Arcore: Il Cippo dedicato ai partigiani vimercatesi, in stato di desolante abbandono

Arcore: Il Cippo dedicato ai partigiani vimercatesi, in stato di desolante abbandono

Nel corso della ricerca sulla ex area Falck, e l’ormai mitico progetto “HangAr-Core”, il racconto delle vicende dell’attività della “Bestetti Carlo costruzioni aeronautiche”, che si avvia al termine, arriva agli ultimi mesi del 1944, quando la stessa è presa di mira da due azioni partigiane, rivolte a danneggiare aerei in riparazione nei suoi hangar. Dopo l’incursione del 20 ottobre, con la distruzione di 5 velivoli SM 79 e i danni provocati ad altri apparecchi, una nuova azione il 29 dicembre, che vede cadere vittima Iginio Rota, a capo del “commando”, e quindi la cattura degli altri componenti l’attacco, che processati vennero giustiziati ad Arcore il 2 febbraio del 1945. A ricordo del cruento episodio, finita la guerra, sul luogo della fucilazione, nel campo volo della Bestetti, venne eretto un cippo che ricordava le vittime.

Settembre 2023 come si presenta il luogo che accoglie il “Cippo ai Partigiani Vimercatesi”

Ritorneremo sull’episodio nell’ultima puntata, che dedicheremo alla storia della società arcorese, ma abbiamo deciso di riservare questo spazio per una più ampia trattazione dell’episodio e soprattutto per denunciare lo stato di abbandono ed incuria in cui versa il “Cippo dedicato ai partigiani vimercatesi”.

Paolo Cazzaniga

La nostra denuncia ripresa da:

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Settembre 2023 visita al “cippo”

Qualche giorno fa, grazie alla disponibilità di un “abitante” del “Villaggio Falck”, ho avuto modo di visitare, all’interno del complesso, il “Cippo dedicato ai partigiani vimercatesi”, di cui confesso, non avevo conoscenza prima della ricerca che ho in corso sulla Bestetti.

Sulla mappa odierna, in cui non è ancora riportato il complesso residenziale “Le torri nel parco” la collocazione del “Cippo ai Partigiani Vimercatesi”

Ci siamo avventurati oltre le abitazioni, e sul margine della cinta muraria verso nord-ovest, a ridosso del prolungamento di via Carlo Bestetti, occorso dopo l’edificazione del complesso “Le torri nel parco” (per ora le torri, il parco… si vedrà!?), dunque su questo margine lo spazio dedicato al cippo dei partigiani.

Oltre le abitazioni del “Villaggio Falck” i cespugli arrotondati, che contornano il “Cippo ai Partigiani Vimercatesi”, la vegetazione d’infestanti ostacola il passaggio e “inghiotte” il mausoleo. Sullo sfondo le due costruzioni realizzate nell’ex area Falck.

Devo dire che l’erba alta e i rovi cresciuti prima di giungere al mausoleo, non erano certo incoraggianti. Ho intravisto i sei alberelli, con la loro forma bombata che contornano il cippo, coperti d’infestanti che in parte ne precludono addirittura la vista.

Il cancelletto che immette al piccolo viale, tutto è ricoperto di rovi e infestanti, in fondo la stele che ricorda i partigiani

Arrivati agli scalini che scendono al cancelletto, che immette nella zona del monumento, altre erbacce e rovi formano una trappola all’incedere col rischio, ad ogni passo, d’inciampare e cadere. Lo stato del vialetto che conduce al cippo rispecchia lo stato d’abbandono, finora illustrato.

La mia gentile guida ha commentato che la situazione del luogo, mai particolarmente curato, è peggiorata negli ultimi due anni. Si interviene rendendola presentabile a ridosso della ricorrenza del 2 febbraio, poi per un altro anno tutto ritorna nell’oblio della vegetazione che ricopre il posto. 

Il luogo dedicato ai Partigiani vimercatesi, condannati a morte dopo l’attentato del 29 dicembre 1944, così come si presentava in origine, curato e ben tenuto.

