Arcore: Gli umiliati, i D’Adda, e le cascine Stallone e Sentierone
Ordini religiosi, casate di alto lignaggio, luoghi più o meno noti. Non certo un “pot-pourri” senza senso, piuttosto attraverso questa sequenza lo svolgersi di quella che Tonino Sala chiama la storia senza la “S” maiuscola, e qui devo fare un distinguo, per affermare che dal vissuto quotidiano nasce la storia vera e non, qui semplifico un po’ il concetto, quella ufficiale fatta per etichettare i “buoni” e i “cattivi”, in cui noi siamo sempre i “buoni”, e gli altri i “cattivi”. Ancora una volta ci troviamo a commentare quei segni di un passato, che costellano il nostro territorio e di cui, non sempre siamo in grado di coglierne il senso. La necessità dunque, ed attraverso queste note si esemplifica al meglio il concetto, di mettere in fila questi elementi che uniti da un sottile filo si rafforzano via via di significato sino a non poterli più concepire come entità separate, ma quale naturale conclusione di una narrazione storico-geografica, che ora ha un senso compiuto. Ho apprezzato, come sempre, l’attenta ricerca di Tonino Sala, e così per completare il discorso ho voluto proporre qualche altro spunto, che la lettura ha stimolato. E’ il caso della documentazione che tempo fa aveva messo a disposizione Fulvio Ferrario, relativa alle migliorie apportate al “tenimento D’Adda marchese Emanuele”, in cui l’amministratore del tempo, il capomastro Luigi Arienti relaziona sui lavori compiuti, tra cui la costruzione della cascina “Sentierone”. La relazione è corredata tra l’altro da una fotografia del complesso risalente ai primissimi anni del novecento. Altro impulso è giunto appunto dal nome della cascina, la curiosità di conoscerne il significato, è stata in parte accontentata dalle ricerche sul territorio arcorese che da qualche tempo le scuole medie di Arcore stanno conducendo. Nel pannello esposto in prossimità del luogo, realizzato appunto dagli studenti, si evince la motivazione, che rimanda ad un antico cammino che congiungeva Arcore a Sant’Alessandro, in quel dell’odierna Villasanta. Antico quanto? A voi il piacere di scoprirlo.
Quattro chiacchiere sulle immagini sacre site sotto il porticato della Cascina Sentierone
(autore: Tonino Sala)
È curioso che alcuni tasselli della nostra storia non scritta vengano a inserirsi man mano a ridurre gli spazi vuoti del gran mosaico del vivere antico per pure casualità derivate da racconti, oggetti, memorie che, stimolando la fantasia su ipotesi compatibili con quanto è già certo e conosciuto, svelano o confermano legami tra luoghi e avvenimenti del tempo che fu.
È chiaro che non si tratta di Storia, quella con la “S” maiuscola, quella che generazioni di studiosi, a volte contraddicendosi o litigando tra di loro, scrivono dopo aver indagato profondamente su documenti dispersi un po’ ovunque e aver messo in sequenza fatti e persone.
Quelle che facciamo sono da considerarsi proprio quattro chiacchiere, fatte alla buona, come si usava in cascina nel periodo invernale, quando non c’erano distrazioni di sorta e libri e lettura erano riservati a ben altri livelli di cultura; allora la lunga reclusione era interrotta dal favoleggiare di quella sorta di itineranti cantastorie che giravano per le cascine e con le chiacchiere si guadagnavano la zuppa: vere memorie storiche in grado di risalire nel tempo, di generazione in generazione, tracciando ascendenze, mischiando realtà e fantasia, fino ai tempi di Bertoldo e di re Alboino.
Quante e quante generazioni di arcoresi hanno ascoltate ripetute e poi trasmesse le storie della propria famiglia e i racconti di “Giuanén sensa pagüra, Tópa e Tadé, Bertòldu e Bertuldén, ul lóf e la vulp, la pulastrèla”; oggi grandi e piccoli hanno interessi e svaghi totalmente diversi e lasciano che il passato giaccia nel limbo finché, passati i postremi relitti ancora in circolazione tutto sarà poi dimenticato.
Quello che lega l’uno all’altro Umiliati, d’Adda, Stallone e Sentierone sono due immagini sacre poste ai lati del portico del “Sentierone” e il racconto della loro origine, ma … per capire bene il perché del legame occorre procedere con ordine.
L’immagine riproduce il frontespizio di una delle, relativamente numerose, opere che narrano le vicende di un ordine religioso, gli Umiliati, che fu attivo all’incirca dal 1150 fino al 1571 (abolizione decretata da Pio V, con Bolla del 7 febbraio).
