ARCORE: LE MOLGORANE

ARCORE: LE MOLGORANE

Continua il viaggio alla conoscenza di Arcore. Questa volta l’attenzione si rivolge verso i corsi d’acqua del territorio comunale. Immagino che vi chiederete, quali corsi d’acqua?  Sembra strano, ma la storia di Arcore, di quell’Arcore che non c’è più, trovava nei corsi d’acqua che l’attraversavano, una precisa connotazione. Scorrendo la piacevole ricerca di Tonino Sala, si ha la convinzione che l’origine stessa di Arcore, sia da ricondurre a quel corso d’acqua, che nel passato più remoto doveva avere una portata d’acqua decisamente più interessante, di quando si decise infine, negli anni trenta, di coprire il corso della Molgorana. Leggendo con attenzione la ricostruzione proposta, e osservando le poche immagini, che restituiscono l’aspetto di alcune vie attraversate dal torrente, ci si accorge che, come spesso accade, si è perso qualcosa di originale ed esteticamente piacevole, ricoprendo il percorso che tracciavano le acque in Arcore. E’ evidente, ed un esempio importante ci viene dal vicino capoluogo di regione Milano, dove, fatte naturalmente le debite proporzioni,  la mancata sensibilità, dimostrata in quegli anni, portò alla scomparsa dei “navigli” segnando un’analoga perdita, che non può essere cancellata. Restando all’esempio Milano, ci sembra oggi priva di fondamento e di una demagogia inquietante, la proposta, di riaprire i navigli chiusi, o peggio ancora tracciare una nuova “via d’acqua”, in occasione dell’Expo, che ridia splendore e ricordo ad un passato che gioco forza non può tornare. Sfuggiamo tentazioni simili, ma cerchiamo, attraverso queste preziosi informazioni d’immaginare e far rivivere, anche se solo “virtualmente”, un passato che non è necessario rimpiangere, ma che invece, è doveroso conoscere.



REPERTI STORICI

Nella storia del nostro paese, il documento più antico che lo riguarda, almeno fino ad oggi, è un testamento datato (…millesimo quadragesimo sesto mense Aprilis indictione quartadecima ) Aprile 1046, col quale (Ego Tuniza relicta qda Addelberti de vico Arcole, et filia qda Ariuerti de vico Mellate, que profesa sum lege vivere Langobardorum, consenciente mihi Johanos de eodem vico Arcole, cugnato et mundualdo meo…) Tuniza vedova del fu Adelberto del Vico di Arcore e figlia del fu Ariuerto del vico di Merate, che ha scelto di vivere secondo la legge longobarda, consenziente Giovanni suo cognato e rappresentante legale, dello stesso luogo di Arcore, dona al (Oficiales Ecclesie et Plebe Sancti Stefani sito Vicomercato) clero della chiesa di Santo Stefano di Vimercate, un (…campo pecia una juris mei que abere visi sum in suprascripto vico et fundo Arcole a locus ubi dicitur Brigulana, coeret ei da mane Sancti Johanni da meridie et sera percurit ipsa Brigulana) campo di sua proprietà che si trova in Arcore nel luogo dove si dice Brigulana e che confina a est con la proprietà della chiesa di S. Giovanni (di Monza), a sud e ovest con il corso della stessa Brigulana.

tuniza

Il testamento di “Tuniza” anno 1046

Brigulana, è dunque il nome più antico col quale viene nominato il torrentello oggetto della chiacchierata; siamo nel 1046 e chissà da quanto tempo prima era usato. Lo stesso nome, senza la variabile dialettale della deformazione che poi l’avrebbe trasformato in Mulgurana [italianizzato in Molgorana]; lo stesso nome era anche usato da parte della popolazione arcorese, quella più attaccata ai modi e al linguaggio della tradizione antica, almeno fino agli anni cinquanta del secolo ventesimo. Un bel record di durata, ben oltre un millennio!

L’indicazione delle coerenze ci dà la possibilità di individuare anche il luogo stesso della collocazione del campo donato.
In tutto il corso dell’attraversamento del territorio arcorese, l’unico luogo dove si poteva avere come confine la Molgorana sia a sud che a ovest era l’area della corte Morganti o Curt di Bafòt (all’epoca del testamento ancora inesistente, oggi largo Arienti), dove il torrente faceva un angolo retto, come risulta dalla mappa catastale del 1722: proprio lì dove avveniva la congiunzione col ramo proveniente da Usmate, senza dimenticare che la via Abate d’Adda in quel tempo era percorsa da una roggia che sfociava anch’essa in quel punto:

i tre rami

Secondo i cultori dell’etimologia il nome si presterebbe a una duplice interpretazione sempre però legata alla morfologia del territorio e sempre di origine celtica:
Brigulana, acqua che scorre dalle colline al piano (brig-und-laan),
Mulgurana, acquitrino paludoso (murg-und-laan), e tale doveva essere il centro-paese all’arrivo dei celti.

