Incendio del cotonificio Fumagalli a Peregallo

Incendio del cotonificio Fumagalli a Peregallo

di Paolo Cazzaniga
Il 15 novembre del 1875 un violento incendio distrusse la quasi totalità degli edifici del Cotonificio Fumagalli, noto come la "Fola"

La notizia apparsa sull’Illustrazione Italiana” del 28 novembre 1875, in cui si dava conto del disastroso incendio

Il disastroso incendio

Alla fine del 1875 l’area sulle sponde del Lambro, dove era attivo il Cotonificio Fumagalli, fu interessata da un devastante incendio che distrusse la quasi totalità dell’opificio. Già a partire dal Cinquecento, e forse prima, il luogo era stato teatro di diverse attività produttive: s’iniziò con i mulini, poi la cartiera, nota come la “Fola”, il cui nome rimase ad indicare il luogo anche durante l’attività tessile della filatura di cotone a cui si aggiunse la tintoria (“Tenciuria”).

Il luogo dell'incendio come appare oggi

A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta subentrò l’industria chimica Nobel-Blaschim, attiva fino al 1992, ultima “ferita” che ancora oggi segna questa fetta del territorio brianzolo.

L'immagine apparsa sull'Illustrazione Italiana, che documentava le macerie ancora fumanti di quanto restava dell'insediamento industriale

Una breve storia del Cotonificio Fumagalli dalle origini all'incendio

Ci fa da guida, da cui attingiamo le notizie di seguito proposte, la tesi di Laurea magistrale in Architettura a.a. 2010-2011 delle dottoresse Sara Colombo e Alice Tacchi.

Abbiamo notizia come nel 1838 il Sig. Giò Batta Fumagalli cedeva il negozio di tessuti ai figli Giovanni, Michele e Bartolomeo. Le autrici della tesi fanno risalire a quella data la fondazione dell’opificio Fratelli Fumagalli di Giò Batta ubicato in Peregallo di Lesmo.

Altra fonte indica che due anni dopo nel 1840: “…parte dei lesmesi erano occupati nella grandiosa filatura di cotone della Fola a Peregallo”.

Possiamo essere un po’ più precisi attraverso una pubblicazione del 1906, “L’Italia nell’America latina – Per l’incremento dei rapporti industriali e commerciali fra l’Italia e l’America del Sud”, in cui si da conto degli inizi dell’attività del cotonificio, accompagnata dall’illustrazione del complesso industriale che proponiamo di seguito.

L’immagine proposta nella pubblicazione citata con l’intestazione dell’attività in italiano e spagnolo, come il resto del testo esplicativo

Questo il testo: “Nel 1836, il signor Giovanni Battista Fumagalli cedeva ai propri figli il negozio, istituito nel 1802, di cappelli e di tessuti di cotone, dando vita alla Ditta Fratelli Fumagalli di G.B., la quale abbandonò la fabbrica di cappelli per dedicarsi alla industria dei tessuti colorati a mano. L’opificio di filatura di Peregallo fu eretto nel 1840…”

Si racconta poi del periodo compreso tra il 1850 e il 1870, con la tessitura a mano soppiantata da quella meccanica. La Fumagalli cercò di adeguarsi alla novità impiantando 12 coppie di telai meccanici acquistati all’Esposizione di Parigi nel 1867, esperimento che fu presto abbandonato, per dirigersi verso l’attività di solo filatura del cotone.

Ritornando alla tesi si ha notizia che in anni successivi, riferendosi a quanto conservato nell’archivio storico della camera di commercio di Milano, vengono depositati documenti riferiti a scadenza di concessioni, in particolare nel 1842 con l’atto 3844, prolungate sino all’anno 1846 e nell’anno 1849 anno di ulteriore rinnovo, non essendo specificata la natura delle concessioni, possiamo ipotizzare che si riferiscano allo sfruttamento delle risorse idriche del Lambro, contingenza che confermerebbero l’esistenza dell’insediamento di Peregallo.

Impianti d’avanguardia e riconoscimenti dell’attività

L’attività di filatura era stata sempre al centro dell’attenzione dell’azienda, ne abbiamo conferma attraverso la motivazione con cui “l’Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti”, nel 1853 aveva assegnato alla Ditta Stucchi Fumagalli la medaglia d’argento, nell’ambito della “distribuzione dei premi d’industria”.