L’ordine degli Umiliati si diffuse in Lombardia dal 1150 circa per contemperare un ideale di preghiera e di lavoro. Loro mansione specifica era la lavorazione della lana e la diffusione di questa industria, anche se lo sviluppo di questa attività era già in atto. Caduto lo spirito originario, anch’essi diventarono mercanti capitalisti. La presenza delle donne è ammessa dalla regola stessa per incrementare la produttività, nessun rito le consacra, esse vivono in castità la stessa vita dei fratelli.
Per avere un minimo di informazione sull’ordine, si trascrive quanto pubblicato in una nota (36) di Paolo Chiesa al “De magnalibus civitatis Mediolani” (1288) del frate Umiliato del terzo ordine, Bonvesin da la Riva (nato dopo il 1240 e morto prima del 1315)
«Quello degli Umiliati fu probabilmente l’ordine religioso più caratteristico della Lombardia dell’età comunale, e costituì un fenomeno sociale di grandissima importanza, con forti ricadute anche sullo sviluppo economico della regione. La loro presenza è attestata nella seconda metà del XII secolo, in forma di gruppi laici e religiosi poco organizzati, che predicavano il pauperismo e il ritorno al dettato evangelico, e che per questo venivano guardati con diffidenza dalla gerarchia ecclesiastica, che ne sospettava tendenze ereticali. Nel 1184 papa Lucio III li scomunicò insieme a catari e patarini; questo non valse a frenare il movimento, ma ne accelerò l’istituzionalizzazione, che ne limitava la potenziale pericolosità. Gli Umiliati si diedero una più definita struttura tripartita (il Primo Ordine, di cui facevano parte i religiosi che seguivano la vita canonicale; il Secondo Ordine, riservato ai monaci; il Terzo Ordine, cui potevano accedere i laici mantenendo la propria residenza e la propria famiglia) e vennero riconosciuti da Innocenzo III nel 1201. In quell’epoca, a dispetto delle disposizioni ufficiali, essi erano già da tempo affermati e autorevoli in Lombardia e in altre zone dell’Italia settentrionale; intorno al 1216 si contavano già circa 150 comunità regolari nella regione, escludendo quelle dei Terziari, diffuse in tutto il territorio in una rete capillare. Agli Umiliati i comuni lombardi assegnarono incarichi di rilievo, in particolare quello di esigere dazi e imposte; attraverso la rete dei Terziari si diffuse e si rafforzò una delle attività tipiche degli Umiliati, quella della lavorazione e del commercio della lana; da un punto di vista delle opere più strettamente caritative, essi ebbero un ruolo di rilievo nella fondazione e nella gestione degli ospedali. Questa intensa e importante attività portò in breve tempo alla trasformazione dei rapporti interni dell’Ordine, tanto che già a metà del Duecento i Terziari si staccarono dagli Ordini religiosi; questi ultimi si ritirarono progressivamente dalla vita pubblica cittadina, fino a ottenere nel 1288, l’esenzione dall’autorità vescovile locale e la dipendenza diretta da Roma.»
Anche il nostro paese, ebbe una “Domus” di Umiliati, ne è testimoniata l’esistenza in un elenco datato 1298, ripetuto poi nel 1344 e nel 1406:
Per il 1298 la citazione è tratta da “Sulle tracce degli Umiliati” (1997) di Alberzoni, Ambrosoni e Lucioni. Alla pagina 24: Domus maior de Archori, e a piè di pagina, alla nota 110, ne attribuisce l’identificazione a Vigotti – 1974.
Per il 1344 e 1406 ci si riferisce al “Vetera Humiliatorum Monumenta” di Hieronimo Tiraboschi, il cui frontespizio è riprodotto nell’illustrazione e dal quale si sono stralciati i settori dove compaiono le citazioni:
La “Domus Maior de Archori” inserita nell’elenco delle “case” del 1298, il primo che si conosca, induce a credere che esistesse ben prima di questa data; a rendere valida l’ipotesi deporrebbe anche il fatto che fra i primi Umiliati vi fosse un arcorese. Infatti, in un libro che niente ha a che vedere con gli Umiliati, (“Dalla Brianza ai passi alpini” 1991, di Taborelli e Orlandi edizioni Cattaneo) un libro dal quale Egidio Gaiani, il fratello del nostro parroco (all’epoca), ci ha inviato alcune pagine, si legge:
Manca la nota relativa al documento dal quale risulti che Giovan Bello di Arcore sia stato fra i primi “Umiliati”, ma, accettando per vera la notizia, se così è, si dovrebbe ritenere che, forse ancor prima che l’ordine ricevesse l’approvazione papale, un germe di vita “Umiliata”, cioè un gruppo di persone che viveva in comunità pregando e lavorando fosse presente in paese; d’altra parte non mancavano qui gli esempi da imitare rappresentati dai più noti S. Apollinare e S. Martino già attivi da un paio di secoli.