Qualche considerazione. Il cippo si trova nel Comune di Arcore, all’interno di una proprietà privata, la manutenzione, quando viene fatta, è a carico dell’Amministrazione Comunale di Vimercate. La frequentazione e la celebrazione del ricordo, sempre  a detta della mia guida, è curata dall’ANPI di Vimercate, località da cui i partigiani provenivano.

Avvicinandosi al cippo la sensazione di desolazione e abbandono si conferma

Ci sembra doveroso a questo punto lanciare qualche proposta. Innanzitutto dare corso ad una manutenzione del luogo che possa essere continuata tutto l’anno, come ripetutamente mi ha confermato di aver sollecitato il presidente dell’ANPI di Vimercate, Savino Bosisio, all’Amministrazione Comunale competente. Immagino che qualche associazione, che ha a cuore la causa, possa con le opportune autorizzazioni, contribuire alla manutenzione del “cippo”. Voglio infine segnalare la possibilità di mettere in comunicazione direttamente il mausoleo con via Carlo Bestetti, opportunità resa possibile dopo la sistemazione sopraggiunta alla via, con l’edificazione del nuovo complesso residenziale, e rendere il luogo sempre fruibile a tutta la popolazione. In questo caso sarà necessario un accordo a più parti: i proprietari dell’area del “Villaggio Falck” e le Amministrazioni Comunali di Vimercate ed Arcore. Risultato non impossibile, se perseguito da “uomini di buona volontà”. Tutto qua, non disperiamo che questa idea possa essere raccolta ed opportunamente elaborata.

Via Carlo Bestetti, come appare oggi, dopo l’edificazione del complesso residenziale. Appena dietro il muro, all’interno del Villaggio Falck, si trova il “Cippo ai partigiani Vimercatesi”

Una soluzione simile era stata richiesta, ormai alcuni anni fa, dall’ANPI di Vimercate, senza che si andasse al di là di qualche ipotesi possibilista. “Come si sistema l’area una volta all’anno, anche questa ipotesi ritorna sul tavolo in occasione del 2 febbraio durante le commemorazioni, per poi ritornare nel dimenticatoio”, sottolinea Savino Bosisio presidente ANPI Vimercate.

Ipotesi di rendering di come potrebbe essere realizzato un ingresso autonomo verso il mausoleo dei Partigiani Vimercatesi, dalla Via Carlo Bestetti

Ora la nuova viabilità ci sembra abbia semplificato la situazione e reso la soluzione meno complicata, da un punto di vista pratico, naturalmente non deve mancare quella buona volontà che le parti coinvolte dovrebbero dimostrare. 

Il cippo con le foto e i nomi dei “Partigiani Vimercatesi”

Dopo questa introduzione ritorniamo alla “storia” per raccontare di come si svolsero i fatti che condussero all’esecuzione della pena capitale, inflitta al “commando” che partecipò all’assalto del 29 dicembre 1944 allo stabilimento Bestetti. 

I venti mesi che divisero in due l’Italia: settembre 1943 – aprile 1945

A farci da guida lo scritto di Carlo Levati (Partigiano Tom) “Ribelli per amore della libertà”, morto a 91 anni nel 2012, unico sopravvissuto, tra i protagonisti dell’assalto, fucilati poi ad Arcore il 2 febbraio del 1945. Il Levati, condannato contumace, era riuscito a fuggire per tempo prima di essere arrestato

Un po’ di storia

Il 23 maggio 1919 Mussolini fondava a Milano i “Fasci Italiani di Combattimento”. Il fascismo, con la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, saliva al potere. La dittatura vera e propria iniziò con il discorso che Mussolini tenne alla Camera il 3 gennaio 1925. Nel novembre del 1926, con la promulgazione delle leggi eccezionali, venivano spazzate via le ultime libertà democratiche che ancora sopravvivevano.