Dalla descrizione, fornita nella motivazione, conosciamo che le macchine distribuite sui cinque piani del fabbricato sono azionate attraverso una grande ruota idraulica ed una turbina, ciascuna della forza di 55 cavalli, che possono funzionare sia separatamente che insieme. La dotazione di una stufa modello Perkins riscalda gli ambienti, e cosi i 280 operai che lavorano non soffrono la rigidezza della stagione invernale.
Nello stabilimento si producono ogni giorno circa libbre 2300 di filo di cotone, un quinto viene sottoposto alla torcitura per un prodotto finale paragonabile ai filati esteri ritorti.
É appunto per questi filati che la ditta Stucchi e Fumagalli riceve l’onorificenza, tuttavia, a giudizio della giuria, il non ancora documentato smercio in quantità del prodotto, limita il premio al secondo gradino, la medaglia d’argento.

Attraverso le due tabelle che proponiamo possiamo valutare le dimensioni delle quantità prodotte dalla “Stucchi e Fumagalli”, così come il numero di addetti impegnati, riferite al 1854.

Approdiamo al 1855 quando i rilievi del Catasto Lombardo-Veneto delineano con chiarezza l’esistenza degli edifici del cotonificio.

Gli edifici del Cotonificio Fumagalli, (Folla) nel 1855

Fumagalli e Stucchi, poi solo Fumagalli

Conosciuto come “Cotonificio Stucchi e Fumagalli”, qualche dubbio emerge nella ricostruzione storica temporale del momento in cui assunse tale denominazione. 

Dobbiamo dire della tesi citata, che evidentemente trova la sua cifra nella parte “architettura” e quanto ne consegue, non risulta altrettanto all’altezza per la precisione storica degli eventi che nel nostro caso ci sarebbe utile conoscere. Possiamo, come punto fermo, riferirci al documento riprodotto fotograficamente, datato 1862, (nel testo della tesi indicato 1962, sic.) che riporta, citiamo testualmente: “Lo scioglimento della Società Stucchi e Fumagalli per Filatura di cotoni a Peregallo costituita coll’istromento 5 ottobre 1841 rogato Riva e la continuazione al relativo stabilimento commerciale nel solo interesse della ditta Fratelli Fumagalli divenuta sola proprietaria come entro”. Il documento porta la firma di Stucchi Carlo e Fumagalli Gio. Antonio, quale procuratore anche del fratello Bartolomeo. Alla luce di quanto esposto possiamo sostenere che già al momento dell’inizio dell’attività a Peregallo la società fosse a nome dei Fumagalli e degli Stucchi. Ipotesi corroborata da altra fonte che indica la “Fumagalli e Stucchi” associata ad altre tre aziende del settore, parliamo del 1854, per importare direttamente dagli Stati Uniti balle di cotone acquistate sul mercato di New Orleans, tramite una società italiana appositamente istituita per lo scopo. L’operazione si configurava nel solco intrapreso per affrancarsi dal mercato inglese. 

Il documento in cui si definisce lo scioglimento della "Filatura Stucchi Fumagalli"

Ritorniamo al lavoro dei due architetti, che ci instillano altri dubbi. Sempre dall’archivio della “Camera del Commercio” di Milano si ha notizia di un atto del 1859, che sancisce la cancellazione delle ditte Fratelli Fumagalli di Gio Batta e la Stucchi Giuseppe e Fratelli, e la costituzione della ditta Fumagalli e Stucchi con sede in Peregallo di Lesmo. Dobbiamo valutare cautamente questa ricostruzione, forse incompleta, infatti dalla cronaca dell’epoca, che racconta dell’incendio, il cronista non ha dubbi nell’affermare: “Questo stabilimento fu fondato nel 1842 dai fratelli Stucchi e Fumagalli di Monza; nel 1859 fu intieramente rilevato dai secondi”. Fatta luce sulle origini dell’attività, andiamo a quel fatidico 15 novembre 1875.

La cronaca dell'incendio e le conseguenze

La notizia riportata due giorni dopo l'incendio sulla "Gazzetta Ufficiale"

