signor Conte”. La scintilla era scoccata, la ricerca successiva dava un nome al defunto, il conte Camillo Casati, che lasciava questa terra il 23 Ottobre 1869
Una preziosa indicazione per partire e da li ho iniziato a scandagliare il registro.
Dopo una sommaria scorsa delle pagine, che portavano ciascuna il nome di un colono con accanto l’anno, a cui erano riferite le prestazioni svolte, sotto ben incolonnati, i giorni dei differenti mesi con accanto la descrizione dell’attività, il numero delle prestazioni e sull’ultima colonna il compenso dovuto. Ho poi prestato attenzione agli ultimi fogli del registro, staccati dalla rilegatura e riempiti da una serie di colonne, in cui l’estensore aveva fatto la somma delle varie voci di spesa, in un riassunto, dell’esercizio economico dell’anno.
Ecco che, utilizzando il doppio foglio staccato e in parte affollato di somme, il compilatore si esercita nel vergare il proprio nome, diverse volte, come a voler trovare la miglior versione per una firma da riproporre poi in seguito. Questo allenamento ci è stato prezioso per conoscere la sua identità, Luigi Santambrogio, il passo nell’individuare in tale nome una personalità di rilievo dell’epoca, è breve.
Da documenti lo conosciamo nella veste di amministratore dei beni dei conti Casati in Arcore. Nel 1868 ha 32 anni, è nativo di Palazzolo e dopo una serie di cariche pubbliche, occupate nel corso degli anni, lo ritroviamo sindaco della stessa Arcore tra il 1902 e il 1917, dopo aver ricoperto altre cariche come quella di presidente della congregazione di carità, sempre in Arcore, dove curava gli interessi dei poveri, assumendone anche nei casi necessari, la rappresentanza legale. In questi anni lo conosciamo poi, come componente di spicco della “Fabbriceria” della parrocchia di Arcore, in occasione della donazione fatta dalla Signora Maddalena Osculati, relativa all’Oratorio della cascina del Bruno alla parrocchia stessa. Abbiamo avuto modo nel corso della ricerca di raccogliere informazioni, da chi nel passato aveva avuto rapporti diretti con gli ultimi discendenti dei Casati, e conosceva le vicende del paese, tramandate, di generazione in generazione, in cui si può a ragione credere che i Conti non abbiano mai tenuto un atteggiamento particolarmente vessatorio verso chi lavorava per loro a differenza di altri proprietari terrieri che cercavano di trarre il massimo vantaggio da un rapporto di lavoro che come vedremo, era intrinsecamente a completo svantaggio del prestatore d’opera. I Casati sono l’esempio, con altri proprietari terrieri, di una scelta, che in Lombardia nel corso dell’ottocento andava crescendo. La volontà di soggiornare in luoghi dal clima più gradevole, come la Brianza, specialmente nei mesi estivi, che spingeva questa classe sociale, composta dai nobili e dalla borghesia più agiata, a dirigersi verso questi luoghi. Accomunare questo diletto ad uno scopo più pratico il passo è breve. Dunque le proprietà erano pensate ed estese, anche per produrre reddito.
La vicenda dei Casati segue a grandi linee questo filone, ricostruiamo ora il loro approdo ad Arcore. La nota proprietà di San Martino, passa dalle mani del Conte Giorgio Giulini della Porta (1784-1849) alla figlia Anna, che sposa nel 1840 il Conte Camillo Casati. Vediamo di inquadrare il clima politico e sociale che a Arcore e più in generale nella Brianza si respirava in quegli anni.
La Lombardia dopo il trattato di Vienna del 1814 era ritornata all’Austria, dobbiamo attraversare buona parte del secolo, e passare attraverso la parentesi del 1848, in cui la speranza di liberarsi dal giogo straniero, fu solo un momento effimero, per giungere al 1859, dopo la II guerra d’indipendenza fra truppe franco-piemontesi da una parte e gli austriaci dall’altra, quando l’armistizio di Villafranca assegna la Lombardia ai francesi, con l’esclusione della sola Mantova. La stessa Francia subito trasferisce la Lombardia sotto il Regno di Sardegna, fatto che si determinò fondamentale per giungere due anni dopo all’unità d’Italia. Il 17 Marzo 1861 è con la promulgazione della legge 4671 del Regno di Sardegna, che si proclama la nascita del Regno d’Italia con a capo re Vittorio Emanuele II.
Anni post unitari in cui i fermenti e i necessari assestamenti socio-economici sono ancora in atto. La nota partecipazione politica e sociale che ha da sempre contraddistinto alcuni componenti della famiglia Casati non sono certamente estranei ad una condotta la più ortodosso possibile che gli stessi istaurano con i loro coloni.
Ritorniamo al nostro documento e cerchiamo d’inquadrarlo per il suo contenuto. E’ un registro, abbiamo visto, dove erano annotate le prestazioni dei coloni dei conti Casati. Si tratta di una ventina di persone che prestano i loro servigi negli anni dal 1867 al 1869, appunto fino al decesso del conte.