Solo con l’ingresso dell’Italia in guerra a fianco della Germania nazista, il 10 giugno 1940, il consenso al regime cade gradualmente. Disagi economici e alimentari, disastri militari dovuti all’impreparazione della Nazione, massicci bombardamenti aerei, corruzione del regime, porteranno al definitivo crollo del consenso all’inizio del 1943.

La protesta popolare culminava con gli scioperi del marzo 1943 nelle industrie del Nord. Il 10 luglio gli angloamericani sbarcavano in Sicilia. Il 25 il Gran Consiglio del fascismo toglieva la fiducia a Mussolini e il re lo faceva arrestare; lo sostituiva il Maresciallo Pietro Badoglio, che annunciava: “La guerra continua”.

L’8 settembre veniva annunciata la firma dell’armistizio con gli angloamericani: la mancanza di ordini chiari da parte dei vertici portò alla dissoluzione delle nostre forze armate, mentre il re e Badoglio fuggivano a Brindisi.

Con la dissoluzione dell’esercito italiano si formarono i primi nuclei dell’esercito partigiano: soldati, operai, professionisti, studenti, rifugiati sui monti per sfuggire alla violenza nazifascista, si costituirono in gruppi di resistenza armata.

Intanto colonne tedesche affluivano ad occupare l’Italia, e Mussolini, il 12 settembre, veniva liberato dal Gran Sasso: pochi giorni dopo fondava la Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.), con sede a Salò, sul Lago di Garda.

Il 13 ottobre 1943, il Regno del Sud, cioè l’Italia legale, dichiarava guerra alla Germania, con la speranza di liberarsi al più presto dell’oppressore tedesco e del cupo collaborazionismo fascista.

Iniziava, così, un periodo di lotta durissima, nel quale l’aspetto più drammatico è “la lotta armata fra gli italiani, fra i resistenti e coloro che hanno accettato di collaborare con il governo fascista di Salò.

Dopo l’8 settembre 1943, anche nella nostra zona gruppetti di militari sbandati, in possesso di qualche arma, agirono autonomamente contro i nazifascisti.

Solo dando loro una direzione politica e militare si sarebbero trasformate dalle iniziale “bande” in reparti politicamente coscienti e capaci di reggere lo scontro col nemico. Figura preminente nell’organizzazione delle prime brigate Garibaldi in zona fu il comunista Eugenio Mascetti.

Nella Brianza orientale, le Brigate d’assalto “Diomede” operavano nei paesi inclusi nel triangolo Melzo-Monza-Oggiono; zona divisa in quattro settori: Oggiono, Monza, Vimercate e Melzo.

Alla data del 30 novembre 1944 le forze partigiane della Brianza orientale risultavano così organizzate:

103° Brigata “Vincenzo Gabellini”(Vimercate) 400 uomini;
104° Brigata “Gianni Citterio””(Oggiono) 400 uomini; 
105° Brigata “Luigi Brambilla” (Melzo) 168 domini.
Contemporaneamente si andavano organizzando le brigate del Popolo e Matteotti.

                                                                   Giorgio Perego Insegnante di Storia

Creazione della 103° Brigata Garibaldi S.A.P. “Vincenzo Gabellini”

Racconta Carlo Levati: “Dopo l’inverno del ’43 (trascorso, tra le montagne e poi a costituire un gruppo di resistenza locale) uno dei nostri, e precisamente Pierino, veniva avvicinato da una persona la quale con discrezione chiedeva di poter parlare con qualcuno al fine di consolidare il gruppo o addirittura crearlo ufficialmente. Decidemmo di ascoltare tali proposte. Si arrivò così alla decisione di potenziare il gruppo inserendo, come uomo d’azione, Iginio Rota, che si rivelò utile. Nato nel 1921 a villa d’Almè, aveva prestato servizio militare presso l’8° Reggimento Autieri di Bologna, come sergente. Occupato presso il Linificio Canapificio di Vimercate, in qualità di capo officina, a lui venne affidato il comando con una decisione che fino a quel momento non avevamo conosciuto: la votazione. Nasce così il primo distaccamento 103° Brigata Garibaldi S.A.P. “Vincenzo Gabellini”.