Per concludere il racconto sugli Umiliati rimarrebbe solo da narrare l’attentato al vescovo di Milano, cardinale Carlo Borromeo, reo di propugnare una durissima riforma dell’ordine, ormai degenerato, che non aveva più nulla da spartire con gli ideali originari. L’attentato doveva poi portare alla sua soppressione (1571) e all’incameramento dei beni relativi passati in gestione al vescovo che ne dispose potenziando altri ordini o liquidandone le proprietà per distribuirne il ricavato in beneficenza o sopperire a necessità contingenti.
Varie opere elogiano o sanzionano l’operato del Borromeo, sia come uomo che come vescovo, lasciando notevoli zone buie sul suo operato.
Rimane però ancora da capire dove fosse questa “Domus” in quanto, come il mitico “Castello”, nulla è rimasto di costruito e nessuna tradizione ha mai indicato con precisione il luogo dove sorgeva. Ci fu chi, di volta in volta, credette di vedere il luogo nel Sant’Apollinare o ancor meglio nel San Martino malamente interpretando ciò che il Tiraboschi, nominandolo, aveva scritto nella sua opera, dimenticando che sia l’uno che l’altro, quando arrivarono gli Umiliati esistevano già, non solo, ma quando i due monasteri furono soppressi (1411 e 1455) gli Umiliati tirarono ancora avanti per oltre un secolo, mentre i loro beni attribuiti ad altri monasteri non potevano certo ospitare gli Umiliati. Qualcun altro, fantasticando sull’impianto edilizio del paese, ricucito sul ricordo delle antiche corti abbattute, cercò di collocarne qua e là l’ipotesi di ubicazione, rimanendo comunque nel “forse”. Finalmente, dal racconto sull’origine di alcune immagini, nasce una nuova ipotesi che ha una attendibilità superiore ad ogni altra.
Alcuni disegni, tratti dall’“Historia Ordinis Humiliatorum” del codice Trotti conservato all’Ambrosiana di Milano, illustrano i modi di vita degli Umiliati, e in particolare da quella che mostra una serie di cellette, abitazioni dei monaci, rapportata alla memoria storica tramandata nelle generazioni, si ricava l’ipotesi che verrà poi illustrata.
A questo punto si inserisce il racconto sulle due immagini sacre che adornano le estremità del sottoportico della cascina “Sentierone” e sulla loro origine.
La prima, posta sul lato sud, rappresenta la Vergine col bambino in braccio e con, ai lati, due frati adoranti.
Il tempo e le numerose ridipinture, pur mantenendone nel complesso l’apparenza, hanno contribuito ad alterarne e a cancellarne totalmente i colori originali, e la loro sovrapposizione, generando spessore, ha causato distacchi di pellicole, in particolare sul fondo che appare butterato come una specie di vaiolo.
Per cercare di assegnare una datazione indicativa all’immagine in altorilievo, deducendola direttamente dall’iconografia, dallo stile, dal livello artistico dell’esecuzione, e dal materiale nel tentativo di avvalorare quanto si dovrebbe dedurre dal racconto, occorrerebbero competenze e prove ben diverse delle semplici parole del racconto stesso.
La cosa, in teoria, dovrebbe essere più facile per la seconda immagine, crocifissione a tutto tondo, che, pur ripresa con colori ad alterarne l’originalità, ricalcherebbe un tipo di iconografia assegnabile a una datazione tardo medievale.
Nella primavera di quest’anno (2015), coi ragazzini delle medie che raccoglievano notizie per “Arcore da leggere”, si fece una visita alla cascina “Sentierone” e “chiacchieron chiacchieroni”, sotto il portico, davanti alla immagine della Madonna, si raccontò che, come la Cascina aveva avuto origine per la demolizione dello “Stallone” e la necessità di trasferire i coloni che vi abitavano, così, nel trasloco, con le povere masserizie degli abitanti, anche le immagini che ivi esistevano, furono ricuperate e inserite nella nuova costruzione.
Il racconto sembrava finito lì, ma una signora, che ascoltava con interesse la narrazione, aggiunse che la storia era un po’ più lunga e che la depositaria della versione completa era Giuditta, un tempo abitante in cascina, con l’ingresso di casa proprio a lato dell’immagine, i cui avi, provenienti dallo “Stallone”, per tradizione verbale, le avevano tramandato la storia completa delle immagini.