Il danno, subito dopo il disastro, fu stimato in un milione di lire; lo stabilimento, che occupava circa 400 operai, risultava assicurato per 900 mila lire, da un poule di tre compagnie. L’intervento con spiegamento di tutte le forze disponibili nella zona: esercito, carabinieri, pompieri e  gli operai stessi era stato coordinato per tutta la notte dal sotto prefetto di Monza, cav. Guaita

invadeva tutti gli altri locali dell’opificio…

Le cause dell’incendio

Il corrispondente, del giornale “Lombardia” il giorno 17 novembre, forniva ulteriori notizie sull’incendio del cotonificio dei fratelli Fumagalli: “L’incendio sembra sia stato causato dalla caduta accidentale di una lucerna a petrolio sopra mucchi di cotone che dovevano servire pel lavoro di una quindicina di giorni; le fiamme divampando, d’un tratto comunicarono il fuoco ai telai e macchine poste nella sala, e da questa l’incendio, alimentato dalle diverse materie infiammabili, invadeva tutti gli altri locali dell’opificio, per modo che tornava vana ogni opera di estinzione, e fu giocoforza accingersi ad isolare i due caseggiati laterali ad uso abitazioni civili e magazzini; questi poterono essere, dopo lunghi sforzi, dall’elemento divoratore. Non appena fu dato l’annuncio di tale disastro si portarono sul luogo, oltre il sottoprefetto di Monza, cavaliere Guaita, anche le autorità locali, il tenente dei carabinieri in Monza, cav. Cravere, i carabinieri della stazione di Monza, Vimercate, Lissone e Carate, la truppa di distaccamento, parecchie pompe e gli operai dello stabilimento, i quali tutti con mirabile premura e coraggio si adoperarono a dirigere ed a eseguire le opere di estinzione. Fortunatamente in mezzo a tanto disastro non si hanno a lamentare vittime; soltanto il brigadiere dei carabinieri, Marchisio, che cadde da una scala , riportò alcune lesioni non gravi ad una gamba.” Lo stabilimento per ampiezza dei locali, come per la perfezione delle macchine era annoverato giustamente fra i migliori dell’Italia, e i suoi prodotti erano stati più volte premiati anche all’estero; all’Esposizione di Londra avevano ottenuto la medaglia d’oro. Il prefetto di Monza, conte Torre, aveva immediatamente informato il Ministro dell’interno del devastante incendio, ottenendo per un primo soccorso, lo stanziamento di 2000 lire.

Ignazio Cantù, racconta la sua versione dei fatti

L’autorevole firma di Ignazio Cantù, per un esteso articolo, apparso sul settimanale “Educatore Italiano” del 25 novembre, pochi giorni dopo l’incendio, fornisce nuovi particolari sul disastroso incidente, per estendere poi il discorso sulla figura del titolare del cotonificio, Luigi Fumagalli, come vedremo figura di spicco nell’ambito imprenditoriale e animato da un non comune spirito sociale, con iniziative in cui anche i casi più illuminati di welfare aziendale odierni, possono solo impallidire.

Questa la cronaca: “…Il fuoco sviluppatosi verso le 7 ½ pomeridiane, in una parte secondaria dello Stabilimento. Taluni asseverano che ne fu causa la caduta d’una lampada a petrolio, ma altri, e fra questi persone tecniche, vorrebbero attribuirne la causa ad una scintilla che, sprigionatasi da un maglio (batteur), accese di repentino il cotone che si trovava nelle vicinanze del maglio. Questo pericolo era già stato avvertito precedentemente, e tant’è che il signor Fumagalli stava allestendo un locali solido e perfettamente isolato, dove collocare il maglio, e la collocazione del batteur nel nuovo locale, a quanto dicesi, doveva aver luogo ai primi del venturo mese.
Lo Stabilimento era provvisto di un ricorso d’acqua atto a somministrare la forza motrice, per cui si poté prestamente mettere in moto la grandiosa pompa di proprietà dello stesso Fumagalli. Sulle prime si concepì la speranza di poter con questo potente mezzo vincere l’elemento distruttore, ma sventuratamente il fuoco si appiccò ad una massa di cotone, la quale, divampando, tramandava una quantità tale di fumo che impedì agli operai il restare più a lungo nel locale col pericolo di rimanere asfissiati. Il signor Stamm, direttore dell’opificio, abbenché debole per recente malattia, fu l’ultimo ad abbandonare il sito.
Per quanti sforzi si facessero, non si poté impedire che le fiamme dal lato secondario dello Stabilimento ov’era scoppiato, si appiccassero anche ai soffitti del piano superiore del caseggiato principale.
Ciò determinò il disastro, e le fiamme si propagarono colla rapidità del lampo alle macchine, agli attrezzi in legno, al cotone, ai recipienti d’olio. In causa dello straordinario calore i vetri andavano in frantumi, e all’ora le fiamme alimentate dall’aria che penetrava dalle finestre non ebbero più ritegno.
Avvertiti prontamente il sig. Giulio Fumagalli ed il sottoprefetto di Monza, si recarono tosto sul luogo. Il sig. sottoprefetto però ordinò prima che le pompe coi pompieri di Monza, i carabinieri della stazione di Monza e circonvicine, e la compagnia di fanteria stanziata in Monza, partissero immediatamente pel luogo del disastro. Poco prima della mezzanotte le pompe di Vimercate, della Canonica, di Lissone, del conte della Somaglia e quelle di Monza coadiuvavano la potente pompa dello Stabilimento. Soldati, carabinieri, pompieri, operai e contadini gareggiavano di zelo da ogni parte. Perduta ogni speranza di salvare l’opificio, si pensò di praticare dei tagli onde isolare i magazzini e gli edifici secondari; e in ciò devesi molta lode ai pompieri, perché gli energici loro sforzi furono coronati da felice successo.
Mercé eroici sforzi e fatiche estreme, l’opificio verso le 5 del mattino si trovò isolato, ed i fabbricati accessori furono così definitivamente salvati. Però nel corpo principale il fuoco continuò a divampare per tutta la giornata del 16. In mezzo a tanto trambusto e nonostante la notte buia, no ebbesi a deplorare fortunatamente veruna vittima, salvo qualche leggera lesione riportata dal brigadiere dei carabinieri di Monza e da qualche operaio.”

