L’ultima corsa della tramvia a vapore Monza-Oggiono di Paolo Cazzaniga

L’ultima corsa della tramvia a vapore Monza-Oggiono di Paolo Cazzaniga

di

Paolo Cazzaniga

Riprendo il filo del discorso proponendo un racconto che vuole essere di contorno ai prossimi appuntamenti previsti per la mostra “Il tramway a vapore Monza-Barzanò-Oggiono” che continuerà nei prossimi mesi visitando i comuni dislocati sul percorso dell’antica linea tramviaria.
L’idea di scrivere questo racconto, già nel titolo, non lascia dubbi sul suo contenuto, è nata con la ricerca che stavo conducendo per preparare l’evento espositivo. Con un pizzico di vanità sottolineo l’apprezzamento espresso dalla giuria del “Premio letterario di poesia e narrativa Città di Arcore 2015”, che ha voluto gratificarlo nella sezione dedicata ai racconti su temi di cultura brianzola”. Ritornando allo scritto, alcune note d’introduzione alla narrazione che seguirà. Lo spunto iniziale nasce da alcuni documenti prodotti negli anni 1916-17 che nello scarno linguaggio burocratico sanciscono una prima chiusura della linea, che dopo una breve ripresa, diviene definitiva nel Gennaio del 1917. La curiosità nasce nel conoscere il momento indicato sul documento che avrebbe stabilito il tempo dell’ultima corsa: “quando il carburante sarà finito”, che di fatto risulta la scintilla ispiratrice del racconto. La volontà poi di cimentarmi con “una storia d’amore” lieve ma nelle intenzioni profonda, cosa che non avevo mai fatto, ha costituito la seconda tessera del mosaico. La possibilità di legare le vicissitudini dei protagonisti, con gli eventi della Grande Guerra, contemporanei alla chiusura della tramvia, ha impresso al racconto la necessaria drammaticità. Ho voluto poi ispirarmi ad alcuni componenti, delle generazioni passate, della mia famiglia, per rappresentare la figura di Luca, il protagonista. Anche Aurora è un nome che ho tratto dalla mia genealogia. La laicità del nome, vuole come si coglie nelle intenzioni della co-protagonista, uscire dagli schemi sociali dell’epoca, aspirando ad un necessario progresso, nell’auspicio di una svolta sociale che purtroppo disattesa, sfociò nel disastro del ventennio fascista.
Un po’ di mestiere nell’assemblare il tutto e riporto quanto espresso dalla giuria al proposito:” Il racconto è ben orchestrato nel susseguirsi incalzante degli avvenimenti e nel ritmo precipitoso che echeggia quello della tramvia, poi improvvisamente silenziosa”.
L’ultima parte del racconto, uscita dopo molti ripensamenti e riscritture, ha trovato ispirazione in una fotografia ben commentata da Tonino Sala nella puntata delle cartoline di Arcore che ritrae il monumento ai caduti della prima guerra mondiale, nel giorno della sua inaugurazione, avvenuta nel Dicembre del 1919. Nonostante già nell’incipit si parla “Nell’ormai dimenticato monumento ai caduti…” il cui spunto usciva dalla foto citata, c’è voluto del tempo, pur nella necessità narrativa di chiudere il cerchio del racconto ritornando al monumento, da cui si era partiti, prima di rendermi conto che quella foto, “che aveva reclamato a gran voce una storia”, conteneva il finale che andavo cercando, con Aurora che asciuga il “moccio” al piccolo Luca, quale auspicio per il domani, che si spera posa essere migliore.

L’ultima corsa della tranvia a vapore Monza-Oggiono

Nell’ormai dimenticato monumento dedicato ai caduti della Grande Guerra, era incisa una data che, sino a che era stato vivo, il vecchio Tonio era solito dire fosse quella dell’ultima corsa della tramvia che da Monza raggiungeva Oggiono, e di cui lui, per lunghi anni, era stato fuochista, e non il giorno della morte di Luca.
Potete capire che stiamo parlando di avvenimenti ormai molto lontani nel tempo. Quasi più nessuno si ricorda di Tonio che era morto quasi novantenne, figuriamoci di Luca. Il suo nome, come abbiamo detto, era su quella lapide; dopo il nome due date: 15 Gennaio 1898, quando era nato e 29 Gennaio 1917, la morte. Era la successiva indicazione “disperso” il motivo che faceva insistere Tonio nella sua convinzione, e a chi chiedeva spiegazioni raccontava come erano andate le cose.

