La roggia Scotti
In passato avevo trattato della “Roggia Scotti” in un articolo pubblicato sul sito dell’Associazione Colli Briantei. Ora lo ripropongo in questo spazio con l’aggiunta di alcune parti e illustrazioni.
Paolo Cazzaniga
Una roggia per quattro parchi: la Roggia Scotti
Alla fine del Seicento, il conte Giovanni Battista Scotti, nel dare inizio alla realizzazione, della sua “villa di delizia”, a Oreno, immortalata nei disegni di Marc’Antonio dal Re, e pubblicati negli anni Venti del Settecento sul volume: “Ville di delizia o siano palagi camparecci nello Stato di Milano” si trovò nella necessità di dotarsi dell’acqua necessaria per rendere oltremodo spettacolare il parco e i giardini della villa.
Nel 1692, il conte acquista i “diritti d’acqua” di: “ragione del signor Giovanni Parravicino (che aveva il suo palazzo a Rimoldo, comune di Casatenovo)… dopo l’uso del suo molino appellato d’Imparì… per fare un cavo… et condurla (l’acqua)… per adacquare detti beni d’Oreno”.
Realizza dunque un corso d’acqua artificiale lungo ben 13 chilometri. Oggi a distanza di 330 anni, la curiosità di scoprire cosa rimane di questa importante opera idraulica. Sarà uno scavallare fra i differenti parchi o ex parchi che interessano il nostro territorio. Dai Colli Briantei, al quello del Curone, per passare nel Parco Molgora e quindi dopo essere rientrati nei Colli Briantei, approdare a quello della Cavallera.
Nella complessa gestione delle acque, che caratterizzavano il bacino da cui prendeva avvio la “Roggia Scotti” il conte si accollò, oltre alla realizzazione del manufatto per portare l’acqua a Oreno, l’obbligo della manutenzione dei diversi fontanile e fontane che alimentavano i differenti corsi d’acqua interessati. La fontana di Ossola era quella situata più a nord, collocata nella prossimità del molino Cattaneo convogliava le sue acque nel torrente oggi chiamato Lavandaia, una volta indicato come Fiume, Cavo Fiume o ancora Fiume di Missaglia.
Il corso d’acqua riceveva poco più avanti la roggia Nava, già citata con questo nome nel 1356 in un atto d’assegnazione di beni alla chiesa di Missaglia: “…prato con salici detto ad Navam”.
Il nome Nava ritorna nell’identificare le tre fontane vicino a Bernaga, che sempre lo Scotti teneva pulite, scendendo c’era il “Fontanone”, oggi interrato e finalmente la “Fontana di mezzo”, recuperata e resa attiva ad opera del Parco del Curone qualche anno fa, raggiungibile dalla prima traversa a sinistra, 700 metri dopo il “Tricudai” andando verso Maresso.
Ancora la presenza di un cippo impiantato nell’epoca in cui la roggia era attiva, attesta la proprietà dei Gallarati-Scotti. Cippo che nella ricognizione fatta non è stato possibile rintracciare, forse coperto dalla fitta vegetazione, che ha avviluppato il fontanile, rendendolo di fatto quasi inaccessibile. La polla d’acqua s’incanala nel rigagnolo e 2-300 metri dopo entra nel torrente Lavandaia, che poco più a sud del “Tricudai” mescolandosi con le acque della
Molgoretta-Curone, diventa la Molgora di sopra (oggi indicata come Molgoretta) dirigendo a questo punto verso Imparì.
