Spigolature briantine
Lasciato Pier Ambrogio Curti, con la sua “Manetta” (vedi puntata precedente) ci concentriamo su Giuseppe Saronno, che aveva vissuto gli stessi luoghi del Curti a Peregallo nel Settecento, e andiamo al suo testamento, redatto il 2 marzo 1742 dal notaio Felice Antonio Bevagna.
Una breve introduzione per inquadrare quanto vado a raccontare. Ormai qualche anno fa, nella frequentazione della piccola chiesa del Masciocco, in quel di Camparada, per ricostruirne le sue vicende storiche, mi ero soffermato su di un quadro custodito all’interno, che ritraeva un santo a me sconosciuto. Gli attributi, che si possono cogliere nel dipinto, svelarono che il santo in questione era San Francesco di Paola. Non poca la sorpresa, la figura del santo, di origini calabresi, la cui devozione si era spinta in Brianza, non poteva che sollevare curiosità.
Come sempre la casualità ha il suo peso, ricordo la figura di Rinaldo Rigamonti, scomparso a luglio del 2021, che abitava a ridosso della chiesetta del Masciocco. Attivo nelle iniziative della località, era facile incrociarlo, per chiunque frequentasse l’ampio cortile della cascina. Così nel cercare da lui qualche notizia del luogo, ricordo che spesso faceva riferimento ad un certo signor Curti, che a suo dire aveva avuto peso, non so collocarne l’epoca, nella vita dell’edificio religioso del Masciocco. Il cognome Curti è poi ritornato a proposito della villa che si trova a Peregallo, ora “Villa Mattioli”, e dell’annesso Oratorio di Sant’Antonio, non più officiato. I Curti erano stati proprietari, in Peregallo, a partire dal 1826, ricordiamo il citato Pier Ambrogio. Nel riavvolgere il filo del tempo, troviamo prima dei Curti, un Pietro Sironi, ma prima ancora i Padri Minimi di San Francesco di Paola, che grazie all’eredità di Giuseppe Saronno, avevano edificato l’Oratorio dedicato per volontà del testatore al loro santo protettore. In seguito la moderna chiesa in Peregallo ha preso il posto dell’angusto Oratorio, che era stato spogliato delle antiche vestigia. Il quadro ora al Masciocco, era rimasto probabilmente, nelle disponibilità della famiglia Curti e il Curti, citato da Rinaldo Rigamonti, aveva portato il quadro nella chiesetta dedicata a Sant’Eurosia al Masciocco.
Nella speranza di aver condotto una ricostruzione plausibile del “percorso” del dipinto di San Francesco di Paola, è stato poi agevole cercare le altre tracce che il santo di Paola di Calabria, aveva lasciato in Brianza. Da guida Giuseppe Saronno, il suo testamento e quella devozione al santo. Così troveremo San Francesco di Paola a Lesmo, nella storia della Parrocchiale, e in quella dell’Oratorio di Peregallo, mentre un dipinto che lo ritrae è ancora presente nella chiesa di Torrevilla, comune di Monticello.
Devo ancora aggiungere, per dare un po’ di colore alla vicenda, delle sorprese, non prive di “suspense”, che incontreremo nel racconto. Fatti costellati d’intrighi da districare, degni d’investigatori di fama. Amore vero o mercenario, falsari e lestofanti, tracotanza del potere, alcuni degli ingredienti, che incroceremo nel nostro percorso.
A questo punto prima di scartabellare il suo testamento, inquadriamo la figura di Giuseppe Saronno.
Formalmente il Saronno è domiciliato a Milano, la sua casa da nobile era poco oltre il ponte che superava il naviglio, appena usciti da Porta Nuova. La sua proprietà confinava, da una parte con il Collegio del Seminario della Canonica, e dall’altra con il nobile Gio. Batta Casati, che guarda caso, aveva sposato la sorella del Saronno, Beatrice. La donna sarebbe diventata l’erede universale, così come era indicato nel testamento di Giuseppe.