La stima dei danni

Ignazio Cantù continua con la stima dei danni, vicina alla cifra di circa un milione di lire. Il valore delle macchine distrutte si attesta attorno alle 600 mila lire e altre 70 mila lire sono da conteggiare per il cotone bruciato. Grazie al pronto intervento degli operai, aiutati dai contadini del luogo, fu preservato dell’altro cotone per un valore di circa 150 mila lire, oltre ad altre poche merci e mobilia, che fu gettata dalle finestre.

Oltre agli ingenti danni, sono ben 380  gli operai rimasti senza lavoro, quasi tutti di Lesmo. A parziale sollievo l’intervento del prefetto di Monza, che ha ottenuto dal Ministro degli interni lo stanziamento di 2000 lire, a cui si aggiungono le 1000 lire elargite dalla Casa Reale. 

La figura di Luigi Fumagalli e della sua famiglia, "imprenditori illuminati"

Il welfare aziendale: la scuola e il convitto

L’estensore dell’articolo si sofferma ora sulla figura di Luigi Fumagalli che così succintamente descrive: “Vidi il sig. Giulio Fumagalli conservare in tanta sventura la vigoria dell’animo: sono sublimi slanci di un uomo forte che guarda con occhio imperterrito anche i più sgraziati casi della vita”.

Allo stesso modo non manca di elogiare l’imprenditore per le iniziative di welfare aziendale che aveva intrapreso: “La ditta Fumagalli, … aveva da pochi anni aperto un convitto di allieve operaie nel quale stavano raccolte circa 70 fanciulle appartenenti alle varie provincie del regno, orfane per lo più ed abbandonate, fu costretto di sciogliere e rimandare alle rispettive provincie. Il disastro …ha portato seco anche una grave sventura nel campo dell’istruzione”. Il Cantù fornisce dettagli sulle iniziative della Scuola e del Convitto: “Il sig. Giulio Fumagalli, proprietario della grande impresa, si era proposto di avere degli operai e delle operaie che all’abilità del lavoro unissero la coltura della mente e la moralità della condotta. Creò quindi una Scuola ed un Convitto ad esclusivo beneficio dei lavoratori e delle loro famiglie. Era obbligatoria la frequentazione pei ragazzi d’ambo i sessi al disotto di quattordici anni, facoltativa di poi. Il rifiuto di frequentare la Scuola, o l’esclusione da essa, determinava lo sfratto dagli opifici. L’orario della Scuola era dalle 9 alle 3 ½ ogni giorno alternativamente fra i maschi e le ragazze. Il tempo passato nella Scuola era computato e pagato come il tempo di lavoro.
Questo per le due sezioni degli allievi e allieve esterni.

Le 45 allieve interne accolte a convitto avevano l’alloggio, il nutrimento, l’uniforme vestito e la scuola giornaliera, e compensavano il beneficio col lavoro tenendo esatto bilancio fra i guadagni e le spese di ogni giorno: il più del ragguaglio veniva posto su libretto nominale della Cassa di risparmio, e alla cessazione della loro appartenenza allo Stabilimento dovevano avere inscritto almeno cento lire. La generosità del sig. Fumagalli ha più volte arrotondato la cifra non ancora al compimento.
Due brave e patentate maestre attendono all’istruzione ed educazione delle convittrici e degli scolari, ma sovraintende a tutto il complesso il direttore generale dello Stabilimento, l’egregio sig. Gustavo Stamm”.