Il bacino idrografico, che scarica poi le sue acque riunendole in un unico solco proprio al centro del paese, si spinge fin sotto i rilievi di Casatenovo, Rogoredo, Valaperta; ha una superficie di circa 16 km2 e i suoi canali di confluenza si possono identificare nei vari rami di Lesmo, Camparada, Velate e Usmate, più una micro risorgiva (Funtanin) lungo il suo corso, nel territorio compreso tra il vecchio confine del Comune di Arcore e Bernate, nel solco che divide la collina del Roccolo dalla collina dell’azienda agricola dei Teruzzi.

Sotto, nell’illustrazione, sono indicati i corsi dei vari rami e la loro confluenza.

mappa

Qui sotto è disegnata la mappa del territorio arcorese (primi ‘900 circa) con indicate le quote di altitudine sul livello del mare al confine dei punti cardinali, la zona collinosa, le cascine o frazioni e il percorso delle Molgorane; sul confine ovest scorre il Lambro. Sono evidenti i grandi spazi liberi, rispetto alle zone urbanizzate quali apparivano agli inizi del secolo XX, che si possono confrontare con l’oggi (aggiornati al 1993 circa).

mappe 900

In tempi geologici, con ben maggiori portate d’acqua, i vari rami hanno inciso il loro corso sul limitare dei terrazzamenti del quaternario formando valli e vallette più o meno profonde o dei semplici solchi e praticamente costruendo i terreni alluvionali che dai piedi dei rialzi collinari proseguono poi formando il piano del territorio arcorese. Ristagni acquitrinosi sono presenti in tutta la zona che borda i rialzi (attuali vie Montegrappa, Umberto I°, D’Adda, Brianza) e il corso stesso del torrente va spostandosi sempre più verso est man mano i riempimenti alluvionali spingono l’alveo verso il piano.

In tempi storici gli interventi di bonifica e, forse, di canalizzazione (Liguri, Etruschi, Celti, Romani) ricuperano spazi produttivi, che, da una primitiva economia di pastorizia e di suinicoltura allo stato brado, portano allo sviluppo di una economia agricola rimasta tale fino alla metà del secolo scorso.



Quando scorreva a cielo aperto

val fazzola
Il primo ramo del torrente, poco più di un rigagnolo, a regime normale, proveniente dalla collina sotto il cimitero di Lesmo, raccoglie anche il displuvio di alcune vallette laterali e percorre, a lato della recinzione nord del parco della villa Cazzola, quella che i topografi di Arcore hanno chiamato Val Fazzola, e attraversando via Brianza, proprio all’ingresso della curva del Campasceu, si unisce al ramo proveniente da Camparada. Un tempo vi era un vero e proprio ponticello; ora un residuo di sponda è integrata in una recinzione.

imbocco val fazzola

L’imbocco della Val Fazzola

Il secondo ramo, quello più importante, origina a lato ovest di Rogoredo, prosegue per Campo Fiorenzo, Camparada, passa a lato ovest di Bernate e aggira la collinetta dell’azienda agricola Teruzzi; al Campascieu riceve la confluenza del ramo di Lesmo e prosegue a lato est della via Brianza fino all’innesto di via Toscana, poi con una diagonale leggermente incurvata, passando in alcuni tratti sotto zone fabbricate, attraversando alcuni terreni ancora liberi, sbocca in via Moro e da qui in via Edison proprio al di là della mura perimetrale della ex Falck oggi recinzione della caserma dei Carabinieri.

via edison

Via Edison – si nota il solco della Molgorana lungo la recinzione della Falck

Il terzo ramo, origina sotto la collinetta di Velate, nella località Belgiusa (Belgioiosa), attraversa l’antico bacino del Laghettone di Bernate (svuotato negli anni trenta. Il racconto del deflusso ci è stato narrato, agli inizi degli anni cinquanta, da Casimiro, personaggio storico di Bernate, quale esempio di pesca miracolosa, in una di quelle placide serate estive passate pescando tinche al laghetto della Cazzuola), scorre a lato est sotto la collinetta del Roccolo, costeggia l’abitato a lato nord e va a confluire nel ramo proveniente da Usmate.

