Il cinabro, l’orpimento e il colore del cielo

Il cinabro, l’orpimento e il colore del cielo

di

Paolo Cazzaniga

Uno spicchio di Brianza, una presa di chimica, una spruzzata di mistero; questi gli ingredienti.

La ricetta, quella di un cuoco di prestigio, pardon “regista di prestigio”; Wim Wenders: “Ci sono luoghi che reclamano a gran voce una storia. Essi evocano le loro storie, si, se le creano.

P.S. Avevo proposto questo racconto nell’estate del 2013, poi non so come, in una delle diverse revisione dal sito era sparito, probabilmente cancellato inavvertitamente. Ora, leggendo di una scoperta archeologica sul lago di Bracciano che va a datare l’uso del pigmento rosso cinabro, (minerale tossico, il cui utilizzo implica un grado di conoscenza e competenza di chi lo usa) da parte di popolazioni neolitiche italiane, all’inizio del VI millennio avanti Cristo, mi è riaffiorato alla mente il titolo del racconto, che ora ripropongo.

RACCONTO D’ESTATE

Il cinabro,  l’orpimento e il colore del cielo

2014 RUGINELLO

Andrea sin da piccolo disegnava con un certo talento. Aveva frequentato con profitto l’accademia, dove aveva fatto i conti con due categorie d’artisti, chi vive l’arte “per animo gientile” e chi “per quadagnio”. Andrea era estraneo ad entrambe. Non sprecò le competenze accumulate e si dedicò al restauro. La chiesa di Santa Maria a Ruginello disponeva ora dei fondi per un rifacimento. Andrea in quell’incarico, trovò ad attenderlo la Madonna in trono che allatta, un dipinto, catalogato come “prodotto da artigiani dall’incerto mestiere e dalla preparazione sommaria riconducibile ai decenni tra Quattrocento e Cinquecento”. Una singolare attrazione l’aveva coinvolto. Il manto della Madonna appariva svaporato; il blu che era stato, virava verso toni spenti e rossastri. Gli strati, stesi nel tempo da mani ora ispirate ora rozze, erano serviti a preservare l’opera ed ora rimossi svelavano l’originale. Piccoli frammenti del colore del cielo, così l’aveva classificato Andrea, si palesavano. Lo stesso fu raschiando la parte alta del dipinto, dietro all’ingombrante trono. La vera sorpresa fu l’esito dell’analisi chimica, dei campioni. Il responso era inequivocabile: CoO  SnO2 + CoSn (OH)6, noto anche come Cielestro, o Blu di Hopfner. Andrea non aveva dubbi, ma preferì sincerarsene. Il testo di chimica recitava: “Pigmento inventato nel 1805 da Andreas Hopfner, venduto come pigmento artistico solo a partire dal 1860, é una composizione di ossido di cobalto e ossido di stagno più stannato di cobalto.”

ANNO 1480 DINTORNI DI VIMERCATE

Andrea aveva rallentato l’andatura in vista del bivio. Quattro oche, in processione, gli attraversarono la strada. I volatili salirono sul bordo della carrareccia e si allontanarono dal giovane. Andrea decise che quella era la direzione da prendere. Sulla schiena le poche cose che gli occorrevano, comuni ai pittori girovaghi come lui. Un soffio più gonfio di vento si riempì di foglie: una di leccio, uscendo dai ranghi, dopo un balletto dispettoso si posò sull’uscio della casa. Andrea pensò che quella fosse la porta a cui bussare. Aveva deciso di lasciare al caso il suo destino e il caso l’accontentò. Galeazio, il padrone di casa, acconsentì che Andrea prendesse alloggio lì, qualche soldo della pigione lo avrebbe aiutato. Il venditore di panni Bossiis da Oldaniga, che assicurava la messa alla chiesa campestre di Rozanello, voleva guadagnarsi la gloria dei cieli e nel frattempo marcare lo status raggiunto. Andrea realizzò il dipinto proposto dal commerciante, ritratto ai piedi della Madonna in deferente preghiera. La sua smisurata ambizione poteva essere appagata, voleva stupire con un opera che l’avrebbe elevato fra i “grandi”.