Nella mappa dell’epoca, abbiamo indicato la zona dove sorgeva l’abitazione di Giuseppe Saronno, appena oltre il naviglio, al termine del Corso di Porta Nuova. Si possono apprezzare nelle immediate vicinanze la Chiesa di S. Bartolomeo, che figurava essere la Parrocchia di riferimento del Saronno e il citato Collegio della Canonica, con cui confinava la sua abitazione. Ancora, percorrendo il Corso, verso il centro di Milano, incontriamo la Chiesa dei Padri Minimi di San Francesco di Paola, che Giuseppe Saronno frequentava e a cui era particolarmente legato.
Dunque questa frequentazione ci dirige nel comprendere le motivazioni che spingeranno l’uomo a designare questo ordine religioso tra i beneficiari del suo testamento. Una curiosità, nel 1901, precisamente nella chiesa di San Francesco di Paola si celebrò il funerale di Giuseppe Verdi.
Oltre che a Milano, Giuseppe Saronno passava buona parte del suo tempo in Brianza, dove possedeva due “case da nobile”, utilizzate per la villeggiatura, a Peregallo, frazione di Lesmo e a Torrevilla in quel di Monticello. Questi beni si accompagnavano a terreni ed abitazioni che erano affittate a massari e pigionanti, oltre che nelle stesse due località, anche a Gerno e a Lesmo. Possiamo aggiungere che la famiglia Saronno era presente in queste località già nella prima metà del Cinquecento.
Abbiamo documentazione in tal senso quando l’avo di Giuseppe, Agostino Serono, risulta proprietario di terreni a Lesmo e Peregallo. La documentazione è relativa ad un censimento di “biade, perticato e bocche” nell’anno 1546. Operazione collocabile, in senso lato, negli “Estimi rurali”, preparatori o complementari al Catasto di Carlo V. Particolare curiosità circa le “biade” (da bladum «prodotto dei campi», voce di origine franca), si trattava delle diverse qualità di sementi che erano custodite dai soggetti censiti. Per Peregallo, abbiamo l’indicazione di due famiglie, che lavorano per Agostino Serono, sono Gasparo de Cazanigha, bracciante che coltiva 60 pertiche, e che annovera 7 “bocche” (persone), il secondo capofamiglia, massaro è Antonio da Sala, lavora 190 pertiche e conta 6 persone. Anche al Sarono vengono conteggiate le “biade” che costudisce nella sua abitazione di Peregallo, risultando, tuttavia, domiciliato a Milano nella Parrocchia di San Bartolomeo, dove ancora abitava, 200 anni dopo, Giuseppe Saronno. Per il luogo di Lesmo troviamo Antonio da Mozana, che lavora 115 pertiche del Sarono e conta tre “bocche”.
Nel successivo Catasto di Carlo V, anno 1558, queste le indicazioni delle proprietà di Agostino Serono: a Lesmo 126 pertiche di terreni vitati, 22 di prato asciutto, 66 di bosco e 6 di brughiera. A Peregallo dispone di 120 pertiche di terreni vitati e ronchi, 80 di arativo, 18 di bosco e 24 di brughiera.
In un aggiornamento dello stesso catasto, riferibile ai primi 15 anni del Seicento, alle proprietà dei Serono si aggiungono 22 pertiche di vigna, in località Gerno. Per lo stesso aggiornamento, relativo a Lesmo abbiamo ora l’indicazione dell’esistenza di un sito abitativo, censito in 2 pertiche come “sito e horto”, ai terreni si aggiungono 9 pertiche di bosco acquisite da un certo Confalonieri. Anche a Peregallo abbiamo l’indicazione della presenza di abitazioni; con 2 pertiche di “sito e horto” e la conferma degli altri terreni. Questi beni sono intestati a Giuseppe Serono, che per ragioni temporali non può essere ancora il Giuseppe del 1700.
Con le indicazioni relative a questo nuovo catasto della prima metà del Settecento, possiamo finalmente collocare anche su una mappa odierna la posizione delle proprietà di Giuseppe Saronno.