Si raccontava in cascina che i d’Adda, già possessori di fondi nel territorio arcorese, acquisirono, con altre, l’area occupata oggi dal parcheggio comunale e dal cinema Apollo, quando San Carlo procedette alla liquidazione dei beni appartenuti all’ordine degli Umiliati.
La familiarità del ceppo (con gli Umiliati) cresciuto economicamente dapprima col commercio, in particolare quello della lana e dei “panni lani”, poi con le speculazioni finanziarie fornendo prestiti a signori, governi e principi, quindi inserendo nelle rappresentanze membri della famiglia, consentì loro di essere presenti e a conoscenza di tutte le occasioni per ampliare i loro investimenti fondiari, così come centovent’anni prima avevano fatto i Simonetta col S. Martino e i suoi beni.
L’area ospitava, fino al 1571, una “Domus” di Umiliati costituita da poco più di una dozzina di cellette sul tipo di quelle che appaiono nell’illustrazione pubblicata più sopra. Secondo il racconto, le due immagini adornavano questo luogo.
I d’Adda, presumibilmente tra fine Cinquecento e primi Seicento vi edificarono una cascina (chiamata “Stalletto”), parzialmente integrandovi alcune celle e lasciando libere le altre destinate a depositi e magazzini. Poi, nel tempo, l’evoluzione dell’agricoltura e l’inserimento dell’allevamento dei bachi portarono ad ampliamenti che finirono per cancellare totalmente il vecchio impianto edilizio. Anche le antiche immagini furono spostate e finirono ad adornare la costruzione riadattata (chiamata Stallone).
ESPLORA.. | Dalla cascina Stallone al Sentierone Riportiamo la documentazione avuta in originale da Fulvio Ferrario, che custodisce con passione la relazione, opera di Luigi Arienti, che aveva partecipato con la stessa, nell’anno 1911, ad un concorso indetto dalla commissione della Società agraria della Lombardia. La società aveva indetto lo stesso per premiare chi si fosse messo in luce, nel realizzare opere che “concorrano al benessere dei lavoratori della terra“. L’Arienti era stato premiato, in una analoga selezione di qualche anno prima, dalla stessa Società, ed è ancora in prima linea con nuove e innovative iniziative che saranno di sicura utilità, per lo sviluppo sia sociale che economico di Arcore e della regione tutta. Lo scritto illustra, tra l’altro, la dismissione della vetusta e fatiscente cascina “Stallone” e la nascita del nuovo insediamento, indicato come “cascina modello” per le innovative soluzioni apportate nella sua costruzione. Proponiamo parte del testo, riprodotto in originale e integrale al link proposto: “In fregio alla strada Provinciale per Barzanò, di fianco all’entrata principale della Villa d’Adda, vi era una vecchia costruzione colonica che ostacolava il transito sulla strada predetta che in parecchi tratti era ridotta alla larghezza di metri 3.60, affatto insufficienti al passaggio della tramvia ed al transito dei veicoli, per cui si ebbero a lamentare parecchie disgrazie. Aggiungasi inoltre che tale costruzione si trovava in pessime condizioni di stabilità e salubrità, trattandosi di case di poca altitudine, coi pavimenti terreni di m. 1 al disotto del piano stradale, per cui ad ogni acquazzone il cortile diventava un laghetto ; e a stento si riusciva ad impedire che l’acqua entrasse nelle case, che non mancava però di manifestare la sua presenza, impregnando i muri ed i locali di umidità intensa, molesta ai coloni e micidiale ai bachi. |
Il resto del racconto è noto: demolito lo Stallone gli abitanti furono trasferiti al “Sentierone” (1902) e con loro anche le due immagini che vediamo ancora oggi sotto il suo portico. Sarebbe da affidare alle ipotesi l’origine della presenza dei d’Adda ad Arcore. Dai documenti e dalle citazioni raccolte attorno alla famiglia, risulta che sul territorio, in particolare a Bernate, esercitassero già nel ‘400 un diritto di “Signoria” più o meno riconosciuto dai Duchi di Milano (Visconti prima e Sforza poi), ne è prova la citazione del Cazzani sulla sua ponderosa “Storia di Vimercate” (pag. 548) nella quale, nell’elencare le esenzioni concesse dallo Sforza a coloro che si dimostrarono suoi amici-alleati nella conquista del Ducato, cita il “Privilegio” emanato a Lodi il 22 dicembre 1451 col quale si conferma l’immunità e l’esenzione anche ad “Antonio d’Adda e ai suoi massari per i beni che aveva nel territorio di Bernate” concessa anni prima da Filippo Maria Visconti per gli aiuti finanziari ricevuti.