Fu inseguendo Geber, il gatto di Galeazio, che con un balzo gli aveva scippato del pane e s’era infilato nella porta fino ad allora inviolata, che il fato, ancora una volta, sembrò dalla sua. Colse un bagliore che arrostiva nel crogiolo le pietre di cinabro mentre le prime gocce di un liquido lucido venivano raccolte. Alla fine del 1400, quando Andrea cercava la via dell’arte, un luogo, che oggi definiremo “l’antro dell’alchimista”, non serviva che avesse un nome; serviva che fosse il più celato possibile. Galeazio, scoperto nella sua pratica segreta, acconsentì, suo malgrado, a fornire i colori necessari, sino a procurare quel colore del cielo che tanto stava a cuore ad Andrea. Un cielo che nel dipinto sarebbe stato indimenticabile e avrebbe assicurato ricchezze ad Andrea. Forte dei nuovi colori affrontò la pittura con tutta la sua destrezza. Il manto della Madonna del latte e il fondale raggiunsero una saturazione ed una luminosità tale da stupire il mercante che non lesinò sulle pretese economiche di Andrea. Il pittore aveva giocato sul blu tutte le sue carte, il resto dell’opera non valeva ugualmente, tanto da essere giudicato, in seguito, un dipinto di “maniera”. La sua ossessione era ora di essere l’unico depositario del colore del cielo. Geber aveva miagolato a lungo, ma nessuno era intervenuto e quando le fiamme avvolsero ogni cosa il gatto lasciò di gran carriera la casa. Andrea esaurì in breve il suo talento, o meglio il colore del cielo avuto dall’alchimista. La sua gloria si era consumata in un attimo, come la casa di Galeazio divorata dalle fiamme.

DA UN DOCUMENTO DELL’ARCHIVIO PLEBANO DI VIMERCATE

… che loro commune confidente facessi la divisione in due parti de loro beni stabili situati parte nel territorio…

In controluce il foglio di pergamena, mostrava un garbuglio di segni e svolazzi che si intersecavano ai tratti superficiali che vergavano quella divisione testamentaria. Poi, il lavoro certosino, grazie agli strumenti sofisticati di cui disponeva, aveva riportato in vita questo scritto:

Or dunque, che la vita mi sta lasciando, nota farò dell’arte che bisognavo e che non fu usa a pigliar fiori ma solo spine.

Non truovai la mano dei gran maestri. Dipignano Madonne, tanto simiglianti al vero che dal muro discendono e camminano in tra le genti, tanto le mie parevano mute e solitarie. Ebbi a cognoscere di Galeazio, che fa cholori per archimia e t’imprometto che mai non gustai più bello e perfetto cholore di cielo. Pervegni a lui fingendo, per ingannarlo, mi conducesse il fato. Acciochè alchuno avesse il cholore del cielo, ma sol al mio pennello, sparsi in ogni dove l’umor viscoso che intride tutto come la peste e lo impigliai col fuocho. L’ultimo soffio di vento netta tutto, ma come la pecie, un gran magone mi veste. Il vaio che ero mai si fece ermellino. Invocando ora perdono all’alto Iddio e  a quella dilettissima avochata di tutti i pechatori, Vergine Maria. Amen.


                                                                                                                Andrea da Trivilio


 Castri Negrini         Anno domini MDXIII die vigesimosexto mensis maij

NOTA: La chiesa cimiteriale di Ruginello, dedicata a Santa Maria, e soprattutto i dipinti in essa contenuti, sono serviti da spunto per questo breve racconto. Un luogo che vale una visita. Purtroppo l’accesso è molto difficile se non impossibile. La chiesa meriterebbe ben altra visibilità. L’intenzione di un restauro, al momento resta tale.