Da sinistra a destra in piedi Carlo Vimercati “Mansin”, Aldo Diligenti, Renato Pellegatta, Emilio Cereda, Carlo Levati e Emilio Diligenti . Seduti da sinistra Aldo Motta Iginio Rota e Pierino Colombo. Vediamo due dei partigiani che tengono in mano strumenti musicali, confermando quanto riporta nel libro Carlo Levati: “Avevamo creato anche un’orchestrina: Aldo Motta, mandola; Aldo Diligenti, chitarra; Pierino, armonica a bocca”:

Collegamenti con la 104° Brigata di Arcore

“Sul finire dell’estate del 1944 avvertimmo la necessità di stabilire un collegamento anche con la 104° Brigata Garibaldi che s’era formata ad Arcore (Alberto Paleari Giuseppe Centemero). Ciò per ampliare il fronte della Resistenza e per avere un appoggio reciproco nel caso ci fossimo trovati in difficoltà. Estendemmo i nostri contatti anche con gli antifascisti di Monza, al fine di allacciare un dialogo politico, necessario per le nostre azioni future”.

Primo attacco al campo di aviazione di Arcore 20 ottobre 1944

“Il Comando di Brigata preparava un attacco al campo di aviazione di Arcore, dove erano in riparazione aereo-siluranti S.M.79. Nell’hangar erano pronti per il decollo sei aerei che noi avremmo dovuto sabotare. Studiato il piano d’attacco partimmo tutti assieme per Arcore.

Era la sera del 20 ottobre 1944. Seguendo le stradine di campagna avanzammo verso il campo di aviazione passando a nord di Velasca. Dopo aver attraversato un campo, all’altezza della palazzina che si trovava all’interno del campo d’aviazione, mettemmo in atto il solito dispositivo di sicurezza per coprirci le spalle e la via di accesso al campo. Quindi entrò in azione la squadra sabotatori. Di soppiatto, strisciando contro il muretto ed evitando di fare rumore per non mettere in allarme le sentinelle, arrivammo all’ingresso dell’hangar.

L’interno dello stabilimento Bestetti con gli scheletri di due SM 79 distrutti nell’attentato

Con un paranco sfondammo la porta, ed estratte dagli zaini le bottiglie molotov le lanciammo dentro le cabine di pilotaggio. Le bottiglie si ruppero, la benzina s’infiammò. Scappammo fuori in attesa di sentire i primi botti, ma ciò non avvenne. Bruciato il contenuto, la fiamma non si allargò ma si spense. Incredibile! Dopo un attimo di perplessità, Emilio ebbe un’idea che noi tutti approvammo. Si trattava di smantellare un pagliaio ai margini del campo, e in diverse riprese portare delle bracciate di paglia e deporle nelle cabine degli aerei; poi, sempre di corsa, arricchire la dose con delle bombole di ossigeno e acetilene, quindi dell’olio, legname e tutto quello che poteva far fuoco; infine coi cerini appiccare il fuoco in più punti. Facemmo tutto ciò e l’esito fu più che positivo. Sempre di corsa tornammo a casa al suono cadenzato e fragoroso delle esplosioni degli aerei, cantando “Va fuori d’Italia, Va fuori stranier” e “Bandiera rossa”. Cinque aereo-siluranti S.M.79 furono distrutti completamente ed uno venne danneggiato.

Il giorno seguente Radio Londra, nel suo bollettino di guerra, annunciava l’azione al campo d’aviazione di Arcore, condotta dal 1° distaccamento della 103° Brigata Garibaldi S.A.P. Vincenzo Gabellini. All’azione di sabotaggio avevano partecipato:

Iginio Rota nome di battaglia ACCIAIO, Renato Pellegatta  RENA, Aldo Motta  MIRCO, Pierino Colombo  RABO, Luigi Ronchi  NABO, Emilio Cereda  CID, Mario Carzaniga  IVAN, Erminio Carzaniga  MARESCIALLO, Carlo Levati  TOM.

