Le Madri di San Lazzaro di Milano ad Arcore
di Paolo Cazzaniga
Dalle origini al 1610
Quando Maria Teresa d’Austria organizzò il censimento, passato alla storia come “Catasto Teresiano” (1721), ad Arcore risultavano proprietari di case e terreni, tra gli altri, ben 10 fra enti religiosi e caritatevoli, incluse le parrocchie di Arcore e Oreno.
A quel tempo, il territorio arcorese non comprendeva Bernate, che risultava ancora come entità autonoma. Nell’occasione del censimento Arcore era accreditata di una superficie di 10455 pertiche, a cui si aggiungevano le 717 della Cassina del Bruno, che pur essendo aggregata ad Arcore, manteneva nella registrazione separata, quell’autonomia di cui aveva goduto in passato. Gli enti religiosi e caritatevoli, a cui abbiamo fatto cenno, risultavano proprietari di 2140 pertiche, vale a dire, circa il 20% del territorio di Arcore.
ENTE
PERTICHE
M.M. DI SAN LAZZARO MILANO |
R.M. SANT'APOLLINARE MILANO |
MONACHE SAN PAOLO MONZA |
MONACHE SAN GIUSEPPE MILANO |
CAPITOLO B.V. DELLA SCALA MILANO |
HOSPITALE MAGGIORE MILANO |
SCUOLA S. ROSARIO ARCORE |
PADRI GESUITI DI BRERA |
CURA DI ARCORE (PARROCCHIA) |
CURA DI ORENO |
564 |
448 |
292 |
271 |
221 |
174 |
61 |
51 |
44 |
14 |
Monastero di San Lazzaro e San Domenico: la storia
Sarà appunto il Monastero delle Madri di San Lazzaro, con le loro oltre 500 pertiche di terreno e immobili posseduti in Arcore, l’argomento che affronteremo in questo post.
Il monastero trova le sue origine nell’anno 1497, quando fu fondato a Milano un convento di domenicane del terz’Ordine, con il titolo di Santa Caterina da Siena, nel 1505 le monache passarono al second’Ordine. Arriviamo al 1509, quando si iniziò la costruzione del convento di San Lazzaro, nei pressi di Porta Romana. Nel 1576, a seguito della soppressione del convento di San Domenico in Via Levata, delle 28 monache presenti, 11 vennero trasferite nel convento di San Lazzaro, che mutò così il titolo in San Domenico e San Lazzaro.
L’ente fu soppresso nel 1798, a seguito della ventata rivoluzionaria portata dai francesi in Italia
Il convento era situato in Corso di Porta Romana. Oggi all’interno del civico 61 possiamo apprezzare parte del chiostro restaurato nel 2018.
Parte del chiostro di quello che era stato il Convento di San Lazzaro e San Domenico, trasformato in abitazioni civili, prima dei restauri.
I beni del monastero ad Arcore
A differenza di altri ordini religiosi, presenti ad Arcore, come le Clarisse che ebbero un loro monastero in Sant’Apollinare soppresso nel 1438, o le Benedettine in San Martino, anche questo convento sarà poi soppresso nel 1455, le Domenicane di San Lazzaro avevano in Arcore terre e immobili che venivano regolarmente affittate e in tal modo i proventi ottenuti concorrevano al reddito del monastero.
Una precisa registrazione, che risale alla seconda metà del Settecento, ci restituisce l’elenco del patrimonio immobiliare delle monache in Arcore. Erano 68 pertiche di boschi, 76 pertiche di aratorio, 351 pertiche di aratorio con moroni, 21 di aratorio vitato con moroni, 22 pertiche di prato e 11 pertiche di ronco. Risultavano poi tre complessi abitativi, due nella zona centrale di Arcore, tra cui la Cascina San Gregorio, nome che assumerà solo in seguito. Si aggiungevano poi gli edifici, dove tra l’altro insistevano la maggior parte dei terreni, che componeva il possedimento della Malpensata. Questa cascina, nell’Ottocento, assumerà il nome di Cascina Maria, in quel processo di “addolcimento” di quei toponimi, che nella loro cruda essenza, spiegavano senza tanti giri di parole le loro peculiarità. In questo caso, parliamo di un luogo, che forse per la sua collocazione, aveva nel tempo convinto i più del cattivo progetto che aveva ispirato la posizione.