MONUMENTO

“Nell’ormai dimenticato monumento…”

Luca lui lo conosceva bene, fin da quando era bambino. Il ragazzo, crescendo, aveva dato qualche problema in casa. Non era cattivo ma di una vivacità tale che scambiarla con qualcos’altro era un attimo. La sua famiglia lavorava la terra del Conte, e non era semplice per il padre e i fratelli più grandi convincerlo che quella era la vita che l’attendeva, specialmente quando, dopo un anno di lavoro e sacrifici, la sua famiglia si trovava con più debiti dell’anno prima. Hai voglia faglielo capire…! Molti giovani la pensavano come lui e fremevano dalla voglia di cambiare. La tramvia, aperta da qualche anno, permetteva di raggiungere Monza più velocemente, agevolando il corso di quelle idee “progressiste” che infervoravano Luca. Detestava le pastoie teoriche, che non portavano a niente e preferiva l’azione. Passione politica e voglia di divertirsi dividevano i suoi interessi. Una corsa a Monza col tram per Turati e una per Gardel si succedevano regolarmente. Spesso, quando i tanghi di Gardel finivano, il tram aveva terminato il suo servizio da ore. In quelle occasioni si sobbarcava a piedi la strada fino a casa. Qualche volta, quando era di ritorno faceva ormai chiaro, come quella volta che, rientrato all’alba, era stato inutile coricarsi. Tanto valeva, prima di farselo ripetere ancora una volta da suo padre, recarsi nel campo di granoturco, per spogliare le piante di quella parte non più necessaria e lasciare libere le pannocchie di completare la maturazione. Era capitato che metteva tanta lena nel lavoro che suo padre, raggiunto il campo come sempre di buon’ora, si era convinto che qualcosa di tremendo stesse succedendo tra le piante di mais. “Sembrava ci fosse il diavolo” aveva poi detto, tanto era il trambusto causato dal sollevarsi vorticoso delle brattee che Luca strappava dalle piante. Tanta esuberanza anche la volta che spirito di giustizia e rivalsa contro le “forze costituite” avevano fatto il paio. Pinino, che abitava la stessa cascina di Luca, aveva una gamba più corta dell’altra. La poliomielite era lontanissima da essere debellata. Tutti additavano Pinino come lo “storpio” e così l’apostrofavano. La cosa non andava giù a Luca. La volta poi, che uno di quelli che abitava al “curvone” aveva rincarato la dose, sgambettando platealmente Pinino che era ruzzolato a terra, figuriamoci la reazione di Luca. La rappresaglia non era tardata ed in compagnia di altri della cascina si erano diretti al “curvone” per fare giustizia. La mano era stata tanto pesante che il giorno dopo tre carabinieri chiedevano spiegazioni nell’osteria del “Cantone”, dove i giovani erano soliti riunirsi. Come la poliomielite era lontana da essere guarita, anche i film western erano lungi da venire, ma il racconto dell’oste del “Cantone” non avrebbe avuto niente da invidiare ad una rissa da saloon. I carabinieri non avevano avuto nemmeno il tempo di presentarsi, che la tenue luce della lampadina che pendeva sul tavolo, colpita da un pugno, era andata in frantumi, il tavolo era volato contro i militi e….. Cosa fosse poi successo nemmeno l’oste lo sapeva raccontare. Si seppe che, disonore, i carabinieri erano stati spediti in caserma disarmati. I moschetti furono ritrovati l’indomani nella valle verso il torrente. Il caso fu messo a tacere soprattutto per la magra figura dei militari, la cui pessima riuscita sarebbe stata di cattiva propaganda per il potere e le autorità. Episodi e situazioni di questo tenore erano all’ordine del giorno e la fama di Luca si arricchiva di leggenda.