quarto ramo

Il quarto ramo prende vita sotto Casatenovo, passa per Rogoredo, continua nei valloncelli a lato ovest di Valaperta e a est di Velate, attraversa il piano a sud di Usmate ricevendo un paio di roggioli, e dal Bettolino segue la statale; nel territorio di Bernate riceve la confluenza dello scarico del Laghettone (Rinz) e prosegue, sempre a margine della statale, fino ad Arcore dove, all’imbocco di via Tommaselli-Piave, abbandona la statale e devia verso largo Arienti formando un cuneo col ramo proveniente da via Edison.

confluenza

Nell’illustrazione è visibile il passaggio dei due rami della Molgorana (ex via C. Arienti)

Il paese è attraversato in tutta la sua lunghezza. Dopo via Tomaselli, via Piave, via Trento Trieste e via Gorizia, che ne costituiscono l’alveo, il torrente, con una serpentina si porta di nuovo parallelo alla statale (via Casati) e continua la sua corsa verso S.Alessandro.
Molti piccoli rigagnoli, fossi, o roggioli confluiscono nel torrente sia da via Abate d’Adda, sulle vecchie mappe indicata col nome di “Strada del roggiolo”, sia da via Corridoni-IV Novembre, sia da via Montegrappa con un fosso che attraversando la campagna si immette presso la Biblioteca attuale. Altri fossi di scolo, meno appariscenti, su ambedue i versanti, vi riversano le loro acque.
Numerosi ponti e guadi collegano le due sponde. Scendendo dal nord verso il paese. Seguendo il ramo di Usmate, lungo la statale, il primo ponte è quello di Bernate che collega la frazione con Velasca e Oreno; sempre da Bernate, per strada di campagna interna, l’unica antica via diretta con Arcore, come risulta dalle mappe, si incrocia il sentiero proveniente da S. Apollinare, poi si passa a guado il ramo di Lesmo-Camparada, per arrivare in via S. Gregorio (Curt Granda e Cassina S. Grigoeu o Curt dal Meut). Proseguendo poi per la statale, a lato destro, si arriva al ponte di S. Apollinare che collega il Monastero-Cascina, per sentiero di campagna, alla Bisa Bisoeula (alta via Lombardia) e, incrociando la strada precedente proveniente da Bernate, al guado di via Brianza (inizio via Toscana).
Eccoci ora in paese nella zona tra via Falck e largo Arienti. Due ponti passano i due rami che ivi si riuniscono, è la ex via S. Carlo diventata poi via Arienti, che collega il lato est dell’abitato con Corte Grande e via D’Adda con un giro parallelo in parte al corso del torrente.

curt di booc

Lo schizzo ritrae la “Cort di Boeucc”. Le stalle della “Cort di Bafot” sono già state abbattute; fra le due proprietà correva la via di cui si è parlato sopra.

Una stretta via debitamente provvista di parapetti costeggia via Piave fino alla piazza della chiesa. Qui un ponte collega la via Umberto I° con la strada per Oreno.

All’altezza, più o meno, della Biblioteca un altro ponte attraversa la Molgorana collegando la strada proveniente da Peregallo con quella che oggi è la via della Pace che prosegue fino ad Oreno. La via e il ponte sono stati rimossi nella prima metà dell’Ottocento, quando i D’Adda per dare maggior aspetto scenografico alla loro abitazione costruirono la via Roma dotandola di un nuovo ponte.
Quando furono costruite le Corti Vecchiatti e completata la via IV Novembre, un nuovo attraversamento collegò la via con la statale. Altri due ponti furono costruiti (il ponte Merlinii e il ponte Baroncini) che tracciarono una nuova via (Vialet, oggi via Falck) la quale metteva in comunicazione la Statale con la proprietà Merlini probabilmente diventata poi Baroncini e infine Zerboni-Falck con lo stabilimento (oggi piazza Pertini). La via per parecchi anni fu privata, regolarmente chiusa da una sbarra che veniva aperta nei giorni lavorativi. Questa, con piccole evoluzioni nel tempo, era la situazione quando iniziarono i lavori di copertura della Molgorana.