Lo spirito filantropico di Luigi Fumagalli era stato da sempre la cifra della sua famiglia

Basta fare qualche passo indietro nel tempo per osservare una continuità, negli intenti famigliari dei Fumagalli, che avevano avuto sempre un occhio di riguardo per il “sociale”. Componenti della dinastia figurano fra i “Benefattori dell’ospedale San Gerardo di Monza”.

Da un lavoro di Laura Carbonelli e Daniele Stucchi dal titolo “L’Ospedale San Gerardo di Monza: l’arte della cura e la cura dell’arte” che risale al 2009 e dall’evento espositivo  “San Gerardo e Monza. Volti e vite di benefattori dell’ospedale”, anno 2007, possiamo ricostruire questa pagina.

ESTRATTO DA: “L’Ospedale San Gerardo di Monza: l’arte della cura e la cura dell’arte”

“La seconda famiglia di cui vogliamo parlare è quella dei Fumagalli, industriali monzesi produttori di cappelli, un settore in cui Monza primeggiò per tutto l’Ottocento e l’inizio del Novecento. Una famiglia benestante, dunque, quella dei Fumagalli, che seppe condividere la ricchezza accumulata con il proprio lavoro con quella parte di monzesi bisognosi di cure ed assistenza. Il capostipite è Giò Battista, nato da un commerciante di stoffe nel 1771, che fondò in Monza un cappellificio a conduzione familiare; scomparve nel 1846 beneficando l’ospedale cittadino e inaugurando, così, una pratica che divenne poi consuetudine per i suoi discendenti. Tre dei suoi figli compaiono, infatti, con lui nella Quadreria dei Benefattori dell’Ospedale: Giò Antonio con la moglie Rachele, Paolo e Luigia .

Carlo de Notaris 1871, ritratto di Gio Antonio Fumagalli

Giovanni Antonio Fumagalli ampliò la tessitura paterna trasformandola in un’azienda moderna per la filatura meccanica del cotone, la “Fratelli Fumagalli di Gio Batta”, che figura tra le fornitrice dell’ospedale. Sposato con Rachele Colombo, Giò Antonio ebbe tre figli: Costantino, Battista e Adelaide.

Gerardo Bianchi 1892, ritratto di Rachele Colombo vedova Fumagalli

In memoria dei genitori i figli vollero istituire delle “piazze da cronico” letti per malati in lunga degenza presso la Pia Casa di Ricovero e Industria monzese, il ricovero per anziani e poveri bisognosi della città. Nel 1871 la figlia Adelaide donò all’ente lire 7.500 per l’istituzione di un letto in memoria del padre scomparso il 27 febbraio 1870, mentre nel luglio 1892 fu il figlio Costantino a disporre un lascito di Lire 10.000 in memoria della defunta madre, Rachele Colombo vedova Fumagalli, deceduta il 12 gennaio dello stesso anno. Nella Quadreria dell’ospedale si conservano i ritratti di entrambi i coniugi.

Gerardo Bianchi 1888, ritratto di Luigia Fumagalli, vedova Longo

Paolo Fumagalli fu invece inserito tra i benefattori dell’Ospedale in seguito all’elargizione del figlio Giulio e degli eredi, che nel luglio 1874 donarono 7.000 per un letto intestato al congiunto defunto. Luigia Fumagalli, vedova Longo dispose invece direttamente delle proprie sostanze con testamento segreto depositato presso il notaio Alessandro Polloni il 22 dicembre 1884; la benefattrice morì il 10 febbraio 1888, lasciando un legato di lire 10.000 per un “letto per cronici” presso l’Ospedale di Monza. Anche l’erede ed esecutore testamentario della donna, il nipote Claudio Frigerio, figura tra i benefattori dell’Ospedale, in qualità di presidente della ditta Fossati & Lamperti.

Ancora nello stesso solco, dal catalogo dall’evento espositivo del 2007 “San Gerardo e Monza. Volti e vite di benefattori dell’ospedale” proponiamo questa pseudo-intervista attribuita a Giò Batta Fumagalli, fondatore dell’attività tessile a Peregallo:

Anonimo lombardo 1846, ritratto di Giovan Battista Fumagalli

“Mio padre Giosuè era negoziante di stoffe. Esercitava il commercio ambulante, apparecchiando con la merce numerose carrette trainate da cavalli, che mandava alle cascine sparse per le campagne brianzole.