La foto del gruppo dei partigiani che avevano assaltato il campo volo Bestetti il 20 ottobre 1944.

Dopo questo attacco, come misura precauzionale, cambiammo la base e ci frazionammo in diversi gruppetti: non ci dovevamo incontrare per qualche giorno.”

Una coincidenza di date 20 ottobre 1944: assalto partigiano ed estinzione anticipata del mutuo decennale della Bestetti 

Escludiamo possa trattarsi di una casualità la coincidenza, nella stessa data, dei due eventi citati. Abbiamo valutato a lungo la contemporaneità dei due fatti, senza tuttavia, approdare ad una conclusione accertata. La documentazione consultata non è stata di aiuto. Proveremo, nell’ultima puntata, che racconta la lunga vicenda industriale della Bestetti, di prossima pubblicazione a cui vi rimandiamo, a formulare qualche ipotesi. 

Secondo attacco al campo di aviazione di Arcore. Cade il comandante Iginio Rota

Continuiamo ora con la testimonianza di Carlo Levati per arrivare ai tragici eventi dalla fine del 1944 sino al febbraio dell’anno successivo, in cui si compì il destino dei “Partigiani vimercatesi”.

“Le informazioni sul campo di aviazione di Arcore arrivavano puntualmente e con dovizia di particolari: nei capannoni dell’officina sostavano camion militari in riparazione, mentre nell’hangar vi erano sempre aerei. La forza di guardia era costituita da avieri comandati da un ufficiale, armati tutti di mitra. I militari del corpo di guardia non erano più di 12; l’unica variante era costituita dai civili che formavano le squadre antincendio e le guardie notturne. Erano in tutto una ventina.

A questo attacco parteciparono, oltre a noi, anche i partigiani di Rossino, i giovani del Fronte della Gioventù e quelli dell’Oratorio. Il punto di incontro fu stabilito nei pressi del ponte di legno sul torrente Molgora (via Quarto). Le armi da noi portate furono distribuite ai due gruppi d’attacco. Era la sera del 29 dicembre 1944. Alle ore 21.00, attraverso i campi raggiungemmo l’aeroporto di Arcore e dopo le ultime istruzioni ci dividemmo in due gruppi: il primo, guidato da Iginio, aveva il compito di bloccare la pattuglia fascista di ronda (istituita dopo il primo sabotaggio); il secondo, al quale appartenevo (sono stato designato responsabile del gruppo dal comandante Iginio Rota), doveva, invece, sabotare gli aerei ed i camion militari. Noi ci appostammo in un boschetto adiacente il campo, in attesa del segnale che avrebbe dato il via al sabotaggio, mentre Iginio partì seguito dal mitragliere del Breda 30 e da altri sei partigiani.

Qualcosa andò storto e nei pressi della palazzina del campo volo si sviluppò un conflitto a fuoco, di una portata non prevista. Il fronte del fuoco si allargò nella convinzione degli assaltati, che altri uomini potessero essere appostati, per dare manforte ai primi assalitori.

Continua Carlo Levati: “Il segnale che doveva portare in azione il secondo gruppo doveva darlo Renato. Dopo breve tempo arrivò ansimando e ci spiegò che l’assalto stava per fallire perché l’azione che doveva consentire al primo gruppo di bloccare i dodici fascisti che stavano nella palazzina del campo non era riuscita. Il motivo lo sapemmo dopo”.

Il gruppo destinato a sabotare gli aerei decise, a questo punto, di abbandonare l’impresa e cercò di aiutare il primo gruppo a lasciare indenne il campo. La cosa non fu semplice e il duro conflitto proseguì per una buona mezz’ora, quando finalmente la ritirata fu completata. Gli assalitori ritennero opportuno disperdersi, solo il Levati e un altro partecipante all’azione raggiunsero il campo base che fu presidiato fino all’alba.