È evidente che nei tempi in cui la foresta occupava integralmente il territorio, il percorso segnato dal torrente, visto dall’alto della collina, non era individuabile, solo quando i terreni vennero messi a coltura, il serpeggiare del fossato che incideva il piano divenne evidente, soprattutto perché le sponde di questi fossati o torrentelli erano tenuti a bosco di riviera con alberature, più o meno alte, di specie che via via variarono nel tempo da quelle proprio tipiche del nostro paesaggio carpini, ontani, querce, castagni, alla degenerazione invasiva portata dalle Americhe: la Robinia pseudoacacia, che sostituì quasi integralmente le altre specie. Da questi boschetti i contadini ricavavano il legname per costruzione e le fascine per il focolare domestico.
Dobbiamo immaginare un lungo serpentone verde che si snoda dalle colline boscose all’abitato e alla pianura coltivata. Qualche residuo si può ancora vedere, nonostante l’interramento del torrente, nel prato di via Calabria dove le robinie disegnano ancora l’antico percorso.

via calabria

Vi sono poche immagini della Molgorana che scorre in paese a cielo aperto ma dovrebbero essere sufficienti a dare un’idea di come si presentasse il paesaggio:

disegno sala

In un disegno di Enrico Sala, la piazza, il ponte e quella che diventerà via Trento Trieste. Sul fondo è visibile l’attraversamento di via IV novembre

foto via gorizia

Via Gorizia

via piave

Via Piave. In primo piano, a sinistra, il parapetto del ponte che collega via Umberto I alla piazza; sulla destra le botteghe della “Tibina” e di “Pichett”; all’estrema destra un frammento dell’icona che era all’angolo della via.



