Arcore: La storia a volte ritorna; il Circulen e Aldo De Ponti
A commento del post dedicato al “Circolino” di Arcore , un lettore ha espresso alcune considerazioni e ricordi personali legati al luogo di cui abbiamo trattato. Nell’esposizione, lo stesso aveva poi rievocato un episodio dei suoi diciott’anni, che ci ha incuriosito e la necessità di chiarire l’episodio citato ci ha spinto a chiedere lumi all’amico Tonino Sala, che prontamente ci ha svelato il fatto e riproposto un suo scritto di qualche anno fa, che raccontava il tragico episodio, che aveva avuto protagonista, suo malgrado, l’Aldo citato nel commento.
Abbiamo avuto la fortuna di recuperare una fotografia datata 1984, scattata da Carlo Bestetti che ritrae lo scorcio della via e la scritta che cita Aldo De Ponti. Sotto alla scritta una bacheca in cui un attivista è intento ad esporre il quotidiano del partito, per una lettura pubblica del giornale. Altri tempi! Senza entrare nell’agone politico, che anche ad Arcore vedeva i due schieramenti di Guareschiana memoria dividere il paese, rammentiamo la capillare diffusione attuata del partito di Peppone, che oltre alla sede, appunto il “Circulen”, annoverava diverse “cellule” (impropriamente per intenderci “filiali”) nelle zone strategiche di Arcore. Una di queste era appunto la Corte Mandelli e quindi la scritta e la bacheca del giornale ne segnavano l’esistenza.
E’ tempo di raccontare dell’Aldo, ricordato nella scritta sul muro. Tonino Sala, come dicevamo in un suo lavoro “Tempi di guerra. Partigiani. Resistenza. Liberazione”, su cui torneremo nei prossimi mesi, nei suoi ricordi di ragazzo, che si dipanano tra il 1940 e il 1945, dedica un “pezzo” a Aldo De Ponti.
L’episodio di Aldo De Ponti
Il fatto avvenne di domenica, a pomeriggio inoltrato, nella saletta interna dell’osteria “Speranza”. Il locale, gestito da una sorella di mio padre, era frequentato da una clientela abituale composta da giovani e meno giovani, punto di incontro per la partita a carte o per programmi diversi impostati al momento. Mio padre era presente nel consueto incontro settimanale durante il quale si aggiornavano le vicende familiari tra una scopetta liscia e l’altra giocata col fratello ed altri amici. In osteria entrarono due giovanissimi brigatisti della “Resega”; mentre uno teneva il fucile spianato l’altro faceva il controllo dei documenti chiedendo ai giovani i motivi documentati della mancata adesione alla leva militare. Aldo era esonerato dal servizio militare ma il documento comprovante l’esenzione era stato dimenticato a casa; spaventato pensò di dribblare il controllo uscendo dalla porta laterale e filarsela per il cortiletto interno e da qui sulla provinciale: si rivolse a mia zia e come fosse sua madre gli chiese la chiave della camera dicendo di dover prendere il documento di esonero … «mam, dam la ciaf…» ma il reseghino lo teneva sotto controllo. Preso dal panico passò nella saletta interna e si infilò per la porta che dava sulla provinciale.
Questa uscita era governata da una antiporta a vetri interna e da una porta in legno esterna che al momento era chiusa: Aldo restò preso nello spazio tra le due porte. Il milite lo aveva seguito, imbracciò il fucile e, nonostante le preghiere di non sparare, fece fuoco. La tragedia era consumata. Si chiamò il medico, Guido Chiazza, appena rientrato dalla Croazia che cercò di tamponare la ferita; Aldo urlava, sentiva la vita che se ne andava; fu caricato sulla motocarrozzetta di Ugo macelar e portato a Vimercate ma tutto fu inutile. Quando mio padre portò la notizia, andai anch’io a vedere: il vetro rotto, il buco nella porta, le macchie d’acqua del sangue lavato, e un giovane che macchinalmente continuava a ripetere il racconto dell’antefatto ai carabinieri e alle persone presenti.
Aspetti, località e storia della Brianza. "Ci sono paesaggi, siano essi città, luoghi deserti, paesaggi montani, o tratti costieri, che reclamano a gran voce una storia. Essi evocano le loro storie, si se le creano". Ecco che, come diceva Sebastiano Vassalli: "E’ una traccia che gli uomini, non tutti, si lasciano dietro, come le lumache si lasciano la bava, e che è il loro segno più tenace e incancellabile. Una traccia di parole, cioè di niente".
Vi ringrazio per aver finalmente esaudito la mia curiosità su quella scritta murale poi scomparsa! Finora l’avevo sempre collegata a un eroico sacrificio in un’azione di guerra. Scoprire invece che la realtà era ancora più cruenta, mi lascia con l’amaro in bocca e con la convinzione che oggi più che mai, bisogna rievocare questi tristi episodi agli occhi della nostra gioventù, affinchè non si ripetano quelle vigliacche vicende! Ho frequentato il bar Speranza per diversi anni ( ’66-77), quando a gestirlo c’era la signorina Tina, suo fratello Gigi e l’anziana madre della quale mi sfugge il nome! Senz’altro se avessi trovato un nesso tra il bar e la scritta, ne avrei parlato con loro senza arrivare alla soglia dei settanta per arrivare a questa incresciosa scoperta! Di nuova grazie per il vostro interessamento e complimenti per il vostro sito! Con affetto, Ambrogio
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