Al tempo del conte Scotti la roggia, scaturita dal fontanile descritto e aumentata da un secondo canale, uscito dalla Lavandaia, continuava autonoma la sua corsa andando a costeggiare la via che porta al “Tricudai”, a questo punto intersecava il Curone e quindi raggiungeva la Cappelletta di Lomagna, poco dopo svoltava a destra per mettere in funzione il “Mulino del Conte” (in questo caso Secco-Borella). Finito tale compito dirigeva verso la Molgora (oggi come detto, Molgoretta) dove una possente diga, la “Diga Scotti”, permetteva che le acque incanalate, attraversassero il fiume, andando a costituire un nuovo canale che parallelo alla Molgora, raggiungeva finalmente il molino d’Imparì. Esauriente su quanto esposto, la mappa storica proposta. Oggi possiamo ancora apprezzare l’edificio del “Mulino del Conte”, così come i resti della diga.
Questo luogo è noto alla gente del posto come la “cius” (appunto chiusa), ed era usata ancora negli anni Sessanta del Novecento dai ragazzi, come palestra di tuffi e nuoto. Ci piace ancora citare questa filastrocca, nota ai vecchi di Usmate, sulla qualità delle acque che stiamo raccontando, quando da ragazzi la bevevano senza problemi: “l’acqua corrente la beve il serpente, la beve Dio, la bevo anch’io”. Dopo Imparì il conte Scotti, oltre alla costruzione del canale, dovette acquistare i terreni su cui lo stesso scorreva.
Il percorso più diretto, verso Oreno, doveva passare per Usmate, tanto che abbiamo, in data 19 settembre 1693, un atto notarile per la vendita di strisce di terreno da parte della famiglia Bescapè, insediata dove oggi sorge Villa Borgia. All’interno del parco è ancora presente un manufatto che serviva a scavalcare la roggia e permettere ai Bescapè di andare nella loro vigna nota come “Baraggia”.
Il canale è ricordato ancora in paese, per la presenza della “curt de la rogia”, prossima al parco e lambita dal cavo. Sempre nei ricordi, prima che la roggia venisse “tombata”, un lavatoio vicino alla corte era utilizzato dalle donne del paese. La “tombinatura” che risale agli anni Sessanta, ha interessato la totalità del percorso in Usmate, nel dettaglio: la via che proviene da Imparì, poi via Leonardo da Vinci che conduce al parco di Villa Borgia, per seguire con via Milano, sino a giungere al Bettolino.
Il percorso piegava a questo punto nei terreni dove oggi sorgono i campi da golf, la roggia è qui riconoscibile per la disposizione degli alberi e di alcuni laghetti, che ne ricalcano il percorso. In questa zona il conte Scotti aveva acquistato terreni da Prospero Crivelli, nella prossimità del “Cazzullo”, oggi club house del golf. Sono ancora i filari di piante a restituire il percorso della roggia oltre il golf nell’avvicinare e superare la Sp 177, la “bananina di Usmate”, per poi interessare, sempre con la loro presenza, anche se non continua, l’area ex IBM, e giungere finalmente nella prossimità del parco della Villa Gallarati-Scotti, dove un tratto del cavo è ancora conservato e presenta il pregevole “ponte del Tronino”, sopraelevato sul piano della campagna che permetteva all’acqua di entrare nel parco attraverso una breccia, oggi murata.
Il bacino della roggia e i diritti contesi
Nel corso degli anni in cui la roggia fu attiva, sorsero diverse contese sull’utilizzo delle acque, del complesso bacino che caratterizzava l’intero corso del cavo. Nel 1645 Giovanni Lelio Parravicini, proprietario del mulino d’Imparì, voleva vietare alla famiglia Ordeo di utilizzare l’acqua per irrigare i prati che questi possedevano dopo il mulino, nella zona oggi collocata alla destra della via per Imparì inferiore, venendo dal paese. Dopo reciproci atti di violenza e aver tirato in ballo il giudizio dell’Eccellentissimo Senato, si giunse a stabile che gli Ordeo potevano usufruire gratuitamente dell’acqua due giorni a settimana. A metà Settecento, un poco più a nord di Imparì presso il Mulino del Conte, nel territorio di Lomagna, una nuova disputa sull’uso delle acque per irrigare terreni dei Visconti, succeduti ai Secco Borella. Qui erano i Gallarati-Scotti ad avversare i Visconti. Dai documenti non emerge, tuttavia, come la “querelle” andò a finire.
Arriviamo al 1764 quando Giuseppe Campagnani, dalla cui discendenza si arriva ai Tarantola e poi ai Borgia di Usmate, decide di usare l’acqua, dopo l’utilizzo nel suo “Mulino della Stretta”, siamo ancora un po’ più a nord tra Lomagna e Montevecchia, per irrigare suoi terreni nella zona. L’alzata di scudi, contro questa iniziativa, vede fare la voce grossa a pezzi da novanta dell’aristocrazia dell’epoca: Parravicini, Scotti e Visconti, inducono il Campagnani a ritornare subitamente sui loro passi. Infine, ancora interessata la zona dopo il “Mulino del Conte”, sono, questa volta, gli Ala-Ponzone, nel 1895, ad irrigare loro terreni e i Gallarati-Scotti non sono d’accordo. Solo nel 1903 si arrivò ad una sentenza giudiziaria che contentò solo in parte il duca Tommaso Gallarati-Scotti.
Terminate le dispute, tra i diversi proprietari che si contendevano l’uso delle acque della roggia, negli anni della Prima Guerra Mondiale, assistiamo all’intervento dello “Stato” nella tutela delle “acque” quale “bene pubblico”. I torrenti Molgora, Molgoretta e Curone, saranno catalogati come tali dalla provincia di Como. Provvedimento che di fatto estrometteva i Gallarati-Scotti da una proprietà che ritenevano loro esclusiva. Il ricorso, avverso a tale provvedimento, presentato nel 1919, ebbe una risposta solo nel 1922. Lo “Stato” confermava come la “proprietà demaniale delle acque è da ritenersi presunta, e non da dimostrare”, precludendo ogni rivendicazione dei Gallarati-Scotti.
Oltre al mutato sistema della gestione delle acque pubbliche, all’inizio degli anni Trenta del Novecento, il laghetto nel parco della villa Gallarati, costruito nell’Ottocento, fu prosciugato a causa di una pericolosa falla, evento che di fatto mise fine alla funzione originaria del corso d’acqua.
Da quel momento il fabbisogno interno del parco fu mutuato da un pozzo scavato in loco. I tratti a nord della roggia rimasero ancora in uso a privati e ai comuni attraversati, con “precarie convenzioni” tra gli stessi e i Gallarati, che tra l’altro dovevano garantire comunque la manutenzione del cavo.
Nel 1951 si concretizzò un accordo tra il comune di Usmate-Velate e la nobile casata. Di fatto la proprietà del terreno sovrastante la roggia coperta passò al Comune, con il patto che fosse l’amministrazione comunale ad occuparsi della manutenzione anche della roggia sottostante. Nell’occasione si stabili che ulteriori tratti, all’interno dell’abitato di Usmate, venissero coperti ed assoggettati, di conseguenza, a quanto stabilito per i tratti già sotterranei. Qualche anno prima, nel 1948, anche l’antichissimo mulino d’Imparì risulta abbattuto. La lunga agonia della roggia si consumò ancora fino alla metà degli anni Sessanta del Novecento.
L’ultimo utilizzo a cessare fu presso il lavatoio pubblico in località Lavandaio, nel comune di Lomagna, nel 1964, “causa prosciugamento roggia Scotti per interrotto deflusso dell’acqua a monte…”.
Aspetti, località e storia della Brianza. "Ci sono paesaggi, siano essi città, luoghi deserti, paesaggi montani, o tratti costieri, che reclamano a gran voce una storia. Essi evocano le loro storie, si se le creano". Ecco che, come diceva Sebastiano Vassalli: "E’ una traccia che gli uomini, non tutti, si lasciano dietro, come le lumache si lasciano la bava, e che è il loro segno più tenace e incancellabile. Una traccia di parole, cioè di niente".