Ancora il Levati: “Io mi recai a casa. Erano da poco suonate le sette quando si aprì la porta di casa mia ed entrò uno dei sei: era il Commissario politico Aldo Diligenti. 

Il Diligenti chiede conto degli altri partecipanti al sabotaggio, di cui non ha più notizia, come lo stesso Carlo Levati, poi ricostruisce gli eventi della notte precedente. Tutto sembrava procede secondo i piani. Iginio Rota e il Diligenti  avevano fatto irruzione nel locale che accoglieva i 12 fascisti, che presidiavano gli impianti, con l’intento di catturarli. Uno di questi, defilato dal gruppo, riesce a fuggire da una finestra e nella fuga s’imbatte in un altro partigiano messo a guardia all’esterno, la colluttazione che nasce vede il partigiano soccombere e al suo grido di aiuto, il Diligenti lascia la stanza per soccorrerlo. La mossa è fatale, il Rota rimasto solo, rinvigorisce i fascisti nella palazzina che pensano, ora nel trambusto, di avere la meglio sull’assalitore. Il Rota se ne avvede e decide di fare fuoco, purtroppo l’arma s’inceppa e Iginio viene colpito mortalmente, solo allora gli altri componenti dell’assalto riescono ad intervenire e lo scontro a fuoco fa molte vittime tra i fascisti. Il recupero della salma del Rota è precluso dall’accorrere di altre forze che presidiano la Bestetti. Per i partigiani non resta che fuggire e disperdersi.

Alla battaglia avevano partecipato:

1° squadra
Iginio Rota, Aldo Mota, Luigi Ronchi, Mario Carzaniga, Felice Carzaniga, Giulio Cantù, Gaetano Rigamonti, Giuseppe Ronco, Luciano Mauri, Enrico Assi, Emilio Dilegenti, Giancarlo Ronchi.

2° squadra

Renato Pellegatta, Pierino Colombo, Emilio Cereda, Erminio Carzaniga, Giuseppe Formenti, Carlo Levati, Luigi Ronco, Ruggero Ruggeri, Angelo Nava, Carlo Verderio, Aldo Diligenti, Luigi Assi.

Al link l’intero racconto di Carlo Levati sull’episodio

Nel video che segue la diretta testimonianza di Carlo Levati.

L’arresto dei miei compagni e la mia fuga rocambolesca.

Sempre Carlo Levati racconta: “Solo l’intervento di una spia fascista di Vimercate portò all’identificazione del nostro comandante, barbaramente sfigurato dopo essere stato ucciso. La morte di un gruppo di avieri fascisti venne confermata dai giornali, i quali cercavano di minimizzare l’azione partigiana.

Intanto la spia fascista, lavorando nell’ombra, riusciva a fornire i nomi degli altri componenti dell’azione al campo di Arcore e a condurre la squadra politica di Monza nelle nostre case”.

Dobbiamo dire che a distanza di anni dai tragici fatti, nel suo scritto Carlo Levati, preferisce non identificare mai le spie, con i loro nomi, che senz’altro conosceva, ma che una volta svelate non avrebbero aggiunto niente di positivo ad una vicenda tanto tragica.

La possibilità di essere identificati e catturati era altissima, quindi per quanto fosse a loro possibile, gli autori dell’azione, cercavano riparo, chi più chi meno, lontani dalle loro residenze. Era evidente che un rifugio sicuro fosse sulle montagne, dove si cercò d’indirizzare il gruppo di giovani partigiani. Nonostante la celerità dell’organizzazione, diversi componenti finirono per essere arrestati. Emilio Cereda, Aldo Diligenti, Pierino Colombo, Luigi Assi e Renato Pelagatta, furono catturati tra il 2 e il 3 gennaio, solo il Lovati riuscì a scappare, dopo una fuga rocambolesca. Dopo essersi sottratto all’arresto nella sua casa, lasciata in piena notte e a piedi nudi e aver trovato via via ripari di fortuna nella zona, grazie a diverse complicità di persone conosciute e non, il Lovati racconta di alcuni parenti, tra cui il padre, arrestati e gli stessi, che su suggerimento delle autorità militari, cercarono di convincerlo a consegnarsi. Conscio della pena capitale a cui non avrebbe potuto sottrarsi, preferì continuare la precaria latitanza. Finalmente fu avviato sulle alture di Ello, sopra Oggiono dove fu al sicuro. Nel frattempo altri componenti dell’assalto erano stati arrestati: Carlo Verderio, Angelo Nava, Enrico Assi e Felice Carzaniga.