Lo stesso monastero nel 1778 richiede alle autorità competenti del Catasto, di apportare una modifica d’intestazione di 110 pertiche di terreno, indicate nell’elenco proposto, che il monastero tiene a livello (in affitto), e che erano appartenute ad un altro convento di Milano, quello di Sant’Erasmo, poi soppresso e i cui beni erano finiti alle Madri del Monastero di Santa Caterina in Brera. Si tratta dei mappali 72, 320 e 24. Nella richiesta stilata dal procuratore del monastero, Gaetano Garbagnati, le 110 pertiche risultano denominati “alla Cassina del Brivio”, una località sconosciuta nel territorio di Arcore. Più avanti nella richiesta, l’estensore, a proposito della fantomatica località, precisa: “Con avvertenza che altre volte si denominava Cassina del Brivio, ed ora si dicono del Bruno forse per corruzione di lingua”. Una curiosità che abbiamo voluto sottolineare, anche se la Cassina del Bruno, esisteva da sempre e i terreni indicati nella petizione non erano poi così prossimi al Bruno. Il Garbagnati precisa inoltre che del mappale 24, che ha un’estensione di 45 pertiche, le monache di San Lazzaro ne hanno in affitto soltanto 33.
La collocazione sulle mappe
Vediamo ora, rifacendoci al Catasto Teresiano, la collocazione dei terreni e degli edifici posseduti dal Monastero di San Lazzaro. Per una più completa comprensione cerchiamo di visualizzare poi le proprietà su una mappa odierna.
La costituzione dei beni in Arcore
Quando e come i terreni e gli edifici entrarono in possesso del monastero, non è di facile individuazione. Andando al censimento di Carlo V, metà del Cinquecento, così come ai successivi aggiornamenti, non abbiamo nessuna indicazione, tra i proprietari di beni ad Arcore, che si riferiscono al Monastero di San Lazzaro. Dobbiamo appunto arrivano al 1721 quando finalmente il monastero figura proprietario delle oltre 500 pertiche di terreni ed edifici. Possiamo spiegare questo stato di cose ricordando come in epoca spagnola gli enti religiosi fossero esentati dal versare le tasse sui beni che detenevano e dunque non venivano registrati nei censimenti che sarebbero serviti per determinare il carico fiscale. Possiamo al proposito mostrare nell’immagine un editto del settembre 1681, trovato tra le carte conservate del monastero, in cui si indicano le modalità affinché le esenzioni possano essere confermate.
In ogni caso, attraverso la ricevuta fatta dal Monastero di Sant’Erasmo, che diceva di aver riscosso il dovuto dalla Madre Priora di San Lazzaro, per l’affitto dei terreni in Arcore, attestiamo la presenza dell’ente nel territorio arcorese già nel 1591. Possiamo ipotizzare che in tale data San Lazzaro avesse il controllo di tutte le 500 pertiche in Arcore e non solo di quelle 110 che appartenevano al Sant’Erasmo.
Le pretese del Monastero di Sant'Erasmo sui terreni in Arcore
Il canone anno per i terreni in affitto, di proprietà del Sant’Erasmo, ammontava a 20 lire imperiali. Dalla lettura dei documenti a disposizione cerchiamo di ricostruire questa pretesa.
Per sommi capi facendo riferimento ad un atto notarile del 1591 si apprende che Raimondo del Corno versa, a nome dei fratelli Giacomo e Cristoforo Noccioli, conduttori dei terreni in Arcore di ragione della R.(everenda) suora Paola Vittoria Casati, monaca professa del Monastero di San Lazzaro, la cifra di 20 lire imperiali al Sant’Erasmo.
Ci chiediamo perché mai, chi coltiva terreni di proprietà di una monaca di San Lazzaro, debba versare un affitto ad un altro convento.