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“Tanta spavalderia s’infranse quel giorno alla fermata del tramvai a Campofiorenzo….”

Tanta spavalderia s’infranse quel giorno alla fermata del tramvai, a Campofiorenzo, dove incrociò per la prima volta Aurora. Il nome lo seppe solo tempo dopo, quando iniziò una frequentazione assidua con la ragazza che aveva una zia a Monza e periodicamente l’andava a visitare, prendendo il tram. Era il 16 Giugno e fu un giorno speciale per Luca, come lo era per la tranvia che riprendeva le sue corse dopo un’interruzione di oltre due mesi.
La vita di Luca prese una piega diversa, i tanghi e i direttivi politici avevano lasciato il passo a passeggiate romantiche. L’estate del 1916 s’infiammava come il cuore di Luca. Aurora non era spaventata dalla fama non perfettamente cristallina del ragazzo. Diverso l’atteggiamento della famiglia della giovane, che non vedeva di buon occhio la frequentazione ed era decisa ad osteggiare la storia tra i due ragazzi. Più benevola e loro complice era la nonna di Luca. Aveva sempre avuto un debole per il nipote, vedendo in lui quello spirito libero che lei aveva dovuto tenere a freno. Non era cosa di tutti i giorni, ma, messe da parte le poche uova del suo pollaio, aveva preparato una frittata per Aurora e Luca, ed ora, all’ombra della grande quercia nel “pratone”, i due la divoravano con frenesia, la stessa con cui i loro occhi fissavano con desiderio le reciproche labbra. Il tepore della stagione e l’intimità con la ragazza avevano aperto il cuore e l’anima di Luca. Il ragazzo era certo di poter vedere, negli occhi delle persone, il loro futuro. Negli occhi di Aurora, vedeva una tavola apparecchiata e dei bambini tutt’attorno e lui che, sudato dopo una giornata di lavoro nei campi, entrava dalla porta ed in cuor suo immaginava che sarebbe stato felice nel vedere sua moglie e i suoi figli che l’aspettavano.
Ora i tempi erano altra cosa, la vita dura di tutti i giorni con quella guerra, che sarebbe dovuta durare pochi mesi ed erano due anni che immolava giovani e meno giovani, lasciava poco spazio ai sogni dei due ragazzi. L’estate era volata, anche l’autunno era passato, un nuovo inverno di guerra stringeva tutti ormai da vicino. I timori di Luca si facevano più pressanti. Il nuovo anno era prossimo e la probabilità di partire al fronte si faceva più concreta. A Dicembre, puntuale come una cambiale, fu recapitata la tanto temuta “chiamata alle armi”. L’entusiasmo che animava ogni azione di Luca svanì di colpo. Il magro Natale di guerra fu ancora più mesto in casa di Luca. Il padre Angelo ebbe l’accortezza di mettere da parte un frammento del “ciocco di Natale” che, dopo aver arso nel camino, era solito custodire per scongiurare le tempeste della successiva stagione estiva. La tempesta che ora infuriava era quella che bruciava il fronte di guerra, dove Luca, di lì a pochi giorni, si sarebbe diretto. Un pezzo del talismano, sperava, avrebbe preservato il figlio dai pericoli.
Gennaio fu rigido, Luca faticava sempre più ad incontrare Aurora. Le occasioni fortuite d’incontrarsi erano ridotte al minimo. La stagione invernale e l’accanimento della famiglia di Aurora, saputo della prossima partenza di Luca, impedivano gli incontri tra i due.

AURORA

“Il brivido che sopraggiunse percorse ed inquietò Aurora….”