Questo l’elenco:
Iniziamo con la località di Gerno, a sinistra la mappa del Teresiano con i due appezzamenti attribuiti a Giuseppe Saronno, a destra gli stessi lotti di terreno, riportati su un mappa odierna. Proponiamo, di seguito, le proprietà situate a Peregallo e terminiamo con quelle di Lesmo.
Ancora riferendoci al Catasto Teresiano, ma questa volta alle rilevazioni note come “Beni di seconda stazione” vale a dire le abitazioni, aggiungiamo le descrizioni di Peregallo e Lesmo, quando le proprietà, dopo la metà del Settecento, erano passate ai Padri di San Francesco di Paola.
Per Peregallo al mappale 358 “Casa della quale di propria abitazione, parte da massaro in conto di lavorerio e puoca parte d’affitto compreso l’orto in mappa la 95 in tutto pertiche 5 e tavole 8. Fisco attuale £ 46”.
Per Lesmo, nella zona che viene definita “in campagna, fuori del corpo della Terra” al mappale 376 poi rinumerato in 375 “Cascina detta la Feluca; Casa da massaro in conto di lavorerio ed è la marcata in mappa al n° 258 (del precedente rilievo beni di prima stazione) e l’orto al n° 260 in tutto pertiche 2 e tavole 7″.
Nelle immagini proposte, nel riquadro di sinistra la proprietà di Giuseppe Saronno, sulla cui area sorgerà in seguito l’Oratorio dedicato a San Francesco di Paola e l’attuale Villa Mattioli, più sotto “l’osteria di Peregallo”, che era pertinenza del nobile Giorgio Giulini, al tempo proprietario della “Villa San Martino di Arcore”. Ancora nello stesso riquadro la proprietà della famiglia Simonetta, dove in seguito sorgerà “Villa Rapazzini”, è qui visibile, inoltre, il simbolo della croce che indicava la presenza dell’oratorio voluto dai Simonetta e intitolato a Sant’Antonio Abate. In seguito una volta abbattuto l’edificio religioso il titolo passò al nuovo oratorio edificato dai Padri di San Francesco di Paola, beneficiari di parte dell’eredità di Giuseppe Saronno, per dare seguito ai voleri del defunto testatore. Nella parte destra dell’immagine le pertinenze di Lesmo della Cascina Feluca sulla strada che conduce a Correzzana, appena fuori del centro abitato del paese.
Passiamo ora nell’odierno comune di Monticello, dove nella località Torrevilla, Giuseppe Saronno aveva una seconda casa di villeggiatura, oltre ad abitazioni e terreni. Per questa località siamo in grado di indicare le sole abitazioni e non i lotti di terreno. Nella parte sinistra dell’immagine i rilievi del “Catasto Teresiano” a destra le collocazioni sulla mappa odierna. Le abitazioni di Giuseppe Saronno erano così distribuiti (indicate in giallo): al 624 l’abitazione da nobile, due case da massaro al 627 e al 631, infine al 628 due porzioni di casa d’affitto. Inoltre in azzurro è indicata la posizione della antica parrocchiale di Torrevilla. Le stesse indicazioni sono poi state riportate su una mappa attuale, dove individuiamo anche la nuova collocazione della chiesa edificata anche grazie all’eredità di Giuseppe Saronno a partire dal 1773.
E’ arrivato il momento di svelare come Giuseppe Saronno, nelle sue volontà testamentarie, decide di destinare questa non trascurabile fortuna.
Il testamento di Giuseppe Saronno, correva l’anno 1742, racconta di un uomo timorato di Dio e che aveva a cuore il prossimo, non mancando di qualche interesse personale nel sollecitare, in cambio dei suoi lasciti, preghiere per la salvezza della sua anima.
Come vedremo qualche dubbio circa la “pietas”, di cui trasuda il suo testamento, forse non era sempre stata la “cifra” della sua vita. La consapevolezza e la necessità di alleggerire la coscienza, avevano giocato il loro ruolo.