Collochiamo tali prestazioni nell’ambito di un preciso rapporto di lavoro che in quegli anni vigeva in Italia, parliamo del contratto di colonia. Il nuovo codice civile italiano, promulgato due anni prima, nel 1865, contemplava tra le possibili forme di contratto, quello che a noi interessa “Della mezzadria o masseria o colonia”. Una forma che come abbiamo accennato, impegnava e sbilanciava, tutto a carico del colono, il rapporto di lavoro. Le giornate dedicate dai coloni ai lavori di casa Casati si riconducevano dunque a quel contratto, in cui i braccianti dovevano prestare, la loro opera. Nel corso dell’Ottocento, il numero delle giornate, cosiddette “di appendizi” erano cresciute di numero, passando dalle quattro-cinque d’inizio secolo alle venti-trenta, a metà Ottocento. Di solito queste prestazioni erano per lo più gratuite, anche se nel nostro caso, le registriamo compensate a fronte di tariffe che probabilmente pur restando “agevolate”, non comportano lavori totalmente gratuiti. A tal proposito conosciamo sempre attraverso altri documenti contabili della stessa famiglia, negli anni d’inizio novecento, delle tabelle in cui le prestazione dei coloni avevano una tariffa precisa, la stessa cosa supponiamo fosse in vigore anche negli anni del nostro registro, quando accertiamo che a fronte di medesime prestazioni, il compenso resta lo stesso.
Questo è lo stralcio del contratto di colonia citato d’inizio novecento:
16. – II colono sarà obbligato, se richiesto dal locatore, alla prestazione di giornate di uomini validi dai 17 ai 60 anni dietro il corrispettivo convenuto per ogni ora, da pagarsi per un terzo alla registrazione delle giornate, ogni settimana o quindicina o mensilmente, e da accreditarsi per il resto in conto colonico. Così dicasi per le giornate di donne, e di ragazzi dai 14 ai 17 anni, la mercede sarà eguale ai tre quarti di quella degli uomini.
17. — II locatore potrà richiedere ed il colono sarà obbligato a prestare le vetture necessarie alla manutenzione del fondo e delle case e pel trasporto dei prodotti padronali e dei materiali ai corrispettivi convenuti giusta il prospetto qui allegato.
Da un testo economico che tratta della Lombardia, edito nella prima metà dell’ottocento, questa è la descrizione sommaria di come si dipanava la vita dei contadini:
“ La vita del contadino è presto descritta. Nei primi mesi dell’ infanzia, stretto nelle fasce in modo da correr quasi pericolo di soffocazione, è poi abbandonato alla custodia di qualche fanciullo maggiore di lui di pochi anni, finché capace di muoversi senza aiuti, si avvoltola nella polvere e nel fango dell’aja coi suoi compagni. In tenera età mandato alla scuola comunale nell’inverno e iniziato al lavoro nell’estate, gli viene assegnato per prima incombenza di condurre al pascolo le oche o i maiali, poi il bestiame bovino. Giunto ai vent’anni si trova, in presenza degli avvenimenti più gravi della sua vita, la coscrizione e il matrimonio. A dire il vero quella gli dà più da pensare che questo, poiché nella vita umana i timori s’importano nell’animo più che i piaceri. Ogni fanciulla del ceto dei contadini è certa di trovar marito, come ogni giovine è certo di trovar una moglie, anche quando la natura non gli ha risparmiato qualche difetto fisico. Non già che vi sia assoluta indifferenza nella scelta; che anzi in quel ceto si conosce benissimo l’arte di piacere. Ma alla fine la giovine da marito non vuol condannarsi ad aspettar troppo. Essa porta sempre qualche dote; per lo più il letto, e molta buona volontà di lavorare e di procreare numerosa figliolanza. In seguito la vita del contadino non subisce varietà, tranne che nel progressivo aumento della prole, che peraltro, già dalla prima adolescenza, diventa parte attiva nelle occupazioni della famiglia. Sol feretro si piange, ma per lo più si beve abbondantemente dopo la cerimonia funebre, a titolo di distrazione. Si conserva molta venerazione per le anime dei defunti. La gerarchia domestica è organizzata diversamente secondo le consuetudini dei paesi. In generale la soggezione all’autorità paterna tende a rilasciarsi.
Da questa premessa, forzatamente ironica, inquadriamo i nostri cari coloni.
Ritorniamo al registro, i nomi che si susseguono nelle varie pagine, sono gli stessi che abbiamo poi individuato in due “stato d’anime” della parrocchia di Arcore, per gli anni 1865 e 1867, abbastanza prossimo al biennio registrato. Quasi tutti risiedono nelle proprietà che conosciamo essere state dei Giulini-Casati. Il sommario dello stato d’anime le inventaria:
Molinetto
Cascina Giardino e adiacenti
Cascina Cha
Cascina San Martino
Cascina Sant’Appollinare.
Scartabellando le pagine interpretiamo le scritte ed ecco uscirne i protagonisti. Continueremo seguendo la temporalità del registro e mese dopo mese giungeremo a quel fatidico Ottobre 1869, che sancisce la fine della vita del signor Conte, ma di fatto interrompe le registrazioni, indicando come il trapasso abbia determinato una nuova gestione della proprietà e dei coloni. La prima cosa che salta all’occhio, nello scorrere il registro, è la data d’apertura dell’anno, che non seguiva quello solare, ma la tradizione che segnava l’annata del contadino e fissava come capofila dell’anno la data di San Martino, in Novembre e da li partiremo.
ARRIVEDERCI AL PROSSIMO MESE
[…] Uno spaccato di vita nella Arcore di fine ottocento. I conti Casati a fare da sfondo alle vicende dei “coloni” al loro servizio. Attraverso i lavori svolti, mese dopo mese, il tentativo di raccontare la vita, la storia, la toponomastica, della Brianza, in cui gravitavano le attività dei conti Casati. “L’intestazione recita: “Arcore 1868=1869 Condotte fatte dai Coloni”. Un registro in cui giorno dopo giorno, con diligenza, sono indicati i nomi dei coloni e i lavori da essi svolti con il rispettivo compenso ricevuto …” continua la lettura sul blog scoprilabrianzatuttoattaccato […]
[…] generalizziamo; abbiamo visto nell’introduzione come i Conti Casati, non fossero particolarmente insensibili alle necessità dei loro coloni e […]