A Sant’Antonio, il falò fu per i due giovani l’occasione di vedersi. La catasta della legna era poca cosa, qualcuno giudicò uno spreco quel fuoco, con le difficoltà di scaldarsi che ogni famiglia aveva. Le fiamme che si levarono dal falò illuminarono gli occhi di Luca; Aurora colse un baleno. Si ricordò: gli occhi, diceva Luca, sono lo specchio del futuro. Aurora aveva visto bagliori ripetuti, poi improvviso un bianco opprimente ed ovattato aveva riempito gli occhi di Luca, che ora lentamente, alla vista di Aurora, ritornavano vispi e penetranti come a lei piaceva.

Il brivido che sopraggiunse percorse ed inquietò Aurora, ma non volle darlo a vedere. Il momento della partenza di Luca era sempre più vicino, i pochi giorni che mancavano non dovevano essere tristi.
Nel frattempo, le tribolate vicende della tramvia volgevano al termine. Il 25 Gennaio, la società che gestiva la tramvia aveva deliberato, riservando la notizia ai soli addetti ai lavori, che le corse sarebbero continuate sino all’esaurimento delle scorte di carburante, che ancora giacevano nei depositi. I giorni erano contati.
Aurora voleva accompagnare sino a Monza Luca. Qui era previsto il raggruppamento delle reclute, dove la tradotta li avrebbe condotti al fronte. Luca arrivò per tempo alla fermata, era impaziente di vedere Aurora che tardava ad arrivare. Nonostante il tram non fosse puntuale, di Aurora non c’era traccia. Infine si profilò la scura massa del convoglio, che rallentava, e finalmente tra uno sbuffo di vapore uscito dal logoro stantuffo, stridendo sui binari gelati si fermò. Luca tergiversò, coinvolgendo il personale del tram che presto esaurì la pazienza: non potevano attendere oltre, erano in ritardo ed il tram doveva ripartire. L’inquietudine del ragazzo aveva messo in apprensione i viaggiatori, che nervosamente invitavano Luca a montare sul vagone. Affranto il giovane salì sulla piattaforma, proteso ancora verso la direzione da cui sarebbe dovuta arrivare Aurora. Il convoglio faticosamente riprendeva il cammino. Improvvisa una figura femminile sbucò dalla via laterale che il tram, in quel mentre, stava attraversando. Luca si girò speranzoso e la ragazza ansimando allungò la mano, porgendo un biglietto al giovane. Rivolto ancora verso la giovane donna che si era fermata e riprendeva fiato per la corsa fatta, Luca alternava sguardi confusi ora al pezzo di carta, ora alla ragazza, che all’allontanarsi del tram rimpiccioliva alla sua vista.
“Prendo la prossima corsa, aspettami a Monza. Aurora”

TRAM

“L’inquietudine del ragazzo aveva messo in apprensione i viaggiatori…”