Ora prima di dispensare le sue fortune, Giuseppe Saronno si preoccupa affinché la sua vita eterna sia serena. Il primo pensiero va alla invocata protezione per i da lui privilegiati santi: Giuseppe e Francesco di Paola, che abbiano cura della sua anima. Lasciando qualsiasi possibile alterigia, chiede che le sue spoglia siano coperte di “una veste di canapo”, che il suo cadavere rimanga “scoperto senza cassa” e che sia accompagnato, nell’ultimo viaggio, “di soli due sacerdoti”. Poi dispone per la sua sepoltura: “…se la mia morte seguisse nella mia casa di Torrevilla… (oppure) in detta altra mia casa… di Peregallo…” allora vorrei essere sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di Santa Maria della Misericordia a Missaglia. (nota 3)
Nel caso in cui, morissi a Peregallo, ma “… la perversità delle strade, o di tempo contrario, o qualche altro impensato accidente…” allora che sia sepolto a Lesmo, all’esterno della chiesa, in corrispondenza della Cappella di San Francesco di Paola, da poco eretta. (nota 1)
In ogni luogo avvenga la sepoltura, dispone, affinché la sorella, erede designata, provveda a fare dipingere, sulla facciata della stessa Parrocchiale di Lesmo, “… l’immagine della Beatissima Vergine Maria Immacolata con al piede San Francesco di Paola in atteggiamento d’intercedere… a pro mio”, qualora nel tempo che ancora aveva da vivere non avesse provveduto personalmente a fare eseguire il dipinto. (nota 2). Infine nel caso la morte l’avesse colto a Milano, la cerimonia funebre si sarebbe svolta nella chiesa del Convento di Sant’Angelo, e poi il corpo “riposto nel sepolcro di casa mia”, ovvero all’interno della chiesa di Sant’Angelo.
Convinto della necessità di riscattare la sua anima, non lesina risorse per celebrare messe ed accendere candele. Dispone per il giorno dopo il funerale la celebrazione di 12 messe, di cui tre cantate, le chiese che si divideranno l’onere sono: Torrevilla, Lesmo e Santa Maria della Misericordia a Missaglia. I sacerdoti presenti agli uffici funebri riceveranno ciascuno una candela di sei oncie, ai parroci e al Padre guardiano della Misericordia la candela sarà del peso di una libbra. La luce delle candele dovrà illuminare le funzioni religiose in suo suffragio, in ogni chiesa saranno accese candele per un peso totale di 13 libbre. Consapevole che la sua anima bisognerà di molte preghiere: “…ordino che si facciano celebrare messe otto cento…”, così ripartite: cento a Lesmo, cento a Torrevilla, nel tempo di quattro mesi; cento alla Misericordia, cento alle Grazie a Monza, tempo un mese; infine altre quattrocento messe a discrezione dell’erede, da celebrarsi in un anno.
Il primo lascito è per il curato di Lesmo e la chiesa del paese. Don Antonio Marenesio potrà intascare 45 lire imperiali, vedremo in seguito, quando la vicenda sulle pretese dei beni lasciati da Giuseppe Saronno, si farà sempre più complicata, come il curato di Lesmo non fosse stato estraneo a quei “magheggiamenti” ora ancora prematuri da svelare. Lo stesso curato a cui il testatore aggiunge il conte don Ambrogio Nava, saranno gli esecutori testamentari del Saronno, che li esorta così: “…quali supplico farmi la carità di procurare che pienamente resti adempito a tutto quanto…” L’anno precedente alla stesura del testamento, come abbiamo visto, era stata inaugurata all’interno della Parrocchiale di Lesmo, l’altare voluto dal Saronno dedicato a San Francesco di Paola, ora la Scuola del Santissimo Rosario di Lesmo si vede assegnata una cartella di deposito, sul Banco di Sant’Ambrogio, che frutta un interesse annuo di 57 lire imperiali che dovranno essere destinate per le spese per il sostentamento della cappella appena citata.