Bisognava ritornare, farsi conoscere, per non essere forestieri ai contadini, finché le donne avevano fiducia, e comperavano. Un lenzuolo, un taglio per una camicia da notte o una sottogonna, ma c’erano sempre ragazze da marito che dovevano farsi il corredo. I nostri uomini giravano molto, e ci sapevano fare: gli affari andavano bene. Mio padre allora pensò fosse il momento di avere qualcosa di stabile e comprò una filanda di seta. Io invece, com’era tradizione a Monza, ho aperto un cappellificio, che ha raggiunto grandi risultati, mi ha dato ricchezza e soddisfazioni. Ma nel medesimo tempo avevo avviato un’attività di tessitura del cotone (che impiegava ancora manodopera del contado), in cui mio figlio Giovanni Antonio ha voluto poi mettere tutte le sue energie. L’ha fatta crescere fino a trasformarla in una industria moderna, che porta il nome della nostra operosa famiglia: la Fratelli Fumagalli di Giovan Battista”.

Per una pronta ripresa dell'attività

Ancora dalla stampa dell’epoca

Terminata questa necessaria e sostanziosa parentesi sull’impegno sociale dei Fumagalli, ritorniamo alla cronaca dei giorni successivi al tremendo incendio.

Il Principe di Piemonte, futuro re Umberto I

Ancora la “Gazzetta Ufficiale” del 3 dicembre 1875 riprendeva quanto proposto il giorno prima sul giornale del mattino pubblicato a Milano la “Perseveranza”. Si dava notizia della costituzione di un Comitato composto da cittadini, per raccogliere offerte per gli operai rimasti privi di lavoro. L’iniziativa aveva trovato ampio consenso pubblico,  molti signori milanesi, che possedevano ville a Monza e nei dintorni, risposero all’appello.

Interessamenti “reali”

Non mancò l’apporto di un più che illustre personaggio pubblico, trascriviamo dalla stampa dell’epoca: “La serie delle sottoscrizioni fu splendidamente inaugurata da S.A.R. il principe Umberto colla generosa offerta di lire 1000, accompagnata dalla bellissima lettera che qui trascriviamo, insieme alla risposta del signor Fumagalli”. Ugualmente importante e esemplare il comportamento di Luigi Fumagalli, anche in questo frangente così ricordato: “Questo benmerito industriale, più che del proprio infortunio, si preoccupò della sorte de’ suoi numerosi operai, e, dal canto suo, vi provvide finora con una larghezza, con una previdenza, con una sollecitudine e con un’illuminata generosità alle quali sarebbe impari ogni nostro encomio. Tutti gli operai indistintamente ricevettero tre settimane di salario. Novanta di essi furono dal Fumagalli medesimo addetti al suo piccolo opificio di Gernio, divisi in tre squadre, succedendosi alternativamente per otto ore del giorno ciascuna e integralmente pagate, come se lavorassero le dodici ore normali. Infine non fu sciolto per anco il convitto delle allieve operaie”.
La zona dove oggi sorge il ristorante Ranch Mary, nel 1875 ospitava la filanda Fumagalli

L’impianto di Gerno

Due sottolineature: i Fumagalli, a poca distanza dall’impianto di Peregallo, avevano realizzato una seconda filatura di dimensioni più ridotte, a Gerno dove oggi troviamo l’attività del ristorante “Ranch Mary” nella prossimità del ponte della ferrovia Seregno-Carnate. Altro particolare importante che emerge è la decisione di tenere attivo anche il convitto delle allieve operaie, la cui chiusura era stata paventata nel primissimi giorni dopo l’incendio. Proponiamo ora le due lettere, quella di Umberto I e la risposta di Luigi Fumagalli

Prospettive per una immediata rinascita e due parole sul direttore dello stabilimento Gustavo Stamm

La capacità imprenditoriale di Luigi Fumagalli, non è assolutamente in discussione, una visione d’avanguardia, proiettata nel futuro, di cui sapeva cogliere quei progressi che avrebbero garantito alla sua attività nuove soddisfazioni.

S’inquadra in questa ottica la vicenda che aveva visto il Fumagalli, proporsi con quote d’investimenti, per l’adeguamento della stazione ferroviaria di Arcore.