Le diverse ricevute d’affitto prodotte, che vanno dal 1591 sino alla soppressione del monastero di San Lazzaro nel 1796, nella causale del pagamento riportano la dicitura: “per livello”, indicando in tal modo che si tratta di terreni in affitto. Solo in un caso, nel 1636 Bianca Margherita Catena abadessa del Sant’Erasmo scrive: “…che sono per compito pagamento del legato…”.
Sembra stare qui la chiave di lettura che cercavamo. Abbiamo estratto tre frammenti di documenti riferiti ad epoche e contesti diversi, per una maggiore comprensione della vicenda.
In questo primo stralcio troviamo i nomi di Pietro Francesco Casati, già deceduto in quel 1591, quando è chiamata, in sue veci la figlia, appunto Paola Vittoria Casati, ad onorare l’impegno, che probabilmente il padre, o forse un suo antenato, si era assunto attraverso un “legato” verso il Monastero di Sant’Erasmo decidendo di versare a quest’ultimo, in via caritatevole, o per qualche altro impegno devozionale, la cifra delle 20 lire imperiali annue. Come era poi prescritto dalle leggi vigenti, si doveva mettere a garanzia del legato un bene immobile, come erano appunto i terreni. Il legato rimaneva poi in carico a chi prendeva possesso di tali beni. Dunque suor Paola Vittoria, orfana quando entra in convento, potrebbe aver avuto in dote tali terreni, che finiranno poi nella disponibilità del monastero, ma su cui il Sant’Erasmo vantava quei diritti che abbiamo detto. Come vedremo sarà in seguito direttamente lo stesso monastero di San Lazzaro ad affittare questi terreni, riscuotendone i proventi ed addossandosi il carico del “legato” di 20 lire imperiali da versare all’altro convento. I due successivi stralci che proponiamo, si riferisco ai beni che Pietro Francesco Casati possedeva in Arcore nel 1558, quando vengono censiti dal Catasto di Carlo V, nel secondo frammento, che risale allo “Stato d’anime” di Arcore del 1574, troviamo la registrazione della famiglia di Paola Casati, allora sedicenne, che viveva con i due fratelli e la madre Elisabetta “vidua” (vedova) di Pietro Francesco.
Sembrerebbe tutto chiaro, se non fosse per quella richiesta, inoltrata alla commissione censuaria nel 1778, che chiedeva di mutare l’intestazione di alcuni terreni che San Lazzaro teneva in affitto, ma che erano d’attribuire al monastero di Sant’Erasmo, alla cui soppressione, avventa appunto in quel 1778, era subentrato il monastero di Santa Caterina in Brera. I terreni erano ancora quelli appartenuti a suor Paola Vittoria Casati. Come spiegare questa nuova situazione? Formuliamo un’ipotesi. A differenza dell’epoca spagnola, in cui abbiamo visto gli enti religiosi erano, per la più parte, esentati dalla tassazione, differente trattamento risultava applicato con l’avvento austriaco. In tal modo, forse approfittando della carente documentazione a disposizione, se non quella che attestava anno per anno gli affitti pagati, il monastero di San Lazzaro cerca di accollare, soprattutto fiscalmente, quelle oltre 100 pertiche, alle monache di Santa Caterina. Dalle indicazioni della documentazione visionata, abbiamo conferma che il ricorso venne puntualmente accettato.
I terreni affittati a Gerolamo Cazzola
Come abbiamo avuto modo di esporre all’inizio, il Monastero di San Lazzaro affittava la possessione di Arcore, i cui ricavi servivano al sostentamento delle monache del convento. Abbiamo un preciso elenco delle suore di San Lazzaro, quando come era consuetudine, riunite in “capitolo”, riaffidano in affitto nel 1610 le proprietà di Arcore a Gerolamo Cazzola, in vista della scadenza del precedente contratto che risaliva al 1602.