Poi nei pensieri del nostro Giuseppe due cugine, Teresa e Angela Masnaga, che potranno contare sull’usufrutto del molino detto il Molinello, che si trova a Bulciago. Morte le sorelle il beneficio passerà ai fratelli e poi alla discendenza di quest’ultimi. Qui un primo accenno a Torrevilla, visto che dall’usufrutto la discendenza dei Masnaga dovranno destinare, per sempre, uno zecchino, che corrisponde a 15 lire imperiali, alla Scuola del Santissimo di Torrevilla. La “serva” della casa di villeggiatura di Torrevilla potrà contare, vita natural durante, dell’uso della “casetta” in Torrevilla, collocata al mappale 630, l’abitazione è parte dello stabile di proprietà di Filippo Balsamo. I Balsamo, buoni vicini del Saronno, indicati come “consorti Balsamo” avranno in eredità la tomba di famiglia di Giuseppe Saronno, posta all’interno della chiesa di S. Maria della Misericordia a Missaglia. Anche l’altra tomba, dove il Saronno aveva ipotizzato di farsi seppellire se fosse morto a Milano, quella in Sant’Angelo, va in eredità, però alla sorella Beatrice. Ancora per la famiglia Balsamo, che risultano suoi debitori da tempo, saranno, al momento della sua morte sgravati di 100 lire, di quanto a quel tempo ancora dovranno al Saronno. Non è ancora terminata la distribuzione dei suoi averi, ma a questo punto il testatore anticipa che, una volta soddisfatte le sue disposizioni, quanto ancora resterà della sua eredità sarà appannaggio della già citata Scuola del Santissimo di Torrevilla. La Scuola dovrà farsi carico di tenere una precisa contabilità di quanto il Saronno ha assegnato ai differenti destinatari, per poi determinare le rimanenze che saranno di sua competenza.
Così con apparente noncuranza continua nel dettare le volontà testamentari ed ecco spuntare, la figura di Agata Beretta, che come vedremo non può essere equiparata alla stregua degli altri beneficiari del Saronno. Non vogliamo ancora svelare il retroscena principe della vicenda e quindi ci limiteremo ad elencare quanto sarà messo nella fruibilità di Agata Beretta. Una eredità non da poco, visto che il Saronno evita di fornirci i motivi di tanta generosità. Intanto conosciamo che Agata Beretta è originaria della località Casirago di Monticello. A lei sarà assegnato l’usufrutto di tutte le proprietà immobiliari che il Saronno vanta a Torrevilla, ecco l’elenco: “Casa da nobile composta da sala, cucina, dispensa, con i suoi superiori, cortile, cantina, solaio, torchio con suo portico, stalla con cascina superiore; poi pezzo di terra annessa detta la torretta, brolo, il campo grande, la girola e la nuova casa abitata da Antonio Mapello, che tiene in affitto i terreni appena citati”. Ancora ad Agata sono destinate 300 lire imperiali, una tantum, anche convertibili in beni, che la sorella Beatrice dovrà riconoscere alla donna. Non è finita qua, alla morte della Beretta, l’usufrutto passerà ai figli: Gio. Angelo, a cui il Saronno affida anche tutto il suo guardaroba personale, Angela Maria, Carlo Franco, Teresa sposata con Cesare Nava e l’ultima figlia di Agata Giovanna. Per quest’ultima il Saronno dispone affinché la sorella Beatrice provveda alle spese del suo possibile futuro matrimonio. Una clausola, Giuseppe Saronno impone che questi beni non siano mai venduti, pena la perdita di ogni diritto.