La neonata ferrovia e la stazione di Arcore

Era il 1874 quando il comune di Arcore fa richiesta alle “Ferrovie dell’Alta Italia”, che gestiva appunto la linea ferroviaria che transitava da Arcore, proveniente da Monza e diretta a Lecco, di avere un servizio di trasporto merci a P.V. (piccola velocità)

La richiesta era così motivata: “Tale concessione è istantaneamente reclamata da tutti gli industriali e commercianti di Arcore, i quali avrebbero il vantaggio di far trasportare colla ferrovia le loro merci, risparmiando così quasi ogni strada ordinaria. E la stessa amministrazione Ferroviaria parrebbe debba trovarvi un proprio tornaconto nello accordare l’accennato trasporto delle merci a Piccola velocità, dappoichè i negozianti di vino, i commercianti di granaglie od altri generi, i negozianti di legname e di bestiame del comune ed i proprietari del comune stesso pel trasporto dei prodotti del suolo come a dire frumento ecc… e trasporto di foglia Gelsi, potrebbero affidare alla ferrovia un carico in complesso del peso di più migliaia di quintali all’anno.
Ne soltanto i commercianti e proprietari di Arcore si gioverebbero della ferrovia pel trasporto delle loro merci e prodotti del suolo, ma ben’anco ne userebbero i commercianti di vino, granaglia, legnami d’opera ecc.. ecc.. e gli industriali dei comuni circonvicini.
E’ degna poi a questo proposito di nota tra gli industriali dei detti comuni la Ditta Fumagalli proprietaria ed esercente di un vasto cotonificio in Peregallo di Lesmo con altro sussidiario a Gerno di Lesmo stesso, frazioni distanti la prima poco più di un chilometro da Arcore e l’altra circa due chilometri, la qual ditta controfirmando questa istanza dichiara di valersi della ferrovia pella tratta MONZA-ARCORE pel trasporto a piccola velocità delle sue merci e combustibile pel rilevante peso di non meno di 1500 tonnellate vale a dire 15.000 quintali all’anno”.

La stazione di Arcore dopo l’ampliamento del 1883

 

Contrattempi e intoppi

Nel febbraio del 1875 il Comune di Arcore da il via ad una sottoscrizione a fondo perduto per realizzare il nuovo trasporto in concorso con la “Società Anonima Briantea”, che di fatto avrebbe gestito il servizio. Nella volontà dell’amministrazione arcorese la conferma della sottoscrizione a patto dell’attivazione del servizio entro la fine di quell’anno. Le cose subirono qualche intoppo se nel dicembre del 1875 il Comune di Arcore si vide costretto a comunicare alla “Società Briantea” che Luigi Fumagalli era nell’impossibilità in quel momento di onorare l’impegno preso, tale situazione ci lascia supporre che l’industriale fosse l’unico sottoscrittore.

Nella comunicazione il Fumagalli prospettava di poter fare fronte all’impegno verso la metà di gennaio dell’anno successivo e poter usufruire del servizio a partire da maggio: “per poter far trasportare i materiali pella ricostruzione dell’opificio nonché le macchine necessarie per poter riprendere l’esercizio nella prossima primavera.” Le intenzioni dell’imprenditore andavano oltre, si augurava che nei primi mesi del 1876 il servizio fosse attivo, o “per lo meno il binario pel servizio merci a P.V. pella società fosse costruito e gli fosse concesso di congiungersi al medesimo per poter caricare servirsene nel magazzino che intende costruire a proprie spese”.

Il prospetto della stazione di Arcore, lato esterno, con l’indicazione delle due ali aggiunte con l’ampliamento del 1883

 

Abbiamo seri dubbi che quanto prospettato abbia mai visto la luce, in considerazione del buco temporale nella documentazione consultata che rimanda al 1882 quando la “Società Briantea” si fa nuovamente viva, annunciando come da tempo si stia considerando l’ampliamento della stazione di Arcore, e invitando l’Amministrazione Comunale al concorso delle spese. Arcore avrà una stazione ampliata e dotata di nuovi servizi di trasporto nel 1883. Per la cronaca terminiamo il racconto nel ricordare il sollecito della società di gestione ferroviaria che chiedeva, nell’agosto del 1883, al Comune di Arcore la quota, a suo carico, che tuttavia si riferiva alle 6000 lire dovute al momento d’avvio della ferrovia, nel 1873, e mai saldate. (sic.)