Con questo personaggio si apre una pagina interessante nella storia arcorese. La pregevole villa, ancora oggi conosciuta come “La Cazzola”, lascia supporre come la paternità di questo edificio sia da ricondurre alla citata dinastia. La disamina del catasto di Carlo V e quello successivo di Carlo VI, più noto come “Teresiano”, ingarbuglia un poco le cose. Sembrerebbe che Giovanni Battista Durini, che darà poi lustro alla prestigiosa dimora, acquista la proprietà nel 1669, si pensa dai Cazzola, anche se la documentazione finora consultata apre qualche dubbio.
Nel volume “Il cardinale Angelo Maria Durini e la sua famiglia” edito nel 2010 da Silvana editoriale, la ricercatrice Cristina Geddo ci fa sapere che: “I pur laconici documenti dell’Archivio Durini garantiscono che Gian Battista acquistò “la possessione della Cazola” solo nel luglio 1669 e che vi edificò l’attuale nobile villa di campagna barocca. Questi dati smentiscono tanto la datazione al 1630, quanto l’attribuzione tradizionale a Francesco Maria Richino, defunto da oltre un decennio”. Queste informazioni dunque sconfessano quanto riportato sull’inscrizione proposta sotto, voluta dal Vittadini, proprietario della “Cazzola” dopo i Durini. La Geddo continua poi: “Il podere della Cazzola gli costò (a Gian Battista Durini) 26.363 lire; la “fabrica della casa” 24.637 lire; i “mobili della Cazola” 6000 lire. Il documento non accenna al presunto casino di caccia cinquecentesco su cui il mecenate avrebbe fondato la sua ‘casa da nobile’”.”
Ritorniamo tuttavia alle nostre monache e a Gerolamo Cazzola, che dall’atto risulta residente a Milano, in Porta Nuova, parrocchia di Sant’Eusebio. Gli immobili affittati dalle 83 monache che nel 1610 vivevano nel monastero di San Lazzaro, tra cui compare anche Paola Vittoria Casati, sono quelle oltre 500 pertiche che compongono a grandi linee l’elenco di metà Settecento. Si deve escludere il solo complesso abitativo, della Cascina Maria, ex Malpensata, che sarà edificata in seguito, ipotizziamo dopo la metà del Seicento.
Vediamo ora di descrivere i beni affittati e cercare di individuare la loro dislocazione. Si inizia con un “sedime” provvisto di pozzo e edifici con “cameris interra e de supra, stalla cum cassina, curte, area viridario (giardino)…” A questi edifici e loro pertinenze si aggiunge un pezzo di terra, diviso in prati senz’acqua e in campi, indicato come “Campo della fornace” per un totale di circa 50 pertiche. Grazie ad altri atti d’affitto, stipulati dalle stesse monache, che risalgono al Settecento, è stato possibile identificare con una certa precisione la collocazione di questa luogo. Nella rappresentazione della mappa odierna proposta collochiamo l’estensione di terra e gli edifici nell’odierna via San Gregorio. Come si può vedere si tratta in parte dell’area oggi occupata dall’oratorio maschile di Arcore e della zona retrostante che sale sulla via Abate d’Adda. L’edificio oggi scomparso era collocabile all’incirca all’altezza del civico numero 19 della via San Gregorio, conosciuto in seguito come “Cascina San Gregorio”. Non abbiamo tuttavia notizia della fornace che esisteva senz’altro negli anni d’inizio Seicento nella prossimità di quel campo così denominato.
La seconda proprietà presa in affitto da Gerolamo Cazzola è la striscia, sempre indicata in giallo, nella mappa proposta e che corrisponde all’odierno fronte del parco della villa Ravizza, che sale verso la collina retrostante. Anche questo terreno ospita un edificio, di dimensioni ridotte, indicato unitamente al terreno limitrofo come “al roncho”, per un’estensione di circa 14 pertiche in totale. Tra le clausole imposte dal monastero la precisa richiesta in cui il locatore (Cazzola) dovrà nel corso del primo anno di locazione piantare nel ronco tutte le viti che mancano. Il monastero provvederà a pagare, di sua tasca, solo le viti novelle che eccederanno alle 50 unità. Ci spostiamo ora nella terza proprietà si tratta di oltre 400 pertiche di campi e vigne. Riportiamo a seguire le righe del testo che indicano la località. Interpretiamo: “alle Bot(?)ggie”, con qualche dubbio.