Nella tipicità della stesura delle condizione testamentarie, parte la sequela delle “sostituzioni”. Se la dinastia della Beretta e della sorella Beatrice dovessero estinguersi, i frutti di tali beni saranno destinati alla Scuola del Santissimo di Torrevilla. Qualora anche la Scuola di Torrevilla non rispettasse le sue disposizione, ecco la possibilità di subentro della Scuola del Rosario di Viganò. Pur nell’apparente possibilità remota che alla ridda dei destinatari della prima e seconda ora, potesse subentrare la Scuola di Torrevilla, nel disporre le sue volontà il Saronno getta le basi di quella querelle che si trascinerà per lunghi anni. Infatti è intenzione del testatore utilizzare i frutti prodotti dalla sua proprietà di Torrevilla, unitamente a quelli di altri “legati”, per la costruzione di una nuova chiesa in Torrevilla, nel luogo e nella forma che lo stesso Saronno indicherà (nota 4). Se prima della sua morte, non avesse a fornire queste indicazioni, il compito sarebbe ricaduto sulla Scuola del Santissimo, che tra l’altro, all’epoca del testamento non esisteva e nell’occasione Giuseppe Saronno, non manca di dettarne le modalità per la sua istituzione, illustrarne la composizione e le finalità. Infine da disposizione affinché le rendite prodotte dalle sue proprietà, una volta edificata la nuova chiesa, serviranno per il mantenimento dell’edificio religioso.
Tra una esortazione, rivolta ai beneficiari: “… a vivere cristianamente, et astenersi da qualsivoglia delitto o attentato di delitti…”, e una minaccia: “… quando mai nonostante questa mia esortazione alcuno, (non la rispettasse)… ho privato e privo… di tutti li suddetti beni…”. Il più del lavoro sembrerebbe fatto, così come esaurite le risorse di Giuseppe Saronno, ma è a questo punto che la sorella Beatrice viene designata erede universale dei suoi beni, perlomeno quanto ancora restava a disposizione, che non doveva essere di banale entità. Poi nel dettare le “sostituzioni” ecco prendere corpo l’altra metà di quel destino all’origine dei due edifici religiosi citati nel sottotitolo. Parliamo dell’Oratorio di Sant’Antonio a Peregallo e della disputa che ancora ci attende di svelare. Il Saronno non mancava di presagire il futuro, o perlomeno quale futuro avesse in animo si avverasse. Alla sorella Beatrice, qualora fosse morta senza eredi, sarebbero subentrati, nei beni di Peregallo, Lesmo, Gerno e la casa di Milano, i Reverendi Padri di San Francesco di Paola, così come poi avvenne.
Il Saronno indica le sue volontà per questo nuovo scenario. I Reverendi Padri avrebbero potuto fregiarsi dei beni del Saronno a patto che le rendite prodotte, dal suo ampio lascito, sarebbero servite per erigere un Oratorio nella proprietà di Peregallo, spendendo almeno 2000 lire imperiali. Sopra l’altare prospettava di porre un quadro dipinto da “buonamano”, raffigurante la Vergine con ai suoi piedi San Francesco di Paola. Nella chiesa si sarebbe dovuto celebrare in perpetuo una messa festiva a suffragio della sua anima e dei suoi antenati. Giuseppe Saronno, ricorda di essere stato padrino di battesimo dei figli di tre famiglie della zona, due di Missaglia e una di Lesmo, a questo proposito incarica i Padri di assecondare e sostenere, per ogni famiglia, un giovane che avesse voluto intraprendere la vita ecclesiastica, sia nell’ordine dei “Minimi di San Francesco di Paola”, così come in qualsiasi altro ordine religioso. Termina a questo punto le sue disposizioni, avvertendo che se i Padri in questione avessero rinunciato alla sua eredità o fossero stati inadempienti a quanto da lui prescritto, il loro posto sarebbe stato appannaggio della Scuola del Rosario di Lesmo. Erano state riempite 119 pagine di scrittura per contenere le volontà di Giuseppe Saronno, nello studio del notaio Felice Antonio Bevagna a Milano, in Porta Nuova, Parrocchia di San Donnino alla Mazza. Il Bevagna era stato assistito da altri due “secondi notai” e da cinque testimoni.
Per fare onore a quella casualità di cui avevamo dato conto all’inizio del post, siamo ora a riferirne di un’altra. Non era certamente voluta la coincidenza, che esattamente lo stesso giorno, quattro anni dopo la stesura del suo testamento, Giuseppe Saronno, il 2 marzo 1746, rendeva l’anima a Dio, e qui finisce la casualità. Immediatamente, i da lui designati e sopravvissuti eredi si misero in moto per dividere la cospicua eredità.