La copertura della Molgorana
Il libro della Storia di Arcore edito dal Comune, nella sezione “Aspetti di vita amministrativa tra le due guerre”, dedica un capitoletto, che copiamo integralmente, a questo fatto storico.
«…Arcore cambia volto: la copertura del torrente Molgorana
Senza dubbio una delle opere più significative realizzate nel periodo podestarile fu la copertura della roggia Molgorana.
Il corso d’acqua originato da un fontanile della zona collinare, da secoli attraversava il centro del paese e costituiva, coi vari ponticelli per il suo scavalcamento che punteggiavano l’abitato, un elemento caratteristico del paesaggio urbano arcorese. Ma la sua presenza era sempre stata fonte di non lievi inconvenienti: il capriccioso torrente infatti piuttosto spesso tracimava sfondando argini e ripari, e la popolazione fin dai tempi più remoti si era trovata alle prese con questo problema. Col passare del tempo il corso d’acqua aveva subito un inarrestabile degrado ed esso «forse una volta gonfio d’acque, era ridotto nel dopoguerra ad un rigagnolo che raccoglieva tutte le immondizie e lo scarico di acque della case e delle fogne laterali»; la necessità di ricoprirlo si imponeva dunque «per ragioni igieniche oltreché estetiche», poiché il suo letto sporco e inquinato «specialmente nella stagione estiva emanava esalazioni sgradevoli» che avvolgevano «la zona più viva e pulsante del Comune».
L’opera che era già stata studiata durante le precedenti amministrazioni, trovò la sua realizzazione proprio nel periodo podestarile, forse sotto l’influenza ideologica della «campagna per la bonifica integrale» che Mussolini stava attuando nelle zone paludose del Lazio, tanto che il segretario comunale, nel suo già citato opuscolo, parlando della copertura della Molgorana non poteva fare a meno di citare la parola del Duce: «…si redime la terra e si fondano le città…».
La delibera per avviare i lavori di copertura venne votata il 12 aprile 1929 e ricevette l’approvazione della Giunta provinciale amministrativa nel dicembre dello stesso anno.
Alla gara d’appalto per l’aggiudicazione delle opere di copertura del primo tratto del torrente, traversante la piazza comunale(??), parteciparono due sole imprese, la ditta Romualdo Caversasio e la ditta Marco Redaelli, che si aggiudicò l’appalto offrendo un ribasso del 5% su prezzi del capitolato. Alla stessa ditta, che offriva «ogni garanzia per la buona esecuzione dei lavori», vennero affidate anche le opere di copertura di un secondo tratto del letto del torrente, lungo la via Piave (a quel tempo arrivava fino alla provinciale [ndr]), che furono portate a termine nel maggio del 1932.
Nel frattempo l’amministrazione comunale aveva deliberato la copertura di un terzo tratto della Molgorana, dal piazzale della chiesa fino a viale D’Adda (via Roma). Proprio su quest’area, in seguito all’interramento del corso d’acqua, venne a formarsi una nuova strada che attraversava il centro di Arcore. Questa nuova arteria però, «mentre per la più gran parte [aveva] una larghezza di più di 8 metri, all’imbocco verso la piazza presentava una strozzatura di poco più di 5 metri di larghezza, dovuta all’avvicinarsi in tal punto dei fabbricati esistenti lungo il torrente».
Allo scopo di ovviare a tale inconveniente, l’ing. Bonfanti, direttore dei lavori, venne incaricato dall’amministrazione comunale di studiare un progetto di rettifica che migliorasse esteticamente la nuova strada, garantendo anche «una larghezza sufficiente a una buona viabilità». Dopo aver accuratamente studiato la questione, Bonfanti approdò ad un’unica soluzione veramente esauriente: ampliare la carreggiata sul lato sinistro, togliendo una striscia di terreno lunga circa 55 metri e larga da 1 a 3 metri alla proprietà della parrocchia. Seguendo tali indicazioni la strada avrebbe raggiunto una larghezza di 8 metri in ogni suo punto e, particolare non irrilevante, guadagnando spazio verso sinistra, l’asse della «neonata via sarebbe venuto a coincidere esattamente con quello della via Piave, che sboccava nella piazza della chiesa e di cui la nuova strada costituiva quasi il naturale prolungamento».
La realizzazione di questo progetto non era però priva di complicazioni, poiché sulla striscia di terreno considerata dall’ingegnere del Comune poggiavano la cinta del giardino parrocchiale, una piccola cappella votiva e un porticato. Bonfanti era però fiducioso di poter risolvere, senza grandi intoppi, il problema, visto che da «conversazioni fatte con l’autorità ecclesiastica interessata» appariva probabile una cessione gratuita del terreno in questione, purché il Comune si impegnasse a ricostruire a proprie spese cinta, portico e cappella, spostando però il prospetto frontale di quest’ultima verso la piazza e il portone, che fino a quel momento era aperto sulla piazza stessa, verso la nuova strada. Si trattava, sottolineava l’ingegnere, di una soluzione che avrebbe soddisfatto un’esigenza del clero arcorese senza alcun aggravio di spesa per l’amministrazione podestarile.
Occorsero poco più di tre mesi per concludere i lavori di rettifica; alla fine dell’estate 1933, infatti, la nuova strada sorta sulla copertura del torrente Molgorana poteva considerarsi agibile. La ditta Luigi Gallotta, che aveva vinto l’appalto delle opere di sistemazione, venne liquidata totalmente con la somma di £ 10.495 cifra che venne prelevata direttamente dal bilancio comunale.
Si presentava, a quel punto, la necessità di dare un nome alla nuova via. Con una delibera del novembre di quello stesso anno, si stabiliva di denominare la strada «via Arnaldo Mussolini» in memoria del fratello del Duce scomparso nel 1931. Tale proposta venne però respinta dalla Prefettura di Milano esistendo «precise e inderogabili disposizioni di S.E. il Capo del Governo», con le quali si faceva espresso divieto di intitolare vie, piazze, istituti, associazioni, ecc. al nome di S.E. il Capo del Governo stesso e dei Suoi congiunti. L’amministrazione arcorese dovette quindi rinunciare ai propri propositi e optare per un’altra denominazione, nello spirito fortemente patriottico e celebrativo dei tempi la via venne chiamata «Trento e Trieste» (denominazione che mantiene tuttora).
Contemporaneamente vennero affrontate e risolte anche le pratiche burocratiche relative ai passaggi di proprietà di alcune strisce di terreno incorporate durante le opere di copertura e rettifica: innanzitutto con il Beneficio Parrocchiale e poi con altri privati, tra cui il conte Febo Borromeo D’Adda, la Causa pia D’Adda, la cooperativa «La Fratellanza» che «avevano aderito alla proposta del Comune di cedere gratuitamente le strisce di terreno in parola». Ma la lunga e complessa opera di interramento del torrente Molgorana non era ancora conclusa e si dovette procedere a una nuova gara d’appalto per l’aggiudicazione dei lavori di copertura tra le Case Vecchiatti e Viale Roma. Numerose furono le ditte partecipanti alla licitazione privata, ma ad aggiudicarsi l’appalto fu la ditta Gallotta che, oltre a offrire «tutti i requisiti di competenza e di attrezzatura per l’esecuzione dei lavori», garantì un «ribasso del 26,1% sui prezzi unitari segnati dal Capitolato». La ditta portò a termine il lavoro nell’autunno del 1935 e il Comune a quel punto poté pensare «all’applicazione e riscossione del contributo di miglioria nei confronti dei frontisti interessati all’opera»: per dirla in termini più semplici, alla riscossione di una tassa sull’aumento di valore degli immobili determinato dal miglioramento della zona in cui sorgevano. Tale contributo, in base all’art.23 del T.U. per la finanza locale, avrebbe dovuto ammontare al 30% della spesa complessiva sostenuta. L’amministrazione arcorese però, «allo scopo di non aggravare eccessivamente i contribuenti interessati con la rigorosa applicazione della legge ed evitare possibili ed inevitabili controversie nella determinazione dell’incremento di valore nonché la spesa per l’accertamento del contributo», decise di rinunciare alla rigida applicazione della legge e di richiedere ai frontisti interessati «una quota di contributo totale di £ 30.000», fatto presente che tale somma corrispondeva al «15% ammesso dalla legge».
C’è da ritenere che il Comune di Arcore poté, in un certo senso, permettersi la diminuzione delle quote di miglioria perché mentre in un primo tempo si era ipotizzato di far fronte alla spesa dei lavori di copertura del torrente assumendo un mutuo con la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, in realtà le «191.748 £ oltre le 86.000 £ per la copertura dell’ultimo lotto», che corrispondevano al costo complessivo delle opere di interramento, vennero prelevate, nella loro totalità, come attestava Coccopalmerio, «da avanzi di amministrazione degli anni 1931, 32, 33» così come avvenne per altre importanti opere igieniche… »