Al link quanto riportato nel libro sull’episodio

Il 2 febbraio 1945

Riportiamo quanto scrive al proposito Carlo Levati:

“Il mattino del 2 febbraio 1945 ebbi un presentimento che mi tormentava, così verso sera inforcai la bicicletta e raggiunsi la base di Rossino per avere notizie degli arrestati. Accettai il rischio, dovevo sapere. Giunsi con il cuore in gola, e dal primo partigiano che vidi ebbi la conferma che il mio presentimento era una agghiacciante realtà. I miei compagni erano stati fucilati proprio in mattinata. Accompagnato dal capo del gruppo, Gaetano Rigamonti, non curante del pericolo di una cattura immediata, scesi a Vimercate nell’illusione che le notizie giunte a Rossino fossero false. L’illusione restò tale quando seppi dalla sorella di Aldo le ultime fasi del processo che aveva portato i miei compagni alla morte.

Ida, la sorella di Aldo, mi disse che tutti gli arrestati, mio padre, la sorella e la fidanzata di Iginio e Alfredo Parma, erano stati rilasciati qualche giorno prima. Dopo l’incontro la salutai e ritornai in montagna.

I miei compagni erano stati trasferiti dalle carceri di Monza a quelle di San Vittore a Milano. Gli interrogatori avvennero nelle carceri di Monza da parte della squadra politica. Nonostante l’uso dei soliti sistemi, cioè violenza e tortura, i partigiani non svelarono nulla di quello che sapevano. Il più provato fu Renato perché era il più giovane. Ma la fedeltà ai loro ideali e la coscienza di essere nel giusto diede ai miei compagni la forza di resistere a quella tremenda prova. Il processo, a porte chiuse, si svolse a Milano il 29 gennaio 1945. I nostri, dopo la terribile sentenza di morte mediante fucilazione guardarono i quattro compagni più giovani, che erano stati condannati a trent’anni, e subito fecero coro al canto intonato di “Bandiera rossa”.

I giornali fascisti definirono i nostri partigiani “bieche figure di terroristi”.

Nella cella del raggio della morte del carcere di San Vittore, questi uomini trascorsero gli ultimi giorni della loro vita.

Nel timore di un attacco partigiano per liberare i detenuti, i fascisti fecero pubblicare, sempre dal “Corriere d’Informazione”, che il 1° febbraio sarebbero stati fucilati i Partigiani di Vimercate, da loro chiamati “I banditi di Vimercate”. Infatti questa falsa notizia mise in allarme le brigate della provincia di Milano, che il 1° febbraio appostarono uomini nelle vicinanze delle strade che portavano al campo di Arcore, ma senza esito; infatti la fucilazione avvenne all’alba del 2 febbraio 1945.

Il luogo della fucilazione dei Partigiani Vimercatesi, avvenuta il 2 febbraio 1945. La montagnola artificiale realizzata per testare le mitragliatrici degli aerei che la Bestetti riparava.

Furono portati al campo di Arcore alle 7.30 del mattino. Lì, nella fossa dove venivano provate le mitraglie degli aerei, legati alle sedie ricevettero la benedizione da parte di don Luigi De Agostini, di Monza, e gli venne chiesta la loro ultima volontà. Risposero che volevano essere fucilati in piedi, al petto e senza benda sugli occhi perché non erano dei traditori, bensì dei Patrioti. Non furono esauditi.