Al proposito il Parroco Don Antonio Marenesi, scriveva: “II 19 Marzo 1741 fu benedetta la Cappella di questa Parrocchiale dedicata a San Giuseppe e a S. Francesco da Paola”. II 25 Maggio 1756 il Cardinale Giuseppe Pozzobonelli nella sua visita pastorale riportava: “Ab Espistolae latere (lato destro), uguale per struttura e forma alle altre c’è la Cappella dedicata a S. Giuseppe e a S. Francesco di Paola, il cui altare è decorato con belle pitture raffiguranti la B.V. con il Bambino Gesù e i sopraccitati Santi”. Ricordiamo come la chiesa del 1700 sia stata completamente ricostruita e dunque della cappella non ci sono più tracce. II 1837 fu l’anno della decisione per la modifica strutturale e geometrica della Chiesa Parrocchiale. I lavori furono ultimati nel 1845.
Sempre nella visita pastorale del cardinale Pozzobonelli si legge: “La facciata, di forma quasi quadrata, è abbastanza elegante ed è ornata con dipinti che rappresentano da una parte i segni della Passione del Signore, e dall’altra la Beata Vergine e S. Francesco di Paola”.
Non sappiamo tuttavia se il dipinto del suo santo protettore, fu realizzato dal Saronno ancora in vita, la sua morte risaliva al 1746, oppure fu realizzata dalla sorella Beatrice per esaudire la disposizione testamentaria del fratello.
Da una descrizione della fine Settecento, fatta da Padre Casimiro da Brivio, guardiano del Convento della Misericordia, riportiamo queste indicazioni: “Il sepolcro che si trova in mezo della chiesa è di casa Sarona di Torrevilla come l’anno 1713 fu sepolto qui il padre del signor Giuseppe Saronni, che per il più abbita in Peregalo sotto la cura di Lesmo”. Il padre del Saronni era Flavio Antonio.
Poi ancora nella stessa descrizione Padre Casimiro racconta di un altro sepolcro, il secondo “giu dai gradini della balaustra dell’altare maggiore…” è di casa Bevagna di Casirago, dove sono sepolti Gaspare Bevagna e sua moglie, genitori del curato di Viganò e soprattutto “…del dottor causidico Felice Antonio Beagna che abbita in Milano…”. Si tratta del notaio che appunto raccoglie le volontà testamentarie di Giuseppe Saronno nel 1742.
La Scuola del Santissimo di Torrevilla risulta fondata nel 1746, anno della morte di Giuseppe Saronno, confermando l’immediata applicazione di una delle volontà del testatore. La Scuola avrebbe dovuto gestire quelle risorse, ancora limitate dopo la morte del Saronno, per dare vita ad una nuova chiesa parrocchiale. Abbiamo notizia che i lavori ebbero inizio nel 1773, una prima fonte (Eustorgio Mattavelli) scrive: “I lavori furono favoriti dall’ingegno e dal finanziamento del Conte Ambrogio Nava”. Una seconda indicazione dal volume “Monticello Brianza paesaggi, uomini, culture” a firma di Ilaria Sironi : “Il progetto di riedificazione si concretizzò soltanto una ventina di anni più tardi, durante la cura di don Giuseppe Peroni, quando il lascito testamentario di Giuseppe Saronni consentì alla fabbriceria della chiesa di disporre di una somma sufficiente per iniziare i lavori”. Riconducendo in tal modo nei giusti binari i ruoli dei protagonisti, ricordiamo il conte Ambrogio Nava, nominato esecutore testamentario di Giuseppe Saronno, che con tale rendita, a cui probabilmente aggiunse sue disponibilità, poté consentire la costruzione del nuovo edificio religioso.
All’interno dell’edificio è conservata nella cappella del Sacro Cuore un quadro raffigurante San Carlo Borromeo e San Francesco di Paola. In origine il dipinto era collocato nella cappella laterale settentrionale dedicata appunto al santo di origini calabre. Tale rappresentazione riconduce alla volontà di Giuseppe Saronno devoto di San Francesco di Paola.