La copertura totale è relativamente recente (tra gli anni 50 e gli anni 80). Si procedette per gradi.
Il primo tronco coperto fu il lato ovest della Corte Morganti che generò un piazzaletto oggi sparito dopo la demolizione della stessa corte Morganti e della corte Garancini-Brigatti (o curt di Manara) per far posto al largo Arienti. Per costruire questi edifici e dotarli di parcheggi sotterranei il torrente fu deviato e costretto in un’ansa che durante i piovaschi rallenta il deflusso favorendo le tracimazioni.

falck arcofil

La foto ritrae il punto della deviazione: si nota il vecchio ponte di accesso allo stabilimento Falck-Arcofil e alla via Filzi (a destra) e il nuovo manufatto che devierà il torrente ad incrociare il ramo di via Tommaselli-Piave.

Poi fu la volta del tratto compreso tra via Toscana, via Calabria, via Moro e l’innesto con via Edison che seguì subito dopo. Quindi, da via Roma, a lato di via Casati fino al confine del paese con Villasanta,

straripamento

posa fognatura

e da ultimo il tratto dall’ex ponticello del Campascieu, lungo via Brianza, fino all’innesto di via Toscana.

via brianza



Cronache di vita
È problematico se non impossibile trovare dei “sopravvissuti” che ricordino con chiarezza l’epoca nella quale il paese era sezionato in due dal corso del torrente e con la sequenza di ponti e ponticelli che univano le due rive. Qualche vago ricordo può derivare dai racconti che gli ottantenni di oggi possono riferire per averli sentiti dai loro genitori. Memorie dirette sono molto vaghe e si riferiscono solo al completamento superficiale della famosa “strada noeuva” (via Gorizia), coperta verso la fine del 1935 e completata tra il 1936 e il 1937, la dove, complici i mucchi di ghiaia che servivano per il fondo della copertura, avvenivano tra i ragazzi sfide a sassaiole che spesso lasciavano il segno sulle teste dei combattenti. Una testimonianza personale segna il mio cuoio capelluto.
Una curiosità, raccontata dall’Angiolino veterinario che abitava l’albergo proprio sul lato del torrente, è riferibile alla rettifica di percorso all’altezza di piazza della Chiesa. Occorre ricordare che sulla piazza, fino al 1789, era collocato il cimitero, e quando si intervenne a rifilare gli angoli per metterli in sequenza col rettifilo di via Piave, si intaccò l’antico ossario e vennero alla luce parecchie ossa e teschi umani che, alla faccia della sacralità della morte, erano presi a calci dalla ragazzaglia del tempo.
Si può dire qualche cosa anche sul tratto coperto tra via D’Adda e il ponte di via Roma. Qui l’opera è veramente colossale: il cunicolo aveva ed ha una larghezza di oltre tre metri e una altezza di quasi due; sul piano di base una imposta centrale leggermente più profonda agevola lo scorrimento e a lato i marciapiedi consentono di percorrere il tunnel, in condizioni normali, senza bagnarsi i piedi. Si accedeva all’ingresso da uno scosceso a lato ovest della corte Morganti e nell’ombra sempre più fitta inframmezzata dai chiarori delle “tombinature” si percorreva il tratto coperto facendo attenzione agli scarichi confluenti, e si emergeva al ponte di via Roma. Era la sfida classica per essere ammessi al novero dei coraggiosi.