In questa immagine che risale al 1943, sulla sinistra la piccola asperità artificiale dove avvenne la fucilazione. Per la cronaca l’aereo ripreso è un bimotore C. 3 che la Bestetti stava sviluppando in quegli anni.

Mentre cadevano sotto i colpi dei fascisti, i giovani partigiani gridavano “Viva la libertà” e “Ciao mamma”. L’ultimo a cadere fu Luigi, il quale, ferito leggermente, venne finito con un colpo alla nuca.

La testimonianza di questi ultimi tragici momenti ci venne fornita dagli operai della Bestetti, che furono fermati ai margini delle officine, e dal prete confessore.

La sera del 3 febbraio anche da Radio Londra giunse la notizia della fucilazione dei partigiani appartenenti alla 103° Brigata Garibaldi avvenuta al campo di aviazione di Arcore. Radio Londra fece anche i nomi delle due spie di Vimercate. Testualmente annunciò che il 29 gennaio 1945 si era riunito il Tribunale Militare straordinario di guerra di Milano per decidere della sorte dei partigiani della 103° Brigata Garibaldi. Il verdetto era stato di condanna a morte dei seguenti partigiani:

Pellegatta Renato nato il 25 ottobre 1923 condannato a morte

Ronchi Luigi nato il 10 gennaio 1921 condannato a morte

Colombo Pierino nato il 5 gennaio 1921 condannato a morte

Cereda Emilio nato il 14 agosto 1920 condannato a morte

Motta Aldo nato il 16 giugno 1921 condannato a morte

Quattro condannati a trent’anni, per minore età: Assi Enrico, Carzaniga Felice, Verderio Carlo, Nava Angelo.
Condanna a morte in contumacia per Carlo Levati.

La notizia della fucilazione si sparse in un baleno e le popolazioni di Vimercate, Oreno, Ruginello, Arcore e di altri paesi si recarono sul luogo dell’eccidio, sfidando i posti di blocco dei fascisti. Fu un pellegrinaggio di popolo, spontaneo e coraggioso, una dimostrazione ai fascisti che la gente non aveva paura di affrontarli. Era una sfida aperta che dava la misura del legame fra popolo e Resistenza ed era il preludio della insurrezione imminente.

Il luogo dove furono seppelliti in una fossa comune nel Cimitero di Arcore i “Partigiani Vimercatesi”

Per giorni fu un continuo pellegrinaggio al cimitero di Arcore, sorvegliato dai fascisti: la forza d’animo acquisita dalla popolazione fu tale che nessuna arma la poteva fermare. L’esempio dei Martiri Vimercatesi diede quasi una forza sovraumana alla gente, che non solo non sentiva più il freddo di quel gelido inverno, ma aveva la forza di sfidare anche il posto di blocco messo all’ingresso di Arcore. La gente per giorni e giorni continuò questo pellegrinaggio, dando grande conforto ai familiari delle vittime”.

13  maggio 1945: la traslazione delle salme.

Il 13 maggio 1945 venivano traslate le salme dei Martiri Vimercatesi dal cimitero di Arcore al cimitero di Vimercate e allineate presso il muro di cinta della proprietà del conte Borromeo ad Oreno.

Le bare dei “Partigiani Vimercatesi” allineate ad Oreno, in attesa della partenza del corteo funebre, il 11 maggio del 1945

Il corteo funebre, con le bare portate a spalla dai partigiani e scortato dal Comando generale della divisione Fiume Adda, veniva accompagnato da una moltitudine di persone. Lo precedeva il Prevosto ed i preti della Diocesi.

Nella Chiesa di Santo Stefano veniva officiata la S. Messa in loro onore. Monsignor Enrico Assi concluse la cerimonia al cimitero con un’orazione funebre.

Per saperne di più

Abbiamo attinto dal sito dell’A.N.P.I. Vimercate e proponiamo in questo spazio alcuni stralci di testimonianze relative ai fatti di Arcore, che abbiamo raccontato.