A rigor di storia questo non sarebbe ancora l’inizio dei possessi ad Arcore essendo al tempo il luogo di Bernate ancora Comune autonomo, e l’esenzione, non citando possessi nel luogo di Arcore, quindi, si dovrebbe intendere o che non ve ne fossero ancora, oppure che, se ve ne erano, fossero di altri d’Adda non esentati.
Che vi fosse già in antico una ingerenza della famiglia nell’economia del paese è una ipotesi più volte formulata legando la fortuna del commercio delle lane, ampiamente esercitato e parziale fonte delle loro ricchezze, alle note vicende degli Umiliati produttori di filati e tessuti. Anche il subentro nelle proprietà di luoghi dove storicamente questi erano stabiliti, dopo le note vicende della soppressione dell’Ordine (1571) e la liquidazione dei loro beni (area “ex Stalon” e zone limitrofe), induce a credere che i loro possedimenti arcoresi o iniziassero proprio da qui o fossero integrati dalle nuove acquisizioni.
D’altra parte, il palazzo originale, che dava fronte a corpo unico sul “Bruaxel”, non ha una storia della sua origine, e da nessuna delle pubblicazioni note si possono ricavare notizie dalle quali, poi, argomentare sull’epoca dei possessi.
È comunque certa la loro presenza a partire dal 1574 in quanto nello “Stato d’Anime” relativo, Costanzo d’Adda, risulta proprietario di parecchie case e dell’unica osteria del paese.
ESPLORA.. | Come accennato nell’introduzione la curiosità ci aveva indirizzato ad approfondire sull’origine della denominazione della cascina Sentierone. La spiegazione fornita sul pannello apposto all’ingresso della stessa è abbastanza esauriente. La presenza di questo lungo sentiero appunto in dialetto “Sentiron” aveva identificato la cascina che si trovava appunto lungo il suo cammino. La nota, presente sul pannello, aggiungeva questa storicità che attestava il percorso come quello che un tempo univa, forse in esclusiva, Arcore con Sant’Alessandro, località prossima a Villasanta. Le sorprese non si esaurivano qui. La consultazione delle mappe d’epoca partendo dal Nuovo catasto fine ottocento ed andando ancora a quello denominato del Lombardo-Veneto, metà ottocento, per approdare infine alla metà del settecento con il “Teresiano”, evidenziavano questo percorso esageratamente rettilineo, che ormai semplice tratturo nelle ultime rilevazioni cartografiche citate, prendeva sempre una maggiore consistenza nel percorso a ritroso nel tempo, fatto sulle mappe. La riproduzione in immagine che proponiamo mette in evidenza, riferito al catasto austriaco, l’intero tratto che lasciata la prossimità della cascina “Stallone” si dirige verso l’odierna Villasanta, interrompendosi, all’improvviso per svoltare a sinistra ed immettersi nella “strada maestra che va a Milano”. Abbiamo parlato dell’andamento rettilineo che male si sposava con la viabilità degli anni indagati. Ci siamo chiesti dunque per quale motivo e soprattutto chi poteva aver tracciato un percorso simile. La risposta è stata abbastanza scontata, era tipico dell’epoca romana realizzare strade con questo andamento e soprattutto dividere il territorio nelle così dette “centurie”, che destinate alla coltivazione trovavano i loro limiti in questa precisa sequenza di rette che intersecandosi perpendicolarmente tracciavano il territorio. Il passo successivo, per accertare che il cammino fosse una reminiscenza lasciata dall’antica Roma, era verificare che l’orientamento proposto in studi specifici, sulla centuriazione romana in Brianza, fosse compatibile con il “Sentierone”. La risposta è eloquente e viene evidenziata nella rappresentazione citata, che vi invitiamo ad ingrandire per apprezzarne i particolari. Il cammino del “Sentierone”, l’odierna via Centemero, fa parte di quella griglia “C”, che caratterizzava la serie dei tracciati romani della Brianza a noi prossima. Un’inaspettata scoperta che svela un segno ormai trasfigurato di un passato tanto lontano ma ancora vivo. |
Aspetti, località e storia della Brianza. "Ci sono paesaggi, siano essi città, luoghi deserti, paesaggi montani, o tratti costieri, che reclamano a gran voce una storia. Essi evocano le loro storie, si se le creano". Ecco che, come diceva Sebastiano Vassalli: "E’ una traccia che gli uomini, non tutti, si lasciano dietro, come le lumache si lasciano la bava, e che è il loro segno più tenace e incancellabile. Una traccia di parole, cioè di niente".