curt di bafot

Nel disegno si distingue l’imbocco della copertura a lato della “Cort di Bafot” e la mura di confine verso la “Cort di Boeucc”. Proprio lì all’imbocco iniziava il percorso sotterraneo che sbucava al “Ponte”

Inoltre, il solco boscoso sia a nord che a sud era campo di giochi per i ragazzi del paese, territorio di caccia per uccellatori e raccoglitori di lumache e funghi, e rifugio discreto per le camporelle delle coppiette in amore.

bosco



E ora un flash storico. Nel 1944, sulla statale, agli ingressi dell’abitato, sia a nord che a sud, furono costruiti due massicci posti di blocco che limitando la larghezza della carreggiata consentivano il passaggio solo a senso unico alternato. La Molgorana qui centra solo perché vi furono scaricate le macerie quando arrivando gli americani le costruzioni furono rimosse e ribaltate nel torrente
Ecco il racconto tratto da una raccolta privata:

I posti di blocco

Quando fu chiaro che le linee di difesa della “Gotica” non avrebbero tenuto e che l’arrivo dei “Liberatori” era ormai imminente, l’ostinata pervicacia degli occupanti, per meglio controllare l’accesso al territorio, partorì i “posti di blocco”. Di traverso alla statale, agli ingressi dell’abitato (tra l’accesso della attuale via Colombo e la Molgorana a lato sud, e poco prima del Sant’Apollinare a lato nord), venne scavato un basso fondamento e su questo si costruì con ferro e cemento. Si trattava di un muro massiccio largo più di un metro e alto circa tre, che sbarrava la strada in due segmenti riducendone la carreggiata a una larghezza appena sufficiente al transito di un veicolo. Il muro era provvisto di feritoie strombate sull’interno e di un camminamento protetto da una sponda al vertice, in grado quindi di tenere sotto fuoco da postazioni riparate eventuali attacchi. L’opera finita era dipinta a macchie con varie gradazioni di verde e marrone tipici della mimetizzazione militare.
La curiosità naturale dei ragazzi radunava le varie bande di quartiere intorno alla costruzione che stava sorgendo: sempre vigili su eventuali prede possibili, bastava un volgere troppo prolungato di capo degli operai per vedere sparire attrezzi, legname, ferro di armature e perfino secchi già colmi di malta, giù per la sponda coperta dai boschetti di robinie della Molgorana. All’inizio presidiato da sentinelle venne usato poi per controlli estemporanei su mezzi e persone in transito. In seguito, quando il posto non era presidiato, venne disposto che al suono dell’allarme una persona, a tal incarico designata si recasse sul luogo munita di una bandiera bianca e fermasse all’esterno del paese gli eventuali mezzi e persone in transito fino al suono del cessato allarme (a lato sud il sarto Adreano di Firli, addetto al segnale, ad ogni squillo di sirena, bandiera sotto braccio, da via 4 novembre smanettava in bicicletta fino al Posto di blocco). Non si capì mai il motivo di questa ordinanza.
Arrivarono gli Americani, i carri armati non passavano per la strettoia del posto di blocco, ma fu questione di un attimo: un gigantesco Caterpillar provvisto di pala meccanica, senza la minima fatica, puntò in due riprese le sezioni di muro, le sollevò e le scaricò nella Molgorana.

Disgrazie
Nei Libri parrocchiali sono registrati alcuni episodi luttuosi dei quali fu effetto l’esistenza del torrente e causa l’imprudenza:

“…18 ottobre 1768 – Gianni Mosco figlio di Carlo cura di Omate disgraziatamente caduto nella Brugolana e rottasi malamente la testa non auendo più potuto profferire parola ne dar chiari segni di chieder confessione…dopo essere soprauisuto tredici ore …passò da questa a miglior vita…”.