Era successo che la madre della giovane non voleva assolutamente che la figlia accompagnasse Luca in quel viaggio. Aurora disperata, aveva consegnato quelle poche parole alla sorella, affinché le recapitasse a Luca, nella speranza di convincere la madre e raggiungere il ragazzo in un secondo tempo. Il messaggio ricevuto consolò solo per un po’ Luca, ma nel tratto pianeggiante che il tram percorreva verso Lesmo, fu un ribollire di stati d’animo soffocanti. Rabbia, sconforto, delusione, paura gli toglievano il fiato. Lo sferragliare dell’asfittico convoglio sembrava sempre prossimo ad esalare l’ultimo respiro.
Il vecchio Tonio, a questo punto, nel raccontare gli avvenimenti, era assalito da una frenesia che ancora a distanza di anni non gli dava pace. Quel 29 Gennaio 1917, era giunto con il tram ad Oggiono verso mezzogiorno, e, dopo il solito pranzo all’osteria della Stazione, avrebbe caricato sulla locomotiva il carbone necessario per compiere il tragitto di ritorno verso Monza. Sapeva che le scorte nel magazzino della compagnia erano ormai agli sgoccioli. Aveva comunque stimato, ancora il giorno prima, che il tramvai avrebbe potuto viaggiare ancora per un paio di giorni. Non aveva fatto i conti con la miseria che la guerra alimentava. Durante la notte il prezioso combustibile era stato rubato, il freddo era tanto e qualcuno non aveva rinunciato alla facile preda, vista la flebile sorveglianza a cui era sottoposto il deposito nei giorni che preludevano la prossima chiusura della linea. Se solo si fosse accorto prima, le cose sarebbero andate diversamente, si crucciava. Insomma, aperto il deposito, c’erano si e no due o tre palate di carbone. Non c’era altro da fare che riferire al responsabile ed attendere le disposizioni, che per altro sarebbero state abbastanza scontate.
“Terminate le scorte di carburante, le corse sarebbero state sospese”. Così fu.
Aurora attese invano ben oltre l’orario previsto, che poi non era mai così certo, ma del tram nemmeno l’ombra. Anche Luca attese, sempre più inquieto, chiese notizie al personale della stazione, nessuno seppe rispondergli. Percorse ripetutamene a ritroso l’ultimo tratto della tramvia, nella speranza di veder arrivare il convoglio. Infine dovette arrendersi e con la morte, non solo nel cuore, si avviò verso il luogo previsto per il raduno della truppa. La tradotta viaggiò tutta la notte e buona parte del giorno dopo. Sfilavano località sconosciute, il convoglio s’infilava in vallate sempre più anguste, forse non era più in Italia o era un’Italia che Luca non conosceva. Spaesato ed avvilito, stava andando verso il “nulla” ed il “nulla” inghiottì Luca.
L’enorme valanga staccatasi dal fianco della montagna, travolse il treno, che precipitò nello strapiombo. Per un po’ la massa di metallo, che rotolava verso il basso, sembrò, tra ripetuti bagliori provocati dallo scoppio della locomotiva, prendere un vantaggio sull’enormità di neve, che inseguiva. I vagoni, scomposti ed ormai separati gli uni dagli altri, strisciavano le rocce nella caduta sollevando scintille sinistre. Il vagone di Luca finì la sua corsa, facendosi raggiungere dal bianco opprimente ed ovattato della neve, che riempì prima gli occhi e poi la bocca e i polmoni di Luca che, già tramortito dai ripetuti urti, smise di vivere.
Aurora e la famiglia di Luca non seppero mai nulla della tragica fine del ragazzo. Tempo dopo, molto tempo dopo, fu recapitata, al sindaco del paese questa laconica informazione. “Comunico a V.S. Ill. con preghiera di darne partecipazione alla famiglia che il soldato T… Luca di Angelo, risulta disperso dopo il 29 Gennaio 1917. Si daranno ulteriori informazioni sulla sorte del suddetto militare. –“Firmato Tenente Colonnello C…” –
Nessun altra notizia giunse in seguito ai famigliari di Luca.

MONUMENTO ARCORE

“La banda inondava la folla con la sua musica, coprendo i singhiozzi di Aurora.”

Finita la guerra, il “comitato dei reduci” e i parenti dei caduti dovettero aspettare del tempo prima di vedere edificato un monumento in memoria dei loro cari. Finalmente, una domenica di fine Dicembre del 1919, la lapide fu scoperta. A ricordare il giorno della morte di Luca, era indicata la data segnata nella comunicazione giunta dal fronte. Tonio anche quel giorno, rivolgendosi ad Aurora che era vicina a lui, ripeteva che quella data, e non c’erano dubbi, era stato l’ultimo giorno di servizio della tramvia a vapore Monza-Oggiono; non era invece certo che Luca fosse morto quel giorno. Aurora aveva assistito alla cerimonia trattenendo a stento le lacrime, che ostinatamente cercavano d’inondare i suoi occhi. Ora non poteva più frenarle. Tirò fuori il fazzoletto per asciugarle, ma prima, con un gesto istintivo, pulì il naso del piccolo Luca, che teneva per mano ed era infreddolito dalla giornata uggiosa. Appoggiò una mano sul capo ed attirò a se il figlioletto: finalmente il corso del suo pianto poté scorrere. La banda inondava la folla con la sua musica, coprendo i singhiozzi di Aurora.