Ci troviamo nei terreni che si collocano sul lato sinistro della via Cesare Battisti che da Arcore dirige verso Oreno. La coltivazione della vite confermava quella vocazione a cui erano storicamente votati questi terreni, così come quelli nelle prossime località di Oreno, Cascina del Bruno e Concorezzo. In quel 1610 era naturalmente tutta campagna, nessuna abitazione era presente. Solo anni dopo anche se le monache, come vedremo nel seguito di questo racconto, peroravano da tempo la necessità di dotare di una cascina questa importante estensione di vigne, sorgerà quella che è arrivata ai nostri giorni come la “Cascina Maria”, ex Malpensata.
L’atto di assegnazione continua indicando 20 pertiche di campi detti “al sasso”, si tratta di quel rettangolo collocato a destra delle “Bott(?)gie”.
Ci spostiamo ora verso la Cascina del Bruno dove sono indicati due appezzamenti, uno contiguo all’altro per un totale di circa 50 pertiche. (Vedi la mappa)
Terminiamo con il “bosco del luppo” e con un altro pezzo boschivo indicato come “bosco delle foppe”. Ci troviamo nella parte nord-ovest di Arcore. (Vedi mappa). Due località di cui abbiamo ampiamente parlato in altre occasioni e a cui rimandiamo per chi volesse maggiori approfondimenti.
VALLE DEL LUPO, RIO DEI MORTI, STRADA DELLE SPAZZATE
L’estensione di questi boschi conta circa 80 pertiche che completano le 550 pertiche prese da Gerolamo Cazzola per un’affitto di 23 soldi imperiali alla pertica. Il versamento della somma doveva essere fatto in due rate annuali, una a San Martino e la seconda a Pasqua. Tuttavia il monastero si volle tutelare verso questo impegno che sarebbe durato nove anni e nell’atto stilato entra in gioco una figura ben nota nel panorama dell’epoca sia per Arcore che per il ducato di Milano, è Teodoro d’Adda, che si fa garante con una fideiussione, verso il monastero di San Lazzaro, dei futuri eventuali mancati adempimenti del Cazzola.
Ancora sui Cazzola e la villa
Prima di concludere questa prima parte che ha raccontato dei beni del monastero di San Lazzaro ad Arcore, sino al 1610, nell’attesa di dipanare l’interessante vicenda che portò all’edificazione della “Cascina Maria”, a cui rimandiamo il racconto al prossimo post, abbiamo ancora il tempo per un breve approfondimento sulla famiglia Cazzola, che pur dando il nome alla prestigiosa villa arcorese, non sappiamo se attribuirne agli stessi le origini, come abbiamo del resto avuto modo di ipotizzare in precedenza.