Il direttore dello stabilimento: Gustavo Stamm

Abbiamo infine voluto cercare qualche informazione sul più volte citato direttore dello stabilimento all’epoca dell’incendio, il signor Gustavo Stamm, che si era prodigato nel dirigere la difficile emergenza. Il 1875 si rivelò per l’ingegnere Stamm, particolarmente nefasto. Prima del disastroso incendio dello stabilimento che dirigeva, si legge nella cronaca, che fosse appena reduce da malattia, ed ancora nel mese di agosto era stato colpito da un lutto familiare per la morte del padre, personaggio illustre nell’ingegneria civile. Ernesto Stamm, questo il nome del padre, è ricordato per essere stato il primo ad affrontare la possibilità di realizzare il traforo del Monte Bianco per il passaggio della ferrovia Torino-Lione.
Nel gennaio 1875 pubblicò uno studio preliminare della ferrovia del Monte Bianco. Nell’agosto dello stesso anno in occasione del Congresso Internazionale di Geografia, l’ing. Stamm si recò a Parigi dove fu colpito dal colera e morì la sera del 2 agosto, il giorno che precedeva l’inizio del congresso.
L’improvvisa scomparsa dell’animatore del progetto bloccò l’iniziativa per il traforo per quasi un secolo. Il traforo del Monte Bianco venne realizzato solamente all’inizio degli anni sessanta con una galleria per il transito dei mezzi su gomma.

Troviamo ancora notizia dell’ingegnere due anni dopo quando nel gennaio del 1877 viene ammesso nel Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Milano su proposta di due illustri colleghi Valentino Ravizza, che aveva la sua abitazione ad Arcore e l’ingegner Palamede Guzzi (padre di Carlo fondatore della Moto Guzzi) autore di uno studio particolareggiato del corso del Lambro, che si trovava a dialogare con Luigi Fumagalli, per tutte quelle problematiche che si configuravano nel quadro dello sfruttamento idrico del fiume per l’approvvigionamento della forza motrice necessaria alle attività collocate sul suo corso, come appunto risultavano gli opifici Fumagalli.

Cotonificio veneziano quando fu realizzato nel 1883

 

Qualche anno dopo, tra il 1882 e il 1883, forte della sua esperienza maturata negli stabilimenti Fumagalli, Gustavo Stamm si troverà ad assumere la dirigenza del Cotonificio veneziano voluto dal barone Eugenio Cantoni, che si stava impiantando nella città lagunare nel Campo di Marte. Il complesso sarebbe stato composto da 4 corpi di fabbrica con installati 25000 fusi per ogni costruzione. Nella stampa dell’epoca a proposito dell’operazione si leggeva: “La direzione tecnica generale dello Stabilimento verrà affidata all’ingegnere Gustavo Stamm, svizzero, il quale oltreché meccanico distinto, è anche filatore espertissimo”.

POSTFAZIONE

Ho preferito non svelare, all’inizio del lavoro, le motivazioni e le modalità con cui si è proposta la figura di Luigi Fumagalli. Ho voluto dare un giusto risalto ed enfatizzare la notizia dell’incendio che doveva attirare la curiosità del lettore, altrimenti distolta e magari poco interessata alla semplice istanza che mi ha ispirato. Arriviamo velocemente al punto.

Ho intercettato, su eBay una serie di cartoline postali, per la precisione cinque, indirizzate a Luigi Fumagalli. I titoli di cui poteva fregiarsi andavano da “Egregio Signor”, a “Illustrissimo Sig. Cav.” e così via, ma è stata una intestazione, in particolare, ad attirare la mia attenzione, dopo la sperticata fila di titoli si leggeva: “Presidente della Società dei proprietari del lago di Pusiano”. La scintilla ha aperto orizzonti, di cui cercherò di raccontare prossimamente. Il tema del lago di Pusiano, ha immediatamente spalancato altri scenari: il bacino lacustre serviva per regolare il fiume Lambro e scendendo sulle sue acque, utilizzate per dare forza motrice alle pioniere attività industriali, dislocate sul suo corso, l’approdo è stato Peregallo, frazione di Lesmo, dove finalmente Luigi Fumagalli usciva dall’alone di mistero per palesarsi titolare di quel “Cotonificio Stucchi e Fumagalli” di cui abbiamo raccontato della nascita e poi sino al momento del distruttivo incendio, con qualche dissertazione per svelare una pagina di “imprenditoria illuminata” nell’Ottocento brianzolo. Non mi fermo qui, abbiamo ancora altro da scoprire su Luigi Fumagalli e la sua attività imprenditoriale. Alla prossima…

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