“…6 novembre 1906 – Spinelli Dante di via Molgorana… di anni 6 morto incidentalmente annegato nella Molgorana…” (Via Molgorana è l’attuale Via Piave).

Note di toponomastica
Si trascrive integralmente quanto Dante Olivieri scrive nel “Dizionario di toponomastica lombarda” a proposito del nome MOLGORA:

Molgora (la-), torr. Vimercate (Monza) = fluvius Morgula a. 1288, Bonvesin, Magnal. (onde il nome aggiunto di: Burago di Mólgora). Questo nome che è anche di altri fiumiciattoli (v. Cherubini e Morgorabbia e Morla) deve connettersi coi nomi dei fiumi franc. e svizzeri Morge, Morges ecc. che l’Holder fa derivati da una rad. celt. MORGA, MURG «corso d’acqua, palude». L’Egli (Nomina geographica, 1892) citando a questo proposito anche il Förstemann (Altdeutsch. Namenf., Ortsnam, 1132), ricordava che il Buck aveva proposto di derivare i nomi di questa serie, estesi in territori celtici e germanici, da una rad. indoeur. MARK nel significato di «acqua nerastra». Cfr. Margata.

Stralcio da “L’acqua nel territorio di Monza” pag. 63
TORRENTE MOLGORANA
Oltre alle numerose rogge, anche un torrente interessava marginalmente l’area monzese, immettendosi nel Lambro, come affluente di sinistra, in corrispondenza dell’ansa immediatamente a monte del Ponte del Dosso, nel Parco. Allo sbocco nel Lambro un manufatto in ceppo permetteva alle acque del torrente di sovrappassare, prima di sfociare nel fiume, il canale della roggia del Parco.
Il bacino idrografico del torrente Molgorana ha i suoi limiti settentrionali nei dintorni di Cascina Levada, in comune di Casatenovo. La morfologia di tale bacino si presenta accidentata ed i pendii ferrettizzati in cui è impostato sono erosi dalle acque di ruscellamento. L’alveo, nei pressi di Cascina Grassi è inciso in una profonda forra diretta a sud. Oltre Bernate raggiunge la SS 36 in prossimità di Cascina S. Apollinare e corre per un buon tratto a lato della strada stessa. L’alveo in corrispondenza del nucleo cittadino di Arcore, è ora occupato dal collettore fognario del Consorzio di Bonifica Alto Lambro, che lo utilizza per raccogliere le acque delle fognature della zona brianzola ad est del fiume Lambro. Durante le forti piogge dell’ottobre 1976, il torrente Molgorana è straripato recando notevoli danni alla zona di Arcore.

Nota: la scritta in neretto è una di una imprecisione notevole. Presso il Sant’Apollinare non vi è alcuna confluenza.

vimercate

Il ponte di S.Rocco a Vimercate

Si aggiunge anche la nota di Virginio Riva nel suo “Le origini della Brianza” sempre a proposito del nome del(o della) Molgora:
…Sembra che a quel tempo il nome del predetto torrente fosse MURCULA, probabile degradazione del latino AMURCULA la cui traduzione italiana equivarrebbe a MORCHIA o DETRITI, nonostante il parere contrario di linguisti, filologi e studiosi di etimologie toponomastiche che vorrebbero fare ascendere l’appellativo a origini galliche col significato di palude (vedi il celtico MURG) sia di confine (con l’espressione MORGA), non va trascurato il fatto che il torrente Molgora fu sempre soggetto sino a qualche decennio fa, quando i prelievi di falda non avevano ancora raggiunto il tasso di dissesto attuale, a piene improvvise e disastrose col trasporto di grosse quantità di materiali alluvionali e successivi depositi degli stessi dove minore era la corrente. Una dimostrazione di questo stato di cose nelle andate epoche sarebbe dimostrato dal ponte romano di Vimercate la cui lunghezza può sembrare eccessiva sopra un torrente di modeste dimensioni qual’é il Molgora. Qui si possono notare le due strombature l’una a monte e l’altra a valle del ponte praticate per il flusso e il deflusso delle piene con conseguente equa distribuzione delle spinte su ogni pilone. Non bisogna anche dimenticare che il Molgora fu sempre il principale collettore delle sorgenti e dei corsi d’acqua di tutta la valle di Rovagnate sia che provenissero dal San Genesio che dagli scomparsi laghi di Bernaga e Lissolo con conseguente deduzione di una massa d’acqua considerevole specialmente durante i periodi piovosi.