Andiamo a quanto riportato da Tonino Sala nel post Arcore Catasto di Carlo V“. Gerolamo Cazzola subentra nella proprietà di 54 pertiche di terreni, in Arcore, che erano state di Ambrogio Gianolino, in un anno non specificato, comunque dopo il 1558, aggiunge che dall’Archivio Parrocchiale la presenza registrata ad Arcore dei Cazzola risale al 1586, con “Ceser” quale testimone di nozze. Nello “Stato d’anime” del 1588 la famiglia risulta annotata come abitante una casa di proprietà di Biancha Beccaria vedova di Costanzo d’Adda:
Ne una altra casa del s.ra biancha sudeta 36
Il sig.re Hieronimo Caciola? d’anni 43
La S.ra Jsabeta sua moglia d’anni 33
la S.ra Jpolita sua fig.la d’anni 7
la S.ra Laura d’anni 5
Angelia fig.la del sudeto S.re Hieronimo anni ha? 15
Marta donzella dela S.ra Isabeta d’anni 43
InS? Sig.re Cesere fr.llo del s.re Hieronimo anni 40
Nel catasto stilato a inizio Seicento, abbiamo una precisa stima delle proprietà di Gerolamo Cazzola, tra cui figura anche un sito abitativo per un’estensione di 4 pertiche. In totale si tratta di 129 pertiche che erano state acquisite da diverse fonti. Nell’immagine proposta la pagina del censimento
Il sito e altre 46 pertiche di vigne e 25 di bosco erano state di Giacomo Simonetta, poi 140 pertiche erano appartenute a Gio Batta Calcho, ancora 60 venivano da Pietro Imbersago, per finire con proprietà di enti religiosi, circa 80 pertiche dalla Chiesa Parrocchiale di Casatenovo e per finire 8 dalla Chiesa di San Giovanni di Monza. Non siamo in grado di identificare la collocazione di questi terreni, quindi possiamo solo ipotizzare che le 4 pertiche del “sito e orto” fossero ubicati dove sorge oggi la villa Cazzola.
Abbiamo poi un successivo aggiornamento del catasto stilato verso la metà del Seicento a cui sono stati apportate ulteriori revisioni sino al Settecento inoltrato, di non semplice interpretazione per le ripetute cancellature e note che documentano i passaggi di proprietà intervenuti. Possiamo iniziare dicendo che a Gerolamo Cazzola succedono il figlio Carlo Ambrogio e fratelli, la data indicata nell’aggiornamento catastale è il 1652. Possiamo ipotizzare tuttavia che Gerolamo fosse defunto da diverso tempo se nel 1588 lo stesso aveva 43 anni. Nello stato d’anime dello stesso anno non troviamo traccia di Carlo Ambrogio Cazzola, anche se nulla toglie potesse essere nato dopo, vista l’età dei genitori in quell’anno. Da questo catasto poniamo attenzione alla sorte delle 4 pertiche del sito e orto, che risultano passare ai d’Adda, l’anno sembrerebbe essere il 1627.
Ancora in altra pagina dell’ultimo catasto consultato di Carlo V, registriamo che gli eredi Cazzola, avevano acquistato, nel 1653 beni che erano in origine di Fabrizio Simonetta, poi erano passati per dote a Francesca Simonetta, che si era sposata con Gerolamo Ferrario e le eredi di quest’ultimo, Camilla e sorelle avevano appunto venduto ai Cazzola. Tra queste proprietà figurano 8 pertiche di “sito di casa e giardino”. Potrebbero riferirsi al luogo della Cazzola? Un preciso memoriale conservato nell’Archivio Parrocchiale di Arcore e svelato a suo tempo da Tonino Sala nel volume “Arcore Un popolo la sua Chiesa il suo Territorio”, ci dirige diversamente. Buona parte di questa acquisizione, comprese le 8 pertiche di sito di casa e giardino, che finiranno nel 1697 dai Cazzola ai Giulini sono da ricondurre presumibilmente ai beni della villa San Martino.
Dobbiamo infine osservare come il prezioso “Catasto di Carlo V”, pur nella sua non semplice interpretazione, non indica i Durini, che come abbiamo visto acquistano la “Cazzola” nel 1669, tra i titolari di proprietà in Arcore. Il fatto che gli stessi Durini avessero acquistato nel 1648 il feudo di Monza, a cui tra l’altro Arcore non apparteneva, non ci sembra possa avere influenzato questa mancata registrazione. Dobbiamo quindi attendere il “Catasto Teresiano” (1721) per trovarne finalmente traccia.
Aspetti, località e storia della Brianza. "Ci sono paesaggi, siano essi città, luoghi deserti, paesaggi montani, o tratti costieri, che reclamano a gran voce una storia. Essi evocano le loro storie, si se le creano". Ecco che, come diceva Sebastiano Vassalli: "E’ una traccia che gli uomini, non tutti, si lasciano dietro, come le lumache si lasciano la bava, e che è il loro segno più tenace e incancellabile. Una traccia di